venerdì 5 dicembre 2014
La Dubai che non ti aspetti: miseria e sfruttamento nella citta' del lusso
Il paradiso di chi ama il lusso sfrenato.
Hotel a 5 stelle, grattacieli, piscine a centinaia di metri da terra.
In quella terra resa ricca dal petrolio.
Siamo a Dubai.
Ma allontaniamoci per un momento dal lussuosissimo Burj al Arab o dal Burj Khalifa, alla ricerca della Dubai povera.
In questo angolo di paradiso artificiale non c'è solo ricchezza.
Lo raccontano le forti immagini scattate dal fotografo iraniano Farhad Berahman, un documentarista specializzato in documentari sociali, viaggi e fotografia editoriale nelle aree dell'Asia e del Medio Oriente.
Il suo lavoro riguarda le persone, e in particolare, il modo in cui gli individui e le comunità interagiscono e sono influenzati dal loro ambiente.
La Dubai che il turista non conosce ha un altro nome.
Si chiama Sonapur, il nome non ufficiale del campo di lavoro nella periferia di Dubai, situato lontano dal lusso, dai grattacieli svettanti e dalla grande ricchezza che caratterizza la città degli Emirati Arabi Uniti.
Qui lavorano gli emigrati dell'Asia meridionale che si recano a Dubai nella speranza di costruire un futuro per le loro famiglie.
La capitale della ricchezza però offre loro solo squallore, salari bassi e lavoro massacrante in un caldo soffocante.
Condizioni ai limiti della schiavitù.
Il fotografo ha colto sprazzi di povere vite, impegnate in lavori pesanti.
La foto che segue mostra una grande cucina sporca del campo Sonapur dove in molti di loro vivono.
Molti lavoratori perdono i diritti una volta messo piede negli Emirati, i loro passaporti vengono sequestrati in aeroporto e sono costretti a lavorare.
Una scelta quasi obbligata per chi non vede altra alternativa.
Il campo di Sonapur ospita oggi 150.000 lavoratori, per lo più provenienti da India, Pakistan, Bangladesh e Cina.
Le immagini di Farhad Berahman parlano da sole e mostrano la miseria, la sporcizia e ogni tanto qualche sorriso:
Questa comunità di lavoratori migranti è diventata una vergogna per l'elite di Dubai. Quindi, la loro comunità è stata ghettizzata, lontano dal centro città, il più possibile.
Una vergogna, di cui sono coscienti, complici e responsabili.
Francesca Mancuso
Metro C, a San Giovanni trovato il più grande bacino idrico della Roma Imperiale
Gli scavi per fermata San Giovanni della metro C hanno portato alla luce "il più grande bacino idrico mai ritrovato" che si trova all'interno "di un'azienda agricola della Roma imperiale, la più vicina al centro di Roma che sia mai stata ritrovata".
Lo ha annunciato Rossella Rea, responsabile scientifico degli scavi archeologici nel cantiere.
Si tratta, precisa Rea, di una vasca "così grande che supera il perimetro del cantiere e non è stato possibile scoprirla interamente".
Le archeologhe Francesca Montella e Simona Morretta, che con Rossella Rea hanno formato una squadra tutta al femminile, spiegano che la vasca "era foderata di coccio pesto idraulico e, nelle dimensioni oggi note, poteva conservare più di 4 milioni di litri d'acqua.
Nel I secolo si aggiunge alle strutture di sollevamento e distribuzione idrica di un impianto agricolo attivo dal III secolo a. C. nell'area dell'attuale via La Spezia e di San Giovanni.
Il bacino misurava circa 35 metri per 70, pari a un quarto di ettaro, la superficie di uno iugero.
Sembra probabile che la sua funzione principale fosse quella di riserva d'acqua a servizio delle coltivazioni e vasca di compensazione per far fronte alle piene del vicino fiume.
Nessun altro bacino rinvenuto nell'agro romano ha dimensioni paragonabili".
Il bacino è più grande, infatti, di ogni natatio e peschiera nota.
"Oltre le pareti del cantiere - precisa Rea - la vasca si estende verso le Mura, dove probabilmente si conserva, e in direzione di piazzale Appio, nell'area interessata dalla stazione della Linea A ove, invece, è stata sicuramente intercettata e distrutta senza che ne fosse documentata l'esistenza".
Le indagini archeologiche sono state realizzate dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, con la collaborazione tecnica della Cooperativa Archeologia che ha messo in luce le testimonianze della frequentazione antropica fino a oltre 20 metri di profondità, isolando 21 diverse fasi e dettagliando, per ciascuna, gli eventi naturali e i livelli di organizzazione umana.
"Le informazioni storiche sul settore di San Giovanni erano molto scarse; del resto, il territorio ha subito trasformazioni tali da nascondere sotto metri di terreno le strutture repubblicane e imperiali esistenti fino alla fine del III secolo, quando la realizzazione delle Mura Aureliane prima, e l'urbanizzazione del XX secolo dopo, portano alla definitiva obliterazione di ogni volume - riflette Rea - Lo scavo della nuova stazione metropolitana ha consentito di spingere la ricerca archeologica a profondità non altrimenti raggiungibili.
Un'opportunità di ritrovare la storia del territorio e dell'uomo, attivo nell'area dalla fine del VII secolo a. C., quando inizia a occupare le sponde di un corso d'acqua a fondovalle, e percorre con carri un primo tracciato viario in terra battuta".
http://roma.repubblica.it/