lunedì 23 marzo 2015

Pika di Ili: in Cina fa la sua ricomparsa dopo 20 anni il tenero animaletto che vive in alta quota


Sembra un peluche ma è un animaletto delizioso a tutti gli effetti.
 È ricomparso in Asia col suo musetto peloso il Pika di Ili (Ochotona iliensis), un piccolo mammifero dell'ordine dei lagomorfi, cuginetto di lepri e conigli, che fu scoperto tra le montagne della Cina nord-occidentale nel 1983 da Weidong Li, uno scienziato dell'Istituto dello Xinjang per l'Ecologia e la Geografia.
 Non si faceva rivedere da ben 20 anni. 
 Durante le sue ricerche sulle risorse naturali e le malattie infettive, Weidong Li trovò una piccola creatura dalla folta pelliccia e dalla tenera faccia da orsetto, evidentemente mai individuata prima. 
Ne inviò un campione all'Accademia cinese delle Scienze e si rese infatti conto che si trattava di una nuova specie. 
Da allora sono stati segnalati solo 29 avvistamenti diretti del Pika di Ili, poi per anni se ne è avuta più traccia.
 Fino al 2014, quando Li si è rimboccato le maniche e ha chiamato a raduno un gruppo di volontari proprio per cercare il Pika sulle sue montagne.
 Ed ecco qui che quel simpatico musetto è rispuntato fuori.
 I pika, o "ocotoni", sono diffusi, oltre che in Asia, anche in Europa orientale e in America del Nord.
 Come altre specie nordamericane, il Pika di Ili vive tra i 2.800 e i 4.100 metri e si nutre soprattutto di erbe e piante montane.
 È di piccole dimensioni, ha un corpo tozzo con zampe corte e robuste, delle orecchie arrotondate e coda cortissima.


Come tutti gli animali che vivono ad alta quota, è molto sensibile ai cambiamenti del suo habitat: negli anni Novanta la sua popolazione era stimata a 2.000 individui, ma secondo l'Unione internazionale per la Conservazione della Natura da allora è in costante diminuzione. 
Secondo la Lista Rossa della IUCN e il governo cinese la specie è considerata a rischio di estinzione.
 Quali sono i più grandi pericoli? Manco a dirlo lo sfruttamento intensivo dei pascoli da parte degli allevatori di bestiame e l'inquinamento atmosferico, che potrebbero togliergli via via del cibo vitale e metterlo a rischio estinzione.
 È per questo che Weidong Li spera che questo ritorno in scena del pika porti a un'iniziativa per la creazione di aree protette. 

 Germana Carillo

Dal DNA le radici degli schiavi del XVII secolo


Un gruppo internazionale di ricerca ha identificato l'etnia e il luogo di provenienza di tre schiavi neri deportati in America, i cui resti erano stati rinvenuti nella capitale dell'isola caraibica di Saint Martin nel 2010. 
Si tratta della prima volta che si riesce a usare DNA antico e mal conservato per identificare con elevata specificità le origini etniche di soggetti morti alla fine del XVII secolo.

 La nuova tecnica di analisi del genoma – descritta insieme ai risultati ottenuti in un articolo sui “Proceedings of the National Academy of Science” a prima firma Hannes Schroeder, dell'Università di Copenaghen - apre la strada a una maggiore comprensione del commercio di schiavi, ma potrà anche influenzare in modo determinante la prassi delle ricerche genealogiche e storiche. 

 Malgrado vi sia un'ampia conoscenza storica del commercio degli schiavi africani, l'effettiva composizione demografica dei circa 12 milioni deportati dall'Africa occidentale e centro-occidentale al Nuovo Mondo tra il 1500 e il 1850 è sempre rimasta sfuggente.

 Era noto che i tre individui ritrovati nella zona di Zoutsteeg - due uomini e una donna fra i 25 e i 45 anni – facevano parte della prima ondata di schiavi arrivati a St. Martin dall'Africa fra 1680 e il 1690 per lavorare nelle locali saline, e che quando morirono furono sepolti senza bara, sotto la sabbia ai bordi di uno stagno salmastro. Ora le analisi hanno rivelato che uno scheletro era di un uomo appartenente a un gruppo di lingua bantu del Camerun settentrionale, mentre gli altri due appartenevano a gruppi non bantu della Nigeria e del Ghana.


"Siamo stati in grado di stabilire che, anche se i tre individui sono stati trovati nello stesso sito e forse erano persino arrivati sulla stessa nave, avevano affinità genetiche con popolazioni africane differenti", ha detto Maria C. Avila-Arcos, coautrice dell'articolo.”Molto probabilmente parlavano lingue diverse, con le relative difficoltà di comunicazione.
 Questo ci deve far riflettere su due questioni: la reale dinamica del commercio di schiavi fra le due sponde dell'Atlantico, e in che modo questa drammatica mescolanza etnica può aver influenzato le comunità e identità dei neri delle Americhe."

 Per riuscire a effettuare l'analisi genetica Schroeder e colleghi hanno dovuto adottare una tecnica innovativa: il genoma antico di reperti rinvenuti in regioni dal clima caldo umido è infatti molto degradato, compreso quello – usato anche in questo studio - ricavabile dalle radici dei denti, che è relativamente protetto dalle intemperie e dalle contaminazioni.

 I ricercatori hanno quindi perfezionato la cosiddetta tecnica di acquisizione dell'intero genoma sviluppata nel laboratorio di Cerlos D. Bustamante della Stanford University, coautore dell'articolo e già membro del gruppo di ricerca che nel 2012 determinò il fenotipo e le affinità genetiche di Ötzi, l'uomo del Similaun. 
 In questo approccio si espone il campione di DNA a un vasto repertorio di molecole di RNA umano, a cui si legano i frammenti di DNA degradato. 
In questo modo è possibile isolare tutti i frammenti di DNA ancora abbastanza integri e quindi "rimontarli" per ricostruire al computer una mappa del genoma molto più precisa di quanto sarebbe possibile con le tecniche di analisi genetica classiche.
 L'effetto di questa procedura, spiegano gli autori, è un po' quello che si ottiene rimescolando della terra ricca di ferro per poi esporla a un potente magnete.

 Fonte: lescienze.it

Vichinghi e Arabi: un anello conferma il loro incontro


Spesso si sente parlare del coraggio dei vichinghi e dell’audacia che li avrebbe portati a conquistare molte terre e a esplorarne molte altre, comprese quelle del nord America.
 Ora giunge notizia che il misterioso popolo dell’estremo nord europeo ebbe anche stretti contatti con i paesi arabi. Lo dimostra l’anello di una vichinga del nono secolo, scoperto tempo fa, ma analizzato solo oggi.
 Il reperto ha permesso di identificare un’antica scritta araba, all’interno di un vetro colorato, indicante la parola “per Allah” o “Allah”. 
 Gli archeologi ritengono che l’anello sia stato forgiato da un artigiano arabo e poi immediatamente destinato al popolo scandinavo.
 La ricerca conferma l’attitudine esplorativa dei vichinghi che li avrebbe portati a visitare molti centri del Mediterraneo e del medio oriente.

 Fonte www.rivistanatura.com