martedì 16 settembre 2014

Blue Lake: l'incontaminata vasca di Dio" che da 7mila anni resiste ai cambiamenti climatici


È noto come 'vasca di Dio', ed è uno dei luoghi ancora incontaminati del pianeta.
 È il Bue Lake di North Stradbroke Island, l'isola australiana del Queensland.

 Qui i ricercatori dell'Università di Adelaide hanno scoperto che il lago non ha subito gli effetti dei cambiamenti climatici negli ultimi 7000 anni, e finora ha resistito anche all'impatto degli esseri umani.  
Il Blue Lake è uno dei laghi più grandi di North Stradbroke Island, a sud est di Brisbane ed è al centro di varie ricerche, che ne hanno esaminato la risposta ai cambiamenti climatici nel corso del tempo. I ricercatori hanno studiato la qualità dell'acqua e hanno fatto un confronto attraverso le foto storiche degli ultimi 117 anni, esaminando al tempo stesso fossili di pollini e alghe per comprenderne meglio la storia nel corso degli ultimi 7500 anni. E i risultati, pubblicati online sul Freshwater Biology Journal, mostrano che il “Lago Blu” è rimasto relativamente stabile e resistente per millenni.

 "Il Blue Lake è uno di quei rari, bellissimi laghi in Australia. Insolito perché ha una profondità di circa 10 metri ma è così limpido che si può vedere il fondo," ha detto l'autore principale dello studio, il dottor Cameron Barr.
 “Non ci siamo accorti di quanto fosse unico e insolito questo lago fino a quando non abbiamo iniziato a guardare ad una vasta gamma di indicatori ambientali”.


Stando agli esiti delle ricerche, vi sarebbero state variazioni climatiche nella regione di North Stradbroke Island negli ultimi decenni, ma in quel periodo il lago non ha mostrato praticamente alcun cambiamento.
 Non solo oggi, anche in epoche remote la zona è stata soggetta a cambiamenti climatici. 
Accadde circa 4000 anni fa, quando il clima divenne più secco. Ma anche in quel caso, secondo gli esperti australiani, Blue Lake dimostrò di cambiare poco, in netto contrasto con altre variazioni nella regione a causa dei cambiamenti climatici. E in futuro potrebbe continuare ancora per questa strada e potrebbe rimanere relativamente immutato per centinaia e forse migliaia di anni. Almeno lui...

 Francesca Mancuso

L'arte egizia al servizio della paleontologia


I due lati di una tavoletta cerimoniale rinvenuta nella zona di Ieracompoli e risalente a 5.150 anni fa. Sono rappresentati licaoni, struzzi, alcelafi, gnu, stambecchi, orici e giraffe.|ASHMOLEAN MUSEUM/PNAS 2014 


 C'era una volta la valle del Nilo, dove leoni, licaoni, elefanti, orici, alcelafi e giraffe popolavano un ecosistema che comprendeva ben 37 specie di grandi mammiferi. 
Non è una favola, ma ciò che ci raccontano gli artefatti dell'antico Egitto, reperti che hanno permesso agli scienziati di stilare un elenco dettagliato dei mammiferi che vivevano nella valle del Nilo oltre sei mila anni fa. 

Uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) ha utilizzato questi dati per ricostruire le interazioni tra predatori e prede e spiegare, attraverso nuovi modelli, i drastici cambiamenti avvenuti negli ecosistemi nei secoli successivi. 
Delle 37 specie di grandi mammiferi presenti in questa zona all'inizio dell'Olocene (l'epoca geologica in cui ci troviamo, iniziata 11.000 anni fa), solo otto sono sopravvissute fino a oggi.

 I ricercatori hanno identificato cinque episodi avvenuti negli ultimi 6 mila anni che hanno provocato una drastica diminuzione dei mammiferi.
 Questi avvenimenti hanno principalmente a che fare con l'inaridimento climatico iniziato 5.500 anni fa con la fine del periodo umido africano e l'aumento esponenziale della densità di popolazione umana lungo la valle del Nilo.


Un ghepardo annusa un riccio. Il dipinto è stato ritrovato nella tomba del faraone Khnumhotep II. | UNIVERSITY OF SYDNEY


Questi cambiamenti hanno innescato una grave destabilizzazione. Al diminuire del numero delle specie è venuto a mancare quell'esubero che permetteva all'ecosistema di mantenere il suo equilibrio: se inizialmente l'estinzione locale di un mammifero tra tanti non aveva un grande impatto, la perdita costante di varietà ha amplificato notevolmente l'importanza di ogni singolo organismo. Come spiega Justin Yeakel, autore principale dello studio: 
«In quest'area c'erano diverse specie di gazzelle e altri piccoli erbivori che venivano cacciati da moltissimi predatori.
 Al diminuire della varietà delle prede, la perdita di ogni singola specie ha un effetto maggiore sulla stabilità del sistema e può portare a successive estinzioni». 
Il cambiamento più recente si è verificato circa 150 anni fa con la scomparsa locale dell'antilope bianca, del leopardo e del cinghiale.


La conseguenza è che delle otto specie rimanenti, tra cui la iena striata, lo sciacallo dorato (Canis aureus) e la volpe egiziana si trovano oggi in una condizione di vulnerabilità molto grave, mai verificatasi negli ultimi 12 mila anni, spiega Science. 

 Fonte: http://www.focus.it/

Scoperti nuovi sotterranei segreti nella città di Ani


Situata su una collina vicino alla riva del fiume Akhuryan, Ani è la più famosa tra le capitali armene.
 Rinomata per il suo splendore e magnificenza, Ani era conosciuta come “La città della 1001 chiese”, o anche come “La città dei 40 cancelli”. 
 All’apice del suo splendore, Ani rivaleggiava in dimensioni e influenza con città come Costantinopoli, Baghdad e Il Cairo. 

Nell’11° secolo, Ani contava oltre 100 mila abitanti. Nel corso della storia è poi diventata il campo di battaglia per lo scontro di vari imperi contendenti, causandone la sua distruzione e l’abbandono.
 Oggi, in uno scenario aspro e desolato, è possibile ammirare le vestigia di centinaia di antiche chiese, templi zoroastriani e altri edifici, molti dei quali in rovina.






Gli scavi hanno rivelato che la zona è stata abitata fin dai tempi antichi, almeno a partire dall’Età del Bronzo.
 Tuttavia, i primi documenti storici che menzionano La Rocca di Ani risalgono al 5° secolo d.C. 
 Alla fine dell’8° secolo, Ani è passato sotto il controllo della dinastia Bagratid. La crescita della città è cominciata nel 961 d.C., quando il re Bagratid Ashot III trasferì la capitale da Kars a Ani.
 In soli 50 anni, Ani è passata dall’essere una piccola città fortificata in una grande città medievale.

 I sotterranei di Ani sono stati individuati per la prima volta nel 1880. George Ivanovic Gurdjieff, che ha trascorso gran parte della sua infanzia e giovinezza a Kars, era in compagnia di un amico di nome Pogosyan, quando notò delle irregolarità nel terreno.
 I due cominciarono a scavare fino a quando si imbatterono in uno stretto cunicolo: era l’inizio di un’incredibile scoperta.
 George e Pogosyan si trovarono di fronte a canali idrici segreti, celle di monaci, sale di meditazione, enormi corridoi, tunnel intricati e anche alcune trappole.
 In una delle stanze, Gurdjieff trovò un pezzo di pergamena in una nicchia. Anche se conosceva l’armeno molto bene, ebbe grande difficoltà a leggere quanto c’era scritto sulla pergamena. Infatti, il testo era scritto in un’antica lingua armena, il primo indizio che indicava che il mondo sotterraneo di Ani era molto, molto antico. Dopo qualche tempo, Gurdjieff riusci a decifrare l’insolito testo. Presto si rese conto che la pergamena era una lettera scritta da un monaco ad un altro monaco. 
Secondo la pergamena, il luogo che i due avevano scoperto era sede di una famosa scuola esoterica della Mesopotamia.
 Così scriveva Gurdjieff: 
 «Eravamo particolarmente interessati a una lettera in cui lo scrittore riportava di alcune informazioni concernente alcuni misteri. Un passaggio in particolare ha attirato la nostra attenzione: “Il nostro degno Padre Telvant è finalmente riuscito a conoscere la verità sulla Fratellanza Sarmoung. La loro organizzazione in realtà si trovava vicino la città di Siranoush, cinquanta anni fa, poco dopo la migrazione dei popoli”.
 Poi la lettera continuava su altre questioni. Ciò che più ci ha colpito è stata la parola “Sarmoung”, incontrata più volte in un libro intitolato “Merkhavat”.
 Questa parola è il nome di una famosa scuola esoterica che, secondo la tradizione, fu fondata a Babilonia nel lontano 2500 a.C., conosciuta per essere situata in qualche parte della Mesopotamia fino al sesto o settimo secolo d.C. Ma sulla sua esistenza non si è mai potuta ottenere la minima informazione. 
Si diceva che questa scuola era in possesso di una grande conoscenza, contenente la chiave per la decifrazione di molti misteri tenuti segreti».


“La scoperta di Gurdjieff, avvenuta quasi 135 anni fa, non è stata confermata fino al 1915, quando una campagna di scavi condotta da una squadra di archeologi italiani confermò che qui vi era un monastero”, spiega il ricercatore di storia Sezai Yazici, intervenendo al simposio. 
 Da allora, nuove strutture sotterranee sono state scoperte sotto Ani. In totale, le strutture sotterranee di Ani attualmente note sono 823, tra cui abitazioni, negozi di alimentari, tombe e monasteri, cappelle, mulini, stalle e serbatoi: una vera e propria città sotterranea.
 Yazici sostiene che sia giunto il momento di far conoscere la città sotterranea di Ani al mondo e per finanziare ulteriori ricerche e scavi.
 Il recente simposio è stato il primo passo verso il raggiungimento di questo obiettivo.

 Tratto da: http://www.ilnavigatorecurioso.it/