lunedì 9 giugno 2014
L'universo forse è finito ma l'idiozia umana ...NO QUELLA E' INFINITA
Cristo Redentore con la maglia azzurra, l’Arcidiocesi di Rio fa causa a viale Mazzini. Cappellano Rai: “Troppi polveroni”
Articolo pubblicato il: 08/06/2014
La maglia numero 10 di Antonio Cassano sul Cristo Redentore in uno spot della Rai non è piaciuta all’Arcidiocesi di Rio de Janeiro, che ora chiede all‘emittente televisiva italiana una cifra compresa tra i cinque e i sette milioni di euro come risarcimento. (indovinate chi la pagherà)
Lo racconta il quotidiano brasiliano ‘Globo’, in un articolo nel quale si sottolinea l’indignazione della chiesa sia per l’utilizzo blasfemo dell’immagine, sia perché il Cristo Redentore è coperto da diritti d’autore, amministrati dalla stessa arcidiocesi, e rappresenta un intero Paese e la sua cultura.
Al momento, scrive il quotidiano, la cifra indicata non è ufficiale e non è stata ancora notificata alla Rai che comunque è stata già raggiunta dalla lettera dell’avvocato incaricato.
Cappellano Rai: “Troppi polveroni sul Cristo vestito da Azzurro” - Sulla polemica attorno allo spot interviene monsignor Antonio Interguglielmi, cappellano della Rai.
Che l’immagine del Cristo Redentore di Rio de Janeiro vestito con la casacca 10 di Cassano sia una immagine “blasfema” e in qualche modo “offensiva” non ci sono dubbi, ma la polemica attorno allo spot Rai è stata “eccessiva.
Basterebbero le scuse ufficiali, non ne farei una questione monetaria”, dice all’Adnkronos.
Articolo pubblicato il: 08/06/2014
La maglia numero 10 di Antonio Cassano sul Cristo Redentore in uno spot della Rai non è piaciuta all’Arcidiocesi di Rio de Janeiro, che ora chiede all‘emittente televisiva italiana una cifra compresa tra i cinque e i sette milioni di euro come risarcimento. (indovinate chi la pagherà)
Lo racconta il quotidiano brasiliano ‘Globo’, in un articolo nel quale si sottolinea l’indignazione della chiesa sia per l’utilizzo blasfemo dell’immagine, sia perché il Cristo Redentore è coperto da diritti d’autore, amministrati dalla stessa arcidiocesi, e rappresenta un intero Paese e la sua cultura.
Al momento, scrive il quotidiano, la cifra indicata non è ufficiale e non è stata ancora notificata alla Rai che comunque è stata già raggiunta dalla lettera dell’avvocato incaricato.
Cappellano Rai: “Troppi polveroni sul Cristo vestito da Azzurro” - Sulla polemica attorno allo spot interviene monsignor Antonio Interguglielmi, cappellano della Rai.
Che l’immagine del Cristo Redentore di Rio de Janeiro vestito con la casacca 10 di Cassano sia una immagine “blasfema” e in qualche modo “offensiva” non ci sono dubbi, ma la polemica attorno allo spot Rai è stata “eccessiva.
Basterebbero le scuse ufficiali, non ne farei una questione monetaria”, dice all’Adnkronos.
INQUINAMENTO. PER RIDURLO, STUDIO L’ALGA
Una marmitta con l'alga mangia Co2.
La "folle idea" è venuta in mente al genio creativo di un 16enne
Il genio creativo che gli ha dato la notorietà tanto da farlo comparire nella prestigiosa lista di Forbes, ma che ha sempre posseduto, facendo esperimenti a partire dai 13 anni, è scattato nella mente di Param Jaggi quando di anni ne aveva 16 : fermo al semaforo rosso, una delle prime volte che, neopatentato, prendeva la macchina, osservando i tubi di scarico delle automobili e il monossido di carbonio che immettevano nell'aria, ha pensato che sarebbe stato bello se ci fosse stata lì vicino, magari applicata addirittura allo scarico dell' auto, una bella pianta pronta a nutrirsi dell'anidride carbonica: per la macchina un rifiuto da combustione, per il vegetale, al contrario, un nutrimento.
Respirare anidride carbonica e rilasciare ossigeno: la meraviglia della fotosintesi clorofilliana applicata ad un'innovazione tecnologica capace di rivoluzionare il mondo dell'eco-automotive. Capace di cambiare a livello mondiale la qualità dell'aria.
La visione del giovanissimo inventore, allora studente al Plano East senior High School di Plano, in Texas, è diventata un prototipo, in attesa di brevetto: si chiama Abes – Algae Based Emission System ed è un sistema che può contribuire a ridurre le emissioni nocive di qualunque automobile o attività industriale basandosi sulla fotosintesi delle alghe. Sono proprio delle microalghe quelle utilizzate da Param: il suo dispositivo, sperimentato in laboratorio e costruito in un'officina del suo quartiere, è costituito da una sorta di doppia parete filtrante dove vivono delle microalghe immerse nell'acqua e aiutata dalla luce di micro Led.
La ‘coltura' di alghe è contenuta da una parte permeabile ai gas: il monossido di carbonio dunque entra nel dispositivo applicato al tubo di scarico, viene ‘assorbito' dalle alghe e trasformato in ossigeno.
Dai testi di laboratorio – ha dichiarato Jaggi – risulta che l'anidride carbonica viene abbattuta del 70%, rilasciando nell'aria ossigeno, azoto e acqua.
Il dispositivo deve essere cambiato dopo qualche mese, ma ha un costo di produzione veramente contenuto, circa 30 euro.
Con il suo ‘mangiatore di carbonio' Jaggi si è aggiudicato nel 2011, in occasione dell'International Science and Engineering Fair, l'importantePatrick H. Hurd Sustainability Award, assegnato dall' EPA, UNited states Environmental Protection Agency, e riservato agli studenti delle scuole superiori e alle loro invenzioni più brillanti nel campo della tutela ambientale,battendo la concorrenza di oltre 1500 giovani inventori.
I vincitori dell'EPA award ottengono un piccolo finanziamento per continuare le loro ricerche nel campo delle innovazioni ambientali e partecipano di diritto al P3: People, Prosperity and the Planet Student Design Competition for Sustainability, un evento annuale che riunisce i giovani innovatori e scienziati ambientali degli Stati uniti per presentare i loro progetti per un futuro sostenibile.
La famiglia di Jaggi ha investito diecimila dollari nella registrazione del brevetto che potrebbe essere applicato ad ogni tubo di scappamento, comprese le ciminiere industriali.
Per finanziare il suo progetto Param ricorre al crowdfunding e chiede aiuto alla rete; nel frattempo ha fondato la sua casa di produzione,
Ecoviate, un nome che si ottiene fondendo tre parole: cambiare rotta, innovare, ecologia.
Ed è certo che le premesse per realizzare questa "folle idea", come egli stesso l'ha definita, ci siano tutte.
@Redazione Planet Inspired
La "folle idea" è venuta in mente al genio creativo di un 16enne
Il genio creativo che gli ha dato la notorietà tanto da farlo comparire nella prestigiosa lista di Forbes, ma che ha sempre posseduto, facendo esperimenti a partire dai 13 anni, è scattato nella mente di Param Jaggi quando di anni ne aveva 16 : fermo al semaforo rosso, una delle prime volte che, neopatentato, prendeva la macchina, osservando i tubi di scarico delle automobili e il monossido di carbonio che immettevano nell'aria, ha pensato che sarebbe stato bello se ci fosse stata lì vicino, magari applicata addirittura allo scarico dell' auto, una bella pianta pronta a nutrirsi dell'anidride carbonica: per la macchina un rifiuto da combustione, per il vegetale, al contrario, un nutrimento.
Respirare anidride carbonica e rilasciare ossigeno: la meraviglia della fotosintesi clorofilliana applicata ad un'innovazione tecnologica capace di rivoluzionare il mondo dell'eco-automotive. Capace di cambiare a livello mondiale la qualità dell'aria.
La visione del giovanissimo inventore, allora studente al Plano East senior High School di Plano, in Texas, è diventata un prototipo, in attesa di brevetto: si chiama Abes – Algae Based Emission System ed è un sistema che può contribuire a ridurre le emissioni nocive di qualunque automobile o attività industriale basandosi sulla fotosintesi delle alghe. Sono proprio delle microalghe quelle utilizzate da Param: il suo dispositivo, sperimentato in laboratorio e costruito in un'officina del suo quartiere, è costituito da una sorta di doppia parete filtrante dove vivono delle microalghe immerse nell'acqua e aiutata dalla luce di micro Led.
La ‘coltura' di alghe è contenuta da una parte permeabile ai gas: il monossido di carbonio dunque entra nel dispositivo applicato al tubo di scarico, viene ‘assorbito' dalle alghe e trasformato in ossigeno.
Dai testi di laboratorio – ha dichiarato Jaggi – risulta che l'anidride carbonica viene abbattuta del 70%, rilasciando nell'aria ossigeno, azoto e acqua.
Il dispositivo deve essere cambiato dopo qualche mese, ma ha un costo di produzione veramente contenuto, circa 30 euro.
Con il suo ‘mangiatore di carbonio' Jaggi si è aggiudicato nel 2011, in occasione dell'International Science and Engineering Fair, l'importantePatrick H. Hurd Sustainability Award, assegnato dall' EPA, UNited states Environmental Protection Agency, e riservato agli studenti delle scuole superiori e alle loro invenzioni più brillanti nel campo della tutela ambientale,battendo la concorrenza di oltre 1500 giovani inventori.
I vincitori dell'EPA award ottengono un piccolo finanziamento per continuare le loro ricerche nel campo delle innovazioni ambientali e partecipano di diritto al P3: People, Prosperity and the Planet Student Design Competition for Sustainability, un evento annuale che riunisce i giovani innovatori e scienziati ambientali degli Stati uniti per presentare i loro progetti per un futuro sostenibile.
La famiglia di Jaggi ha investito diecimila dollari nella registrazione del brevetto che potrebbe essere applicato ad ogni tubo di scappamento, comprese le ciminiere industriali.
Per finanziare il suo progetto Param ricorre al crowdfunding e chiede aiuto alla rete; nel frattempo ha fondato la sua casa di produzione,
Ecoviate, un nome che si ottiene fondendo tre parole: cambiare rotta, innovare, ecologia.
Ed è certo che le premesse per realizzare questa "folle idea", come egli stesso l'ha definita, ci siano tutte.
@Redazione Planet Inspired
La fotosintesi clorofilliana
E' un processo biochimico e fisiologico fondamentale per la sopravvivenza della pianta, poiché consente di convertire l’energia proveniente dal Sole in energia chimica che, attraverso una complessa serie di reazioni, verrà immagazzinata nei legami presenti nella molecola del glucosio.
L’equazione chimica della fotosintesi è l’opposto di quella della respirazione, sebbene il processo avvenga per tappe diverse: la pianta usa l’acqua assorbita dal suolo e l’anidride carbonica presente nell’aria per produrre glucosio e ossigeno.
La luce solare viene catturata grazie a molecole colorate chiamate pigmenti fotosintetici, tra i quali i più importanti sono le clorofille. Le molecole di clorofilla si trovano in aggregati chiamati fotosistemi, a loro volta contenuti negli organelli cellulari chiamati cloroplasti.
La fotosintesi avviene in due fasi: la fase luminosa, nel corso della quale viene assorbita l’energia solare, e la fase oscura, nella quale l’energia viene utilizzata per sintetizzare il glucosio
.
Durante la fotosintesi, con la mediazione della clorofilla, la luce solare permette di convertire sei molecole di CO2 e sei molecole d'H2O in una molecola di glucosio (C6H12O6), zucchero fondamentale per la vita della pianta.
Come sottoprodotto della reazione si producono sei molecole di ossigeno, che la pianta libera nell'atmosfera attraverso gli stomi che si trovano nella foglia (piccoli buchi).
La fotosintesi clorofilliana è il processo di produzione primaria di composti organici da sostanze inorganiche nettamente dominante sulla Terra e, probabilmente, rappresenta la prima forma di processo anabolico sviluppato dagli organismi viventi.
Inoltre la fotosintesi è l'unico processo biologicamente importante in grado di raccogliere l'energia solare, da cui, fondamentalmente, dipende la vita sulla Terra.
La quantità di energia solare catturata dalla fotosintesi è immensa, dell'ordine dei 100 terawatt, che è circa sei volte quanto consuma attualmente la civiltà umana.
Oltre che dell'energia, la fotosintesi è anche la fonte di carbonio dei composti organici degli organismi viventi.
La fotosintesi trasforma circa 115 × 109 chilogrammi di carbonio atmosferico in biomassa ogni anno.
Studi vari hanno dimostrato che la pianta cresce di più con luce diffusa che con luce diretta, a parità di potenza luminosa entrante.
L’equazione chimica della fotosintesi è l’opposto di quella della respirazione, sebbene il processo avvenga per tappe diverse: la pianta usa l’acqua assorbita dal suolo e l’anidride carbonica presente nell’aria per produrre glucosio e ossigeno.
La luce solare viene catturata grazie a molecole colorate chiamate pigmenti fotosintetici, tra i quali i più importanti sono le clorofille. Le molecole di clorofilla si trovano in aggregati chiamati fotosistemi, a loro volta contenuti negli organelli cellulari chiamati cloroplasti.
La fotosintesi avviene in due fasi: la fase luminosa, nel corso della quale viene assorbita l’energia solare, e la fase oscura, nella quale l’energia viene utilizzata per sintetizzare il glucosio
.
Durante la fotosintesi, con la mediazione della clorofilla, la luce solare permette di convertire sei molecole di CO2 e sei molecole d'H2O in una molecola di glucosio (C6H12O6), zucchero fondamentale per la vita della pianta.
Come sottoprodotto della reazione si producono sei molecole di ossigeno, che la pianta libera nell'atmosfera attraverso gli stomi che si trovano nella foglia (piccoli buchi).
La fotosintesi clorofilliana è il processo di produzione primaria di composti organici da sostanze inorganiche nettamente dominante sulla Terra e, probabilmente, rappresenta la prima forma di processo anabolico sviluppato dagli organismi viventi.
Inoltre la fotosintesi è l'unico processo biologicamente importante in grado di raccogliere l'energia solare, da cui, fondamentalmente, dipende la vita sulla Terra.
La quantità di energia solare catturata dalla fotosintesi è immensa, dell'ordine dei 100 terawatt, che è circa sei volte quanto consuma attualmente la civiltà umana.
Oltre che dell'energia, la fotosintesi è anche la fonte di carbonio dei composti organici degli organismi viventi.
La fotosintesi trasforma circa 115 × 109 chilogrammi di carbonio atmosferico in biomassa ogni anno.
Studi vari hanno dimostrato che la pianta cresce di più con luce diffusa che con luce diretta, a parità di potenza luminosa entrante.
Una meraviglia dell'ingegno umano : la linea ferroviaria Lima-Huancayo in Perù
Dal livello del mare fino alle cime delle Ande, passando attraverso ecosistemi, villaggi, insediamenti minerari e i paesaggi della cordigliera più imponenti del mondo.
In Perù la linea Lima-Huancayo è considerata oggigiorno una delle meraviglie dell’ingegno umano.
Qui il Ferrocarril Central (la linea ferroviaria che attraversa la cordigliera delle Ande) percorre 66 tunnel e 59 ponti.
Lo spettacolare viaggio ha inizio al livello del mare, nella stazione Desamparados di Lima.
A 4829 metri di altezza si arriva al Ticlio, il più alto passo ferroviario del mondo.
Enrique Meiggs- il progettista americano- pare abbia affermato: "io poserò le rotaie fin dove possono trottare i lama". La ferrovia fu costruita tra il 1870 e il 1908 da oltre 10.000 operai.
Tra di loro, cinquemila immigrati cinesi, conosciuti come coolíes, furono trasportati da Macao, mentre l’altra metà era composta da peruviani e cileni.
Il lavoro in questa zona fu epico, tutti i ponti, i macchinari e gli impianti furono importati da Inghilterra, Francia e Stati Uniti, e assemblati in officine peruviane.
Tuttavia, man mano che le rotaie della ferrovia risalivano la sierra centrale nascevano i primi problemi: il soroche (o male d’altitudine), la carenza di alimenti e le malattie -come la temibile "verruga"- decimarono gli operai.
Per superare tutta questa serie di inconvenienti, Enrique Meiggs assunse operai nativi, che si adattavano meglio all’altitudine.
Il 22 settembre 1908 diventò una data solenne: quel giorno venne inaugurato il servizio passeggeri tra Lima-La Oroya-Huancayo.
Fu la storica locomotiva "Roggerse" che, dalla stazione di Desamparados, rimorchiò tutto il convoglio con a bordo 150 emozionati abitanti di Huancayo diretti alla loro terra.
Quando giunsero in paese due giorni dopo furono accolti da festeggiamenti in grande stile: il sogno diventava imponente e mobile realtà.
Era il mezzo di trasporto desiderato, il tanto atteso contatto con la costa, il fumante vincolo tra i dimenticati villaggi della sierra centrale disseminati lungo un percorso di 300 chilometri.
Oggi il servizio passeggeri è molto ridotto rispetto a un tempo: per i passeggeri sono previste escursioni l'ultimo fine settimana del mese, mentre il servizio giornaliero è dedicato al trasporto dei minerali dalle miniere andine.
Thierry Cohen: come sarebbero le città senza inquinamento luminoso
L’artista parigino Thierry Cohen (Parigi, 1964), uno dei pionieri della fotografia digitale, lavora dal 2010 al progetto “Villes Enteintes” (Città Oscurate).
Un’incredibile serie di scatti notturni delle città più grandi del mondo, senza l’effetto dell’inquinamento luminoso.
Per riuscirci, ha fotografato le metropoli di notte, registrando l’ora, la latitudine e la longitudine esatte. Dopo di che, con questi dati di riferimento, si è recato in diverse parti del mondo dove, dopo aver fatto i calcoli necessari del movimento di rotazione della Terra, ha potuto fotografare lo stesso cielo delle città, questa volta, però, al massimo della loro bellezza e luminosità!
Ecco il risultato del fantastico lavoro di Thierry Cohen, in cui scienza e arte s’incontrano e fondono, per offrirci delle immagini apparentemente surreali, ma in verità iperreali.
http://theworldnavigator.wordpress.com/
Il trucco del ragno
Se ci trovassimo nei panni di un animale molto piccolo circondato da potenziali predatori, faremmo qualunque cosa pur di salvarci la pelle. Persino travestirci dall'ultima cosa che al nemico verrebbe voglia di mangiare: la... pupù.
Una specie di ragno tessitore di provenienza orientale (si trova a Taiwan e in Cina, Giappone e Corea del Sud) maschera se stesso e la propria tela da feci di uccello, per risultare il più possibile sgradito agli insetti - prevalentemente vespe e formiche - che lo minacciano.
I ragni tessitori sono abilissimi architetti che tessono tele incredibilmente elaborate ad anelli concentrici, e le arricchiscono con foglie e bastoncini per difendere la prole dai predatori. Ma gli aracnidi della specie Cyclosa ginnaga hanno ideato un trucco ancora più scaltro: le loro tele dalle spesse decorazioni biancastre, arricchite dalle presenza dei ragni che si posizionano su di esse, somigliano in tutto e per tutto alle deiezioni degli uccelli.
Anche le dimensioni sono le stesse (in media 0,6 centimetri per ogni ragnatela).
Non un caso, secondo gli entomologi della National Chung Hsing University di Taiwan.
I ricercatori hanno misurato il contrasto cromatico tra i ragni (il cui dorso è bianco) e le loro tele, concludendo che le differenze di colore tra l'animale e la sua casa sono troppo tenui per essere notate dalle vespe che li predano.
Quindi è venuto l'esperimento vero e proprio: gli entomologi hanno catturato alcuni ragni e hanno scurito con una polvere il loro corpo o la loro ragnatela.
Rimessi in libertà, li hanno filmato per quasi 200 ore. I ragni "scuriti" hanno attirato l'attenzione dei predatori molto di più rispetto a quelli il cui corpo, o la cui tela, erano rimasti bianchi. Rimane da dimostrare che effettivamente le vespe abbiano scambiato aracnidi e ragnatele per escrementi di uccello (piuttosto che essere semplicemente ingannate dal tono su tono che ha reso il corpo dei tessitori invisibile).
Se si trovassero altre prove schiaccianti, a questi ragni andrebbe senza dubbio il premio per il travestimento più creativo.
Elisabetta Intini
La portulaca...e la chiamano erbaccia !
Una piantina dalle foglie lucide e dai fusti carnosi prostrati sul terreno: è la portulaca, detta anche “erba porcellana”, in napoletano “pucchiacchella”, comunissima da fine primavera fino ai primi geli nei terreni fertili e lavorati.
Questa pianta erbacea molto antica era consumata e coltivata dai nostri progenitori già duemila e più anni fa.
Probabilmente originaria dell’India o forse dell’America meridionale, è diffusa oggi in gran parte del mondo, ma è purtroppo trascurata nei Paesi sviluppati, nei quali viene spesso considerata un’erbaccia.
Gli antichi Romani l’apprezzavano invece molto sia dal punto di vista alimentare che da quello te rapeutico e magico. Plinio il Vecchio, infatti, la riteneva utile per combattere le febbri e per togliere il malocchio a persone ed animali.
La portulaca (Portulaca olera-cea) è una pianta spontanea presente in tutta Italia, che ama il clima caldo e predilige i terreni lavorati e che disdegna, invece, i terreni abbandonati ed i pascoli. I gambi della portulaca, di colore rosso-marrone chiaro, sono piuttosto carnosi, come le foglie, il cui colore è invece verde chiaro brillante: queste ultime hanno una forma tipica (ovato-bislunga) e sono sparse lungo il gambo.
I fiori, di solito molto piccoli e di un bel colore giallo, si aprono solo in giornate assolate ed hanno una vita brevissima (poche ore).
Alla caduta dei petali si formano delle piccole capsule verdi che poi si seccano e, lasciano cadere numerosi semini neri.
I semi e e la pianta essiccata possono essere usati nelle zuppe e i semi-mescolati ai cereali
Proprietà terapeutiche
Le molte proprietà della portulaca sono dovute ai suoi “preziosi” componenti: mucillagine (in elevata percentuale), proteine (20-40% sul peso secco), calcio, ferro, vitamine A, C ed E, saponina. Ma a rendere questo ortaggio particolarmente “prezioso” per la nostra salute è il contenuto. più alto che nel pesce, di omega3, ossia di acidi grassi utili nella prevenzione e nella cura delle malattie
cardiovascolari.
Grazie alle mucillagini, è un emolliente naturale, spesso usato per pelli secche e arrossate.
Viene usata anche come antinfiammatorio, depurativo, diuretico vermifugo, rinfrescante.
I semi sono nutrienti e ricchi di olio e proteine.
Le foglie e i fusti teneri della portulaca si possono utilizzare in cucina sia crudi che cotti.
Un ottimo modo per gustare questo ortaggio è farne un’insalata cruda, condita con olio e sale o con condimenti più forti (yogurt o mostarda) quando è consumata da sola, oppure mescolandola ad altri ortaggi come menta e crescione o pomodori e basilico.
La portulaca fresca si conserva a lungo in frigorifero.
Lo stesso procedimento usato per conservare melanzane o zucchine sott’olio si usa anche per la portulaca.