giovedì 9 aprile 2015

Xylella fastidiosa: il batterio killer degli olivi


Migliaia di ulivi eradicati o tagliati e ridotti a tronchi morti.
 È questo il triste scenario che si prospetta nel Salento, in Puglia, dove un batterio, la Xylella fastidiosa, ha colpito le coltivazioni di olivi.
 La Xylella, batterio della famiglia delle Xanthomonadaceae, si caratterizza per l'elevata variabilità genetica e fenotipica (ossia l'insieme delle sue caratteristiche osservabili). 
Se ne conoscono al momento quattro sottospecie che infettano circa 150 diverse piante: la fastidiosa colpisce olivi, viti e aceri; la sandyi punta all'oleandro; la multiplex predilige il pesco, l'olmo, il susino; la pauca preferisce le piante di agrumi e di caffè.
 Il meccanismo di attacco è però è simile per tutte le varietà del batterio: si moltiplica nei vasi conduttori dello xilema delle piante ospiti: ostruisce i vasi che trasportano acqua e nutrienti dalle radici al fusto e fino alle foglie, creando una sorta di gel che impedisce il regolare flusso del fluido. Le piante infette così si seccano completamente.


Il batterio non è sporigeno ma si trasmette attraverso insetti vettori, in particolare quelli della famiglia delle Cicadellidae, che si nutrono succhiando dai vasi linfatici delle piante grazie a un apparato boccale. 
Nutrendosi da una pianta infetta trasmettono poi il batterio a una pianta sana.

 L'equipe del dottor Donato Boscia del CNR di Bari (Istituto per la protezione sostenibile delle piante) ha scoperto che nel caso specifico della Xylella che ha colpito gli olivi pugliesi, l'insetto vettore è la Philaenus spumarius, nota come sputacchina.
 Studiando il DNA del batterio, confrontandolo con una banca dati internazionale, Boscia ha concluso che la Xylella presente in Puglia è uguale a quella in Costa Rica.
 Un viaggio davvero lungo, se si pensa che l'insetto vettore al massimo vola per un centinaio di metri o poco più, sfruttando i venti.


Ingrandimento (8kx) della sezione di un olivo infetto, dov'è evidente la colonizzazione da parte della Xylella fastidiosa.

 L'insetto è un vettore, non è l'origine.
 «L'ipotesi più probabile è che la Xylella sia arrivata con una pianta già infetta», spiega Boscia. 
Alcuni indizi danno credito a questa spiegazione: a Gallipoli, dove nel 2010 si è verificato il primo focolaio del batterio, c'è un grande vivaio che importa molte piante dall'estero, in particolare dall'Olanda; in Olanda l'analisi del Dna di una pianta di caffè malata ha ricondotto a un ceppo endemico del Costa Rica; infine, il Paese del Centro America è un grande esportatore di piante ornamentali (come l'oleandro): 43 milioni nel solo 2012. 
Ulteriori indagini hanno poi permesso di datare l'infezione (il primo caso nel 2010) e il "paziente zero", un oleandro di provenienza olandese e origine costaricana.

 Boscia non è ottimista: 
«Nonostante si conosca il batterio da oltre un secolo, a oggi ancora non esiste una terapia per curare le piante malate. Quelle infette sono perse». 
Una soluzione però c'è. 
«Non potendo agire sul batterio si deve agire sul vettore, sugli insetti che lo diffondono, ad esempio con un trattamento insetticida e tagliando spesso l'erba, per eliminare le larve e gli insetti ancora giovani.» 
Purtroppo è necessario anche un altro intervento:
 «Occorre ridurre il serbatoio del batterio, e per questo l'unico strumento è l'abbattimento delle piante infette».




Con oltre 377.000 ettari di terreno coltivati a olivi, la Puglia è la prima regione olivicola in termini di superficie, con una produzione di oltre 11 milioni di quintali di olive all'anno. 
A tutt'oggi le stime a campione sulle piante malate non riescono a chiarire l'entità del problema: «I casi positivi riscontrati durante i controlli», spiega Pantaleo Piccinno, presidente di Coldiretti Lecce, «sono il 10% delle piante monitorate. Quindi possiamo stimare, forse anche per difetto, che su tutti gli ulivi pugliesi, quelli malati sono un milione».

 L'abbattimento comporterà comunque un ulteriore calo della produzione di olio, dopo la pessima stagione estiva del 2014, che ha già fatto segnare un calo del 35%. 
Tuttavia questo è solamente un tassello di un problema più ampio, che riguarda tutte le regioni del Mediterraneo coltivate a olivi, dalla Spagna alla Grecia e per l'Unione Europea siamo quantomeno in "stato di allarme". 

 Da: focus.it

Una vecchia storia indiana su una misteriosa rete di grotte sotterranee antiche migliaia di anni

Molte culture del nostro pianeta hanno tramandato storie di misteriosi mondi posti sotto la superficie terrestre.
 Incredibilmente, molte di queste strane città sotterranee esistono realmente.Basti pensare all’enigmatico sito sotterraneo di Derinkuyu.
 In altre parti del mondo sono state scoperte intere reti sotterranee di tunnel scavate da uomini antichi, alcune delle quali lunghe diversi chilometri.


Alcuni ricercatori ritengono addirittura che sotto la superficie della Terra ci sia un’enorme sistema di gallerie segrete e corridoi in grado di collegare città e persino continenti. 
 Il problema è che conosciamo solo una piccola parte di questo mondo misterioso che si trova sotto i nostri piedi.
 Dunque, quando si parla di racconti di esplorazione di mondi sotterranei, ci troviamo sulla linea di confine tra la leggenda e la storia.

 Uno di questi racconti è tramandato dalla tribù dei nativi americani Sioux.
 Il protagonista del racconto è un vecchio della loro tribù chiamato “Cavallo Bianco”. 
 Un giorno, mentre partecipava ad una caccia al bisonte in quella che oggi una delle aree della California, Cavallo Bianco trovò un insolito varco nella roccia. 
Incuriosito dall’anfratto, il vecchio sioux entrò nell’apertura, trovandosi poco dopo davanti ad un tunnel lungo, molto lungo. Deciso a scoprire dove portasse la galleria, Cavallo Bianco si inoltrò all’interno del passaggio, fino a quando non notò una luce verdastra molto debole alla fine del tunnel. 
Fu lì che ebbe l’incontrò incredibile con due sconosciuti: un uomo di pelle bianca e una donna dai capelli biondo oro, entrambi seduti nel mezzo di una grande sala.
 Guardandoli, il vecchio aveva avuto l’impressione che i due fossero addolorati per qualcosa. Facendosi forza, chiese loro il motivo della loro disperazione, scoprendo così che il figlio della coppia era morto ucciso da poco tempo. 
 Poi, i due si presentarono a Cavallo Bianco affermando di essere abitanti del mondo sotterraneo e che, nonostante sapessero dell’esistenza del mondo esterno, non avevano mai avuto occasione di vedere qualcuno della superficie.
 Da parte sua, il vecchio sioux spiegò loro di aver avuto accesso al loro mondo sotterraneo solo accidentalmente. 
 Durante il lungo incontro, la coppia descrisse a Cavallo Bianco il modo in cui si svolgeva la vita nel mondo interno. Inoltre, gli rivelarono che gli antenati dei nativi americani provengono proprio dal mondo interno e che sono in qualche modo legati ad un’antica razza antidiluviana proveniente dal continente sommerso di Atlantide.


Quando Cavallo Bianco decise di tornare in superficie, i due donarono all’anziano sioux una sorta di talismano, un misterioso pezzo di ferro che aveva la capacità di emettere un’insolita luce in grado di fondere le rocce, tagliare gli alberi e cambiare la sabbia in pietra!
 L’anziano uomo non volle mai separarsi dal suo prezioso talismano, il quale lo accompagnò per tutta la sua vita. 
Quando morì, l’incredibile oggetto fu seppellito insieme a Cavallo Bianco.

 A prima vista, l’avventura di Cavallo Bianco sembra essere nient’altro che una fiaba o una leggenda. Tuttavia, secondo il dottor Harold T. Wilkins (1891-1960), storico e giornalista britannico, sovente le leggende fanno riferimento ad un qualche evento realmente accaduto.
 Wilkins scoprì che l’intrigante storia dei Sioux presentava molte somiglianze con le storie tramandate dalle altre tribù native d’America.
 Tra i Shoshone e Apache, per esempio, vi è la credenza comune dell’esistenza di un’antica rete sotterranea, piena di grotte e cunicoli segreti. 
Essi credono che il luogo di origine dei loro antenati sia nel sottosuolo.
 Per sfuggire al cataclisma globale che cancellò, tra l’altro, il grande continente al centro dell’Atlantico, i superstiti ripararono nel sottosuolo delle terre rimaste emerse, scavando dei rifugi che divennero vere e proprie città sotterranee.
 Dopo alcuni anni, quando le condizioni climatiche e geologiche della Terra si normalizzarono, alcuni dei superstiti tornarono in superficie per dare inizio ad una nuova storia (di cui noi siamo gli eredi). 
Gli altri sopravvissuti, ormai abituati alla vita nel sottosuolo, continuarono a vivere e a prosperare sotto terra.

 Fonte: ilnavigatorecurioso.it