mercoledì 20 maggio 2015
Todd è una volpe, ma crede di essere un cane.
Adottato a soli 4 mesi di vita, il cucciolo è stato curato e trattato come un animale domestico dalla sua padrona Emma D'Sylva che vive in Inghilterra, nello Staffordshire.
Oggi Todd ha 11 mesi, è allegro e giocherellone, si fa coccolare e quando la padrona gli porta da mangiare scodinzola proprio come un cane.
Come se non bastasse Emma lo porta molto spesso a fare delle passeggiate nel bosco con il guinzaglio, una misura precauzionale necessaria perché Todd e sordo e inoltre, essendo stato allevato in cattività, non se la caverebbe mai da solo.
Anche se non disdegna di entrare in casa, Todd ama l'aria aperta e dorme in un piccolo rifugio in giardino con gli altri cani di Emma, con i quali sembra andare d'amore e d'accordo.
Emma ha una vera passione per gli animali, ed è arrivata a possederne 40.
Ne porta alcuni anche nelle scuole e nelle case di cura per gli anziani, in modo da permettere anche a chi non può avere un animale domestico tutto suo di avere qualche minuto di interazione e gioco.
Com'è andata con Todd alla sua prima visita scolastica? benissimo, ovviamente.
I bambini hanno apprezzato moltissimo la sua presenza e non si sono fatti sfuggire l'occasione di accarezzarlo.
Fonte: nonsolocuccioli.it
Egitto: ritrovato un tempio di cui si era persa la memoria
Dopo secoli di oblio un tempio di almeno 3500 anni fa ha rivisto la luce a Gebel el Silsila, la più grande cava di pietra dell'antico Egitto, a nord di Assuan.
Annunciato pubblicamente nei giorni scorsi, il ritrovamento è stato effettuato dal team degli archeologi Maria Nilsson e John Ward della svedese Lund University, a capo del Gebel el Silsila Survey Project.
Non si tratta di una scoperta del tutto nuova: il tempio è infatti stato dimenticato per quasi un secolo.
I resti della costruzione erano stati individuati in un momento imprecisato fra il 1906 e il 1925, e riportati nel 1934 su una mappa grossolana tracciata dall'egittologo tedesco Ludwig Borchardt, che attribuiva i ruderi alla XIX e XX dinastia.
Da lì in avanti è caduto il silenzio, ma proprio analizzando quella mappa e confrontandola con una nuova mappa di Peter Lacovara, della Emory University, Nilsson e Ward sono stati in grado di individuare la posizione del santuario, che hanno cominciato a esplorare e analizzare nel 2012.
Gebel (el) Silsila, in antichità nota come Kheny o Khenu, è una gola rocciosa scavata dal Nilo fra i villaggi di Kom Ombo ed Edfu (in Alto Egitto, la zona meridionale del Paese).
Dalle pareti della gola venivano estratte ingenti quantità di arenaria, tanto che gran parte parte degli edifici sacri più importanti dell'Antico Egitto furono costruiti utilizzando pietre provenienti da qui.
Il ritrovamento del tempio dimostra che il sito aveva un valore religioso già in epoche remote; non è stato possibile stabilire con certezza a quale divinità fosse intitolato, ma si trattava probabilmente di Sobek, il dio con la testa di coccodrillo che sovrintendeva alle acque e alle inondazioni del fiume.
Le fondamenta della struttura misurano 35 metri di lunghezza e 18 metri di larghezza; sono stati individuati quattro livelli di pavimento levigato, basi di colonne, mura interne ed esterne.
Due frammenti in arenaria dipinti con immagini del cielo fanno supporre che il tempio fosse ricoperto da una volta stellata.
La parte più antica è costruita con blocchi di calcare, un fatto insolito considerando che Kheny era una cava di arenaria, e risale probabilmente al momento in cui l'edilizia egizia passò definitivamente da un materiale all'altro.
Gli scavi hanno portato alla luce anche pezzi di muratura e frammenti di calcare decorati, perline, cocci di vaso e ceramiche smaltate e uno scarabeo in origine dipinto di blu.
I resti del tempio e i reperti certificano con precisione quattro periodi storici lungo un arco di quindici secoli: il primo e più antico, quello dei faraoni della XVIII dinastia Thutmose e Hatshepsut (tra il 1500 e il 1450 a.C. circa), due fasi successive (quelle dei faraoni Amenhotep III e di Ramses II) e infine l'epoca romana.
Fonte: www.focus.it
Il tragico destino degli Inuit esposti negli zoo d’Europa nell’800
Abrahm Ulrikab era un uomo di etnia Inuit, che viveva a Hebron, nel Labrador (Canada), insieme alla sua famiglia.
Colto, violinista esperto e devoto cattolico, per restituire un debito di 10 sterline, contratto con i missionari di Hebron, e anche per il desiderio di visitare l’Europa, accettò di diventare, insieme alla sua e ad un’altra famiglia, un’attrazione per gli spettacoli etnografici in voga in Europa a quel tempo.
In realtà, le persone reclutate per questo tipo di intrattenimento, venivano messe in mostra come animali, negli zoo.
Le due famiglie si imbarcarono il 28 agosto 1880, arrivando in Germania il 24 settembre.
Furono esposti presso il Tierpark Hagenbeck, uno zoo di Amburgo, dal 2 al 15 ottobre 1880, e poi trasferiti a Berlino, messi in mostra nel giardino zoologico fino al 14 novembre.
Da lì furono portati in varie città, finché, il 27 dicembre morì la figlia adolescente della seconda famiglia, mentre anche Sara, la figlia di 4 anni di Abraham, mostrava i sintomi della malattia: il vaiolo.
Il gruppo fu obbligato a partire per Parigi, e la bambina fu lasciata in un ospedale tedesco, dove morì il 31 dicembre.
Il 1° gennaio 1881, tutti gli altri Inuit furono vaccinati, ma era troppo tardi.
Esposti al Jardin d’acclimatation, al Bois de Boulogne, per circa una settimana, furono alla fine ricoverati in ospedale, dove morirono tutti nel giro di una settimana.
Il norvegese Johan Adrian Jacobsen, che li aveva reclutati, si era semplicemente dimenticato di farli vaccinare, come era obbligatorio per la legge tedesca.
Durante la sua permanenza in Europa, Abraham tenne un diario, scritto nella lingua nativa, dove dice che il viaggio era stato uno sbaglio, ed esprime il desiderio di tornare in patria.
Dopo la morte dell’uomo, il diario fu inviato alla missione in Labrador insieme con i suoi averi, mentre dei corpi delle famiglie Inuit non si è saputo più nulla fino a poco tempo fa.
Solo nell’autunno del 2014, i resti di tutti i componenti del gruppo sono stati ritrovati nel Museo di Storia Naturale francese, tranne quello della piccola Sara, il cui teschio era conservato a Berlino.
Il governo Nunatsiavut, in Labrador, sta attualmente riflettendo, per capire cosa è meglio fare dei resti delle sfortunate famiglie. L’obiettivo sarebbe quello di “correggere quei torti, e portare alla chiusura alcune storie tristi.”
Forse il desiderio degli Inuit di tornare in Labrador sarà alla fine esaudito.
Fonte: vanillamagazine.it