martedì 10 marzo 2015

Scoperto il meccanismo che fa cambiare colore al camaleonte


I camaleonti cambiano rapidamente colore grazie ad un meccanismo “hi-tech” unico nel regno animale. 
Il segreto è nella particolare struttura della pelle di questi rettili, composta da due strati di cellule di forma diversa, e che si orientano in modo da riflettere la luce in modi differenti.
 Lo ha scoperto, e descritto sulla rivista Nature Communications, il gruppo dell’università di Ginevra coordinato da Michel Milinkovitch. 
Contrariamente a quanto succede in altri animali, che cambiano colore accumulando o disperdendo i pigmenti nelle cellule della pelle, per capire che cosa succede nei camaleonti bisogna scomodare la fotonica, ossia la disciplina che studia il comportamento della luce e la sua interazione con materiali di tipo diverso.


Trasformare il colore della pelle è, per i camaleonti, vitale per mimetizzarsi come per interagire con i loro simili.
 Questo è possibile grazie a un meccanismo mai visto finora nel regno animale e basato su un doppio strato di cellule della pelle, in ognuno dei quali le cellule hanno forme e comportamenti diversi. Le cellule dello stato superficiale si comportano in modo diverso a seconda che la pelle sia eccitata o rilassata e ricordano i cristalli fotonici. 
Questi sono strutture che esistono in natura (ad esempio negli opali o in alcune specie di farfalle) e che riescono a modificarsi, variando la velocità di propagazione della luce che li attraversa. 
Il secondo strato di cellule e’ la vera novità per gli zoologi: è il più profondo e sottile, è specializzato nel riflettere la luce solare nel vicino infrarosso e potrebbe avere soprattutto la funzione di tenere al caldo i camaleonti. (ANSA).




Fonte: blueplanetheart.it

Un'amicizia nata dalla sofferenza


Una storia commovente che giunge dal passato fino a noi, esattamente dal 2007, ambientata nel villaggio di Potok in Albania. 

Protagonisti un lupo, catturato e rinchiuso in un recinto minuscolo, e un asino vittima dello sfruttamento e della sofferenza.
 Chi ingabbiò il lupo decise fosse logico inserire un asino vivo nel suo box, una scelta data anche dall’avanzata età dello stesso non più sfruttabile ulteriormente.
 Due vittime della sofferenza imposta dall’uomo, trovatesi una di fronte all’altra in una condizione di inspiegabile sofferenza.
 Ma a dispetto delle convenzioni i due, anziché combattere e odiarsi, stabilirono un forte legame di amicizia.


Entrambi prostrati dalla condizione, decisero di fare fronte comune, forse comprendendo la condizione di reclusione imposta e di abuso. Le immagini dei due immobili nello stesso minuscolo recinto fecero velocemente il giro del mondo, anche nel tempo, fino ad arrivare ai giorni nostri. 
Un esempio lampante di come la diversità spesso non sia considerata tale, ma emerga l’empatia e la comprensione. 
Nella minuscola gabbia il lupo nascondeva il suo corpo sotto quello dell’asino, i due vicini si proteggevano a vicenda dagli occhi indiscreti dei loro nuovi proprietari.


La vicenda colpì fortemente l’opinione pubblica tanto da far partire una raccolta firme indirizzata agli organi governativi albanesi per la liberazione del lupo, quindi la salvezza dello stesso asino. 
Grazie all’impatto della protesta pubblica, il Ministro dell’Ambiente albanese impose il rilascio del lupo, mentre l’asino venne accolto in una fattoria con un verde pascolo dove potersi rilassare. 

In molti possono confermare di aver potuto assistere a svariati passaggi di un lupo che, in totale libertà, si avvicinava al recinto del pascolo per salutare e visitare l’asino.

 Come ha successivamente specificato il Ministero dell’Ambiente, la detenzione di un lupo è illegale, perché viola gli atti 20 , 21 e 23 della legge n. 9587 del 20.07.2006, dedicata alla conservazione delle biodiversità. 
Inoltre la detenzione di un animale selvatico come il lupo si scontra contro il regolamento dedicato alla protezione, la gestione della fauna selvatica e la caccia. 

 Da: greenstyle.it

La macchina Enigma ,usata dai nazisti per cifrare messaggi

Già dal tempo degli antichi Greci, gli eserciti in guerra cifravano le loro comunicazioni, nel tentativo di mantenere segreti i loro piani di battaglia. 
Di conseguenza, mentre da una parte si inventavano nuovi e ingegnosi metodi per cifrare i propri messaggi, dall’altra i nemici tentavano di spezzare i nuovi codici.
 In tal modo, nel tempo, i codici ed i sistemi di cifratura sono diventati sempre più complessi e difficili da interpretare e si è così innescata una battaglia intellettuale tra gli inventori dei codici e quelli che li volevano infrangere.

 Il confronto tra le intelligenze non fu mai così serrato come durante la seconda guerra mondiale, quando i Tedeschi utilizzarono la famosa macchina Enigma – che ritenevano indecifrabile – per codificare i messaggi, mentre gli Alleati lavoravano a Bletchley Park per forzare il loro codice.


Fino alla seconda guerra mondiale, le forme più diffuse di crittografia usavano semplici tecniche di carta e matita.
 Ma gli addetti alla sicurezza di entrambi gli schieramenti, già durante la prima guerra mondiale, sentirono l’esigenza di un maggiore livello di segretezza, da conseguire con metodi più avanzati di cifratura.
 Sia gli Alleati che i paesi dell’Asse cercarono nuovi metodi per cifrare i messaggi – per trovare un procedimento che fornisse una sicurezza totale. 
Nel 1915, due ufficiali della marina olandese inventarono una nuova macchina per cifrare i messaggi. E questa è divenuta una delle più famose di tutti i tempi: la macchina cifrante Enigma. 

Arthur Scherbius, un uomo d’affari tedesco, la brevettò nel 1918 e cominciò a venderla alle banche e alle aziende. 
Il posto di Enigma nella storia, però, venne garantito nel 1924, quando le forze armate tedesche iniziarono ad utilizzarne una versione adattata alle esigenze militari per cifrare le loro comunicazioni. E continuarono a fare affidamento su questa macchina anche durante la seconda guerra mondiale, credendo che fosse assolutamente sicura.


Come funziona?

Quando un carattere di un testo in chiaro viene battuto sulla tastiera, una corrente elettrica attraversa i vari elementi codificatori e fa accendere una lettera del testo cifrato sul “pannello luminoso”. Ma ciò che rendeva Enigma così speciale era il fatto che ogni volta che una lettera veniva battuta sulla tastiera, le parti mobili della macchina ruotavano, cambiando la loro posizione in modo che una successiva pressione del tasto corrispondente alla stessa lettera quasi certamente sarebbe stata cifrata in altro modo. 
Ciò significa che non era possibile impiegare metodi tradizionali per tentare di forzare la famigerata cifratura. 
Per rendere le cose ancor più difficili, alcune parti mobili della macchina si potevano posizionare in diversi modi ed ogni regolazione produceva una stringa di lettere cifrate sempre diversa. A meno che non si conoscessero le esatte impostazioni della macchina, non sarebbe stato possibile decifrare i messaggi.


Che cosa doveva essere impostato? 
Innanzitutto i rotori. 
Questi trasmettevano gli impulsi elettrici inviati dalla tastiera alle lampadine indicanti la lettera cifrata (o decifrata) tramite un sistema di cavetti.
 Ogni macchina aveva in dotazione cinque rotori numerati, diversi tra loro, e solo tre di questi venivano utilizzati in ogni sessione, in ordini e posizioni diverse. 
Conoscere quali rotori usare e in quale ordine e posizione era il primo passaggio per l'impostazione della macchina. 
 La combinazione di rotori e posizioni di partenza erano determinanti per la decodifica del messaggio. 
Ogni volta che veniva premuta una lettera il primo rotore a destra girava di uno scatto. 
Quando il primo rotore aveva fatto un giro intero (26 scatti, tanti quanti le lettere dell'alfabeto internazionale) era il turno del secondo rotore, che faceva a sua volta uno scatto.
 Dopo 26 scatti del secondo rotore, anche il terzo si spostava di una lettera. 

 Il sistema di cavi all'interno del rotore: i cavetti deviavano gli impulsi elettrici da una lettera a un'altra. 
Passando attraverso i rotori, gli impulsi seguivano perciò un percorso determinato dalla configurazione della macchina che portava all'illuminazione della lettera finale sul quadro delle lampadine. 
 Ogni rotore aveva 26 possibili posizioni di partenza: per decifrare un messaggio era dunque necessario conoscere la posizione di partenza dei tre rotori scelti per la macchina che aveva cifrato la comunicazione.
 Sulla mascherina frontale Enigma aveva poi un quadro di spine (chiamato killer crittografico). 
Utilizzando dei normali ponticelli elettrici era possibile creare ulteriori difficoltà all'eventuale intercettatore, perché si invertivano gli impulsi corrispondenti per alcune coppie di lettere.
 Anche l'impostazione dei ponticelli doveva essere nota al ricevente per decifrare un messaggio. 
 Tutte queste impostazioni facevano sì che un messaggio potesse essere codificato da Enigma in 150.000.000.000.000 (150 milioni di milioni) di possibili combinazioni diverse.


Come facevano due macchine, la mittente e la destinataria, a essere allineate? 
Serviva una guida. 
La foto qui sopra mostra un documento originale della Luftwaffe: la guida che veniva consegnato mensilmente ai reparti dell'esercito. Ogni riga corrisponde alle impostazioni giornaliere della macchina: ogni giorno a mezzanotte infatti la codifica cambiava.
 Erano indicati i rotori da usare, in quale ordine e con quale impostazione di partenza, e la posizione dei ponticelli. 
Senza questa guida la decifrazione era impossibile. 

 IL LAVORO A BLETCHLEY PARK


Nell’agosto del 1939 i Britannici costituirono la scuola dei codici e dei cifrari a Bletchley Park nel Buckinghamshire.

 Le persone chiamate a lavorare al progetto, erano esperti in molti settori diversi.
 C’erano esperti nella violazione dei codici, ufficiali dei servizi segreti, matematici, scienziati, esperti di parole crociate, giocatori internazionali di scacchi, attrici e perfino astrologi.
 Fortunatamente per gli addetti britannici alla decodifica dei messaggi cifrati, negli anni che precedettero la guerra, in Polonia si erano già sperimentate varie tecniche per forzare Enigma.
 Poco prima dell’invasione tedesca della Polonia, il loro lavoro venne condiviso con gli alleati britannici. 
Il governo della Polonia fu il primo a impiegare i matematici come decrittatori e le menti logiche dei matematici dimostrarono proprio quello che era necessario sapere per affrontare Enigma
 Questo vantaggio essenziale dei Polacchi, unito alle abilità per la risoluzione di problemi e le capacità intuitive delle reclute di Bletchley, portarono alla decifratura del codice Enigma all’inizio del 1940: una tecnica particolare, per decifrare Enigma, aveva avuto finalmente successo. 

I decrittatori britannici lavorarono in squadre, 24 ore su 24, per tutta la durata della guerra, usando carta e matita, come pure nuove tecnologie meccaniche appena inventate per elaborare specifiche impostazioni di Enigma, per ogni singolo giorno. Inconsapevolmente gli stessi Tedeschi aiutarono i Britannici a decifrare Enigma. 
Per esempio: I messaggi spesso cominciavano con lo stesso testo di apertura – molti cominciavano con la parola Spruchnummer (messaggio numero), e molti messaggi dell’aeronautica cominciavano con la frase An die Gruppe (al gruppo).
 Messaggi cifrati spesso riportavano informazioni di routine come rapporti sul tempo e frasi quali Kienebesondere Ereignisse (niente da segnalare). 
I messaggi spesso terminavano con Heil Hitler!

 I Tedeschi spesso trasmettevano più di una volta lo stesso messaggio, con una diversa versione di cifratura.
 Queste disattenzioni fornirono ai decifratori gli indizi, denominati cribs (mangiatoie), sul modo in cui Enigma era stato impostato quel giorno. 
Questi cribs erano essenziali per forzare i cifrari.
 Per esempio, senza un crib, ancora oggi si sarebbero impiegati parecchi mesi per decifrare un testo lungo una pagina formato A4, utilizzando un PC moderno, con procedimenti di verifica e di controllo degli errori. 
 Tuttavia, i cribs da soli non erano sufficienti.
 I decrittatori di Bletchley Park svilupparono nuove procedure e algoritmi per la determinazione della messa a punto di Enigma e svilupparono anche dispositivi di calcolo elettronico per implementare questi metodi. 
 Oggi gli storici ritengono che il lavoro dei decrittatori a Bletchley Park abbia ridotto la guerra di due anni.


Tra i più famosi violatori di codici di Bletchley Park c’era un matematico dell’università di Cambridge, Alan Turing che molti già allora consideravano un genio.
 Svolse un ruolo guida nel forzare il più complesso cifrario dell’Enigma navale (denominato shark - squalo) e contemporaneamente definì i principi che sono alla base del moderno calcolatore.
 Malgrado il loro notevole lavoro, tuttavia, per molto tempo nessuno dei decifratori di codici della seconda guerra mondiale ha ricevuto pubblici riconoscimenti, come sarebbe stato giusto.
 Per garantire la sicurezza britannica, la forzatura di Enigma è rimasto un segreto, molto protetto, per tutta la durata della guerra e per i successivi 30 anni. 
Alla gente che aveva lavorato a Bletchley Park è stato proibito di parlare di quello che avevano fatto e, di conseguenza, il loro contributo determinante per la soluzione della guerra è stato completamente dimenticato.
 Ma in questi ultimi 30 anni molte informazioni sull’incredibile storia di Bletchley Park sono state rese note. 
Tragicamente tuttavia, per qualcuno i ringraziamenti arrivano troppo tardi. Alan Turing si suicidò prima che gli fosse pubblicamente riconosciuta la sua straordinaria parte nella guerra e prima che i suoi contributi alla scienza della cifratura e decifrazione fossero completamente capiti.

 Il governo britannico ha ancora in funzione un reparto di decifrazione alla “Direzione del Ministero delle Comunicazioni” (GCHQ) in Cheltenham.
 Fa sempre affidamento sui matematici per le loro abilità e per la loro capacità logica nella soluzione dei problemi: GCHQ vanta la più alta concentrazione di matematici puri del paese. 
Gli odierni codici segreti sono molto più sofisticati della cifrante Enigma e la loro resistenza risiede nell’impossibilità di scomporre i grandi numeri in fattori, così oggi, con i timori per il terrorismo globale, il ruolo dei nostri decrittatori di codici risulta tanto importante quanto quello svolto durante la seconda guerra mondiale.

 Fonti: http://areeweb.polito.it/
           http://www.focus.it/

Un fossile suggerisce che in passato la necropoli di Giza era sommersa dal mare


Il paesaggio della necropoli di Giza, comprese le piramidi e la Sfinge, mostra segni di erosione che secondo alcuni ricercatori suggeriscono che in passato l’intera area è stata sommersa dal mare. 
 Il ritrovamento di un fossile sembrerebbe confermare questa teoria.  
La scoperta si deve all’archeologo Sherif El Morsi, il quale ha lavorato nella piana di Giza per oltre due decenni.
 Nel 2013, in collaborazione con la ricercatrice Antoine Gigal, fondatrice di Giza for Humanity, ha pubblicato i risultati della sua controversa ricerca.


La ricerca di Morsi nasce dalle intuizioni del dottor Robert M. Schloch, uno dei primi ricercatori a suggerire che le strutture della piana di Giza siano più antiche di quanto si pensi.
 Nei primi anni ’90, Schloch suggerì che i modelli di erosione trovati sulla Sfinge e sulle rocce circostanti mostravano un’età molto più antica rispetto alla datazione ufficiale, collocandola tra il 9000 e il 5000 a.C. 
 Morsi ha idealmente continuato il lavoro di Schloch andando più a fondo nella questione.
 Durante una delle sue documentazioni fotografiche dei modelli di erosione nella Piana di Giza, l’archeologo ha fatto una scoperta che potrebbe indicare che l’intera zona è stata una volta sommersa dalle acque del mare.
 «Durante il mio servizio fotografico, sono quasi inciampato in un blocco di pietra», racconta Morsi in un articolo pubblicato su Gigal Research. 
«Con mia grande sorpresa, il rigonfiamento sulla superficie mostrava le sembianze di un esoscheletro pietrificato di quello che sembrava essere un echinoidea (riccio di mare), una creature che vive in acque marine poco profonde».


Secondo Morsi, il fossile sarebbe la prova che la Piana di Giza ha subito una catastrofica inondazione, rimanendo per qualche tempo sommersa dalle acque del mare.
 Il sito dove si trova la Piramide di Micerino, in particolare, potrebbe essere stata un’antica laguna quando il livello del mare copriva la Necropoli di Giza, compresa la Sfinge e le Piramidi. Tuttavia, analizzando il fossile, alcuni scienziati hanno suggerito che l’echinoidea stessa è stata esposta ad erosione, dunque potrebbe già far parte della roccia calcarea originale formatasi circa 30 milioni anni fa.
 Come spiega The Epoch Times, Morsi ha contestato queste conclusioni, convinto che la creatura si è pietrificata in un tempo relativamente più recente, spiegando che si tratta di un grosso esemplare ben conservato, a differenza dei piccoli campioni che in genere si trovano nei blocchi di calcare.
 «Possiamo vedere chiaramente le condizioni originarie e i dettagli minuti della perforazione dell’esoscheletro», spiega Morsi, «il che significa che questa creature marina deve essersi pietrificata in tempi recenti.
 Non mostra le caratteristiche della maggior parte dei fossili risalenti a 30 milioni di anni fa. I depositi di sedimenti ne hanno riempito la parte cava».


Secondo Morsi, l’inondazione deve essere stata piuttosto significativa, raggiungendo un livello massimo di 75 metri sul livello attuale del mare, creando un litorale che attraversa il recinto della Piramide di Chefren, vicino alla Sfinge, fino ad arrivare alla Piramide di Micerino.
 L’erosione riscontrata sulle rocce mostra i tipici segni causati dalle onde e dal riflusso delle maree.
 Inoltre, siti come la Sfinge, il Tempio della Sfinge e i primi 20 livelli della Grande Piramide mostrano sedimenti di materiale alluvionale tipici dei fondali poco profondi e delle lagune.
 Il ritiro delle acque crea un effetto spugnoso nella roccia.


L’echinoidea scoperta da Morsi ha un diametro di circa 8 centimetri.
 Per raggiungere tale dimensione, in genere questo organismo marino impiega circa 15 anni.
 Inoltre, la quantità di sedimenti e depositi alluvionali, nonché la qualità dell’erosione nelle zone meno profonde, richiederebbero diversi secoli, suggerendo che la zona è rimasta sommersa per diverso tempo. 
 Tuttavia, rimane difficile determinare l’anno esatto delle inondazioni.
 Secondo i dati forniti dal CSIRO Marine and Atmospheric Research, negli ultimi 140 mila anni, i livelli del mare hanno oscillato per più 120 metri, seguendo la crescita e il ritiro delle grandi calotte durante i cicli glaciali. 


 Fonte: ilnavigatorecurioso.it