domenica 27 aprile 2014

I pipistrelli, i migliori amici dell'uomo e dell'ambiente


I pipistrelli sono un gruppo di mammiferi molto evoluti, che possiedono caratteristiche uniche: questi animali sono infatti gli unici mammiferi in grado di volare, grazie ad una mano che l’evoluzione ha modellato a formare un’ala perfetta.
 Proprio per questo motivo i pipistrelli vengono chiamati, con il loro nome scientifico, chirotteri, una parola derivata dal greco che significa “mano alata”.


Un’altra caratteristica unica dei pipistrelli è quella di sapersi muovere e cacciare al buio, grazie ad un sistema chiamato ecolocalizzazione. 
Questo “sesto senso” funziona come un vero e proprio sonar.
 Un pipistrello emette brevi ultrasuoni e ne ascolta l’eco di ritorno: attraverso l’analisi di questa eco riesce a costruire un’immagine “sonora” di ciò che lo circonda.
 Ad esempio, in base al tempo che l’eco impiega a tornare, un pipistrello è in grado di stabilire a che distanza si trova la sua preda.


Al mondo esistono circa 1200 specie di pipistrello, che rappresentano ben un quarto di tutti i mammiferi terrestri. 
Tutte queste specie possono essere raggruppate in un due grandi categorie: i megachirotteri, conosciuti anche come "volpi volanti" e i microchirotteri.
 I megachirotteri hanno grandi dimensioni (il più grande ha 2 metri di apertura alare!), si nutrono di frutta o nettare, non usano ultrasuoni e vivono in Africa, Asia e Australia. 
I microchirotteri hanno piccole dimensioni (il più piccolo mammifero al mondo è proprio un pipistrello! Vive in Thailandia, pesa solo 2 grammi ed è lungo 3 cm), usano ultrasuoni, si nutrono di moltissime varietà animali e vegetali a seconda della specie e sono diffusi praticamente in tutte le regioni del mondo, compreso il circolo polare artico!


I pipistrelli si sono adattati a sfruttare moltissime risorse alimentari. Al mondo esistono specie che si nutrono di polline e nettare: questi pipistrelli sono quindi importantissimi impollinatori di molte piante che senza di loro non potrebbero più riprodursi e andrebbero incontro all'estinzione.
 Altre specie si nutrono di frutta e aiutano quindi a disperdere i semi delle piante di cui si nutrono in un ampio raggio, attraverso i loro escrementi.
 Altre specie sono carnivore: si nutrono ad esempio di piccoli mammiferi, rane, piccoli uccelli o pesci, che catturano al volo. 
Ci sono poi pipistrelli che si nutrono di insetti, come quelli che vivono in Europa, che offrono all'uomo un ottimo servizio nutrendosi anche di insetti dannosi per l'agricoltura o fastidiosi come le zanzare. 
In ultimo ci sono i famosi "pipistrelli vampiro" che si nutrono di sangue, praticando minuscoli tagli sulla pelle di altri animali. Sono solamente 3 le specie al mondo che hanno questa dieta e vivono nei paesi del Centro e del Sud America.

Piccola storia della posta



6000-5000 a. C: invio di segnali luminosi con torce, fumo e specchi in Cina e Corea' il primo sistema postale della storia (i segnali potevano anche essere acustici, come con tamburi, corni o trombe). 4000 a. C: primo servizio postale in Cina, con messaggeri a cavallo. Le lettere sono tavolette di argilla.
3000-2000 a. C: prime lettere su carta vegetale (papiro) in Egitto. In Cina si usa carta di soia o di riso.
1200 a. C: in Egitto si differenzia la posta; posta governativa e posta privata.
530 a. C: Ciro il Grande crea una rete postale di 2,700 Km con oltre 100 stazioni di posta.
300 a. C: prima posta 'espresso' in Egitto. Era un servizio di posta reale recapitata entro le 24 ore mentre per la posta regolare si impiegavano circa 4 giorni.
27 a. C: l'impero romano realizza la rete stradale e postale che copre 300 mila Km.
1200: in Egitto nasce la posta aerea con i piccioni viaggiatori.
1558: nascono, sotto il regno di Elisabetta I d'Inghilterra, le poste nazionali.
1604: Carlo Emanuele I di Savoia istituisce il primo monopolio statale, e nascono le prime buche per lettere.
1653: a Parigi si crea un servizio postale privato con affrancatura a carico del mittente. Il servizio era limitato alla sola città e durò solo un anno.
1760: nascono le navi postali, da Londra al Portogallo fino alle colonie del Nord America.
A Parigi si inaugura un servizio di pony express cittadino con consegna entro le 24 ore.
1792: in Inghilterra nasce il servizio di vaglia postale.
1792: in Francia nasce il telegrafo ottico di Claude Chappe, un sistema di telecomunicazione attraverso segnali luminosi.
1840: viene spedita a Londra la prima lettera con un francobollo; il Penny Black. E' il mittente che paga la spedizione.
1844: Samuel Morse invia il primo messaggio telegrafico fra Washington e Baltimora.
1856: l'abate Giovanni Caselli realizza il pantelegrafo che può inviare immagini tramite linee telegrafiche.
1863: prima serie di francobolli italiani con l'immagine di Vittorio Emanuele II.
1867: a Londra debutta la posta pneumatica creata alla fine del 1600. La corrispondenza viaggia dentro tubature in bossoli spinti da aria compressa, in singoli edifici o in reti urbane.
1869: nasce in Austria la cartolina postale, molto economica ma con meno privacy. 
1871: Antonio Meucci brevetta il telefono.
1874: nasce in Svizzera l'Unione Postale Universale che uniforma le tariffe postali delle nazioni e sancisce l'inviolabilità della corrispondenza.
1896: Guglielmo Marconi brevetta il telegrafo senza fili.
1906: Reginald Fessenden realizza in Usa la prima trasmissione radio.
1911: in India avviene il primo trasporto ufficiale di posta aerea. 1916: il sommergibile tedesco Deutschland fa il primo trasporto di posta sottomarina negli Usa.
1933: il primo record di lettere mai ricevute lo realizza Topolino dai suoi fan.
1967: in Italia vengono introdotti i Cap (Codici di Avviamento Postale).
1969: all'Università della California avviene il primo scambio di messaggi fra calcolatori sulla rete Arpanet.
1973: Martin Cooper, ingegnere Usa fa la sua prima chiamata con il cellulare.
1992: un ingegnere inglese invia il primo Sms per fare gli auguri di Natale ad un suo collega.
1993: viene venduta all'asta in Svizzera la lettera più preziosa del mondo; è del 1847 per un mercante di vino di Bordeaux con 2 francobolli della prima serie di Mauritius.
1996: viene venduto all'asta il francobollo più prezioso del mondo, sempre in Svizzera; il 'Treskilling' giallo svedese.
1999: nasce in Italia la posta prioritaria.
2000: il virus elettronico 'i love you' infetta via e-mail più di 3 milioni di computer nel mondo.
2001: negli Usa vengono inviate lettere all'antrace.
2003: il provider MSN Hotmail è il più grande server di e-mail del mondo, con oltre 110 milioni di sottoscrittori che inviano ogni giorno 40 milioni di e-mail. Il risparmio di carta consente di salvare 500 alberi al giorno.
2006: in Usa la Western Union sospende il servizio di telegrammi: e-mail e Sms lo hanno reso obsoleto.
2009: cade in Europa, il monopolio sui servizi postali.

La Basilica di San Marco a Venezia


Il 31 gennaio 829 iniziò un nuovo corso per la storia di Venezia, con l’arrivo da Alessandria d’Egitto del corpo di san Marco. 
Il culto dell’Evangelista divenne religione di stato, officiato nella nuova chiesa che avrebbe presto soppiantato quella dedicata all’antico patrono Teodoro. 

 Fin dalle sue origini San Marco fu cappella palatina e teatro delle cerimonie ufficiali: vi era consacrato il doge neoeletto, vi venivano consegnate le insegne agli ammiragli, vi si rendeva grazie per la cessazione di guerre e pestilenze.
 Palinsesto dell’intera storia veneziana, la basilica venne riedificata e ampliata più volte, assecondando il crescente prestigio della città. Marmi, sculture e mosaici ne occultarono la spoglia facciata romanico-bizantina, trasformandola in uno schermo prezioso, come fosse la “quarta parete” porticata della piazza. 
Rilucente come una grotta marina per i mosaici che la rivestono interamente, San marco ripropose nella struttura la basilica imperiale dei Santi Apostoli e nelle funzioni quella di Santa Sofia a Costantinopoli, suggellando così lo stesso destino di Venezia, sospinta sull’acqua verso Oriente.


La storia di San Marco è anche quella dell’evoluzione architettonica di Venezia, dalle origini al Rinascimento.

 La prima basilica dalla planimetria probabilmente già a croce greca, venne consacrata nell’832 e subì un importante restauro nel 978, in seguito all’incendio appiccato nel 976 durante la rivolta popolare contro doge Pietro Candiano IV. 
 Nel 1063 il doge Domenico Contarini ne avviò la ricostruzione in forme bizantine, conclusa nelle strutture in laterizio nel 1094, quando la basilica venne consacrata. 
Tra l’inizio del XII secolo e la prima metà del XIII, un ampio atrio si estese a circondare i tre lati del braccio ovest.
 La struttura di San Marco era ormai definita e, mentre si contemplava la decorazione musiva e l’esterno veniva interamente rivestito di rilievi e marmi provenienti dall’Oriente, veniva interrata l’antistante darsena per far posto alla piazzetta.


Successivamente solo poche modifiche interessarono gli spazi interni, tra le quali, alla metà del Trecento, la trasformazione di parte dell’atrio in battistero e quella di altri ambienti nella cappella di Sant’Isidoro.
 Nel XV secolo furono aggiunte le decorazioni gotiche sommatali e la nuova sagrestia.
 Nel 1807 l’ex cappella ducale divenne cattedrale e dal 1836 fu oggetto di radicali restauri, spesso invasivi, che si estesero per gran parte del secolo. 
 Scintillante di mosaici, nel suo prospetto di matrice orientale, la facciata è animata solo dai cinque portali che immettono nell' atrio, restringendosi con un effetto prospettico. 
Le preziose colonne che li rivestono su due file giunsero da Costantinopoli nel 1204 assieme a molti rilievi decorativi.
 Le maggiori dimensioni del portale centrale, che supera il livello della terrazza, e del retrostante finestrone, aperto nel XV secolo, isolano il settore centrale.
 Come fosse un arco di trionfo, esso era ornato da quattro cavalli bronzei, gioiello del bottino costantinopolitano, oggi sostituiti da copie.
 Il coronamento delle lunette venne aggiunto tra il 1384 e il 1430 da Pietro Lamberti e altri scultori toscani.
 I motivi vegetali ne fanno un capolavoro del gotico tardo, detto fiorito.


Tra le guglie e nelle edicole stanno santi guerrieri ed evangelisti, a far corteo a san Marco e al suo simbolo, il leone andante.
 Alle estremità, l’arcangelo Gabriele e la Vergine Annunciata ricordano la festa che coincide con il giorno di fondazione della città, il 25 marzo.
 Le cupole erano già state innalzate nel XII secolo da alte armature lignee, rivestite poi di piombo, riprendendo la forma a cuffia di quella della cappella bizantina della Vergine della Rocce a Costantinopoli.
 La copertura a bulbo delle lanterne conferisce loro un sapore mediorientale.


Il destino dell’uomo, legato alla misericordia divina, è il tema sviluppato nei tre arcani, finemente scolpiti, che incorniciano il portale maggiore. 
Capolavori della scultura gotica veneziana, essi permettono di seguirne lo sviluppo tra il 1240 e il 1350, dalle prime manifestazioni del nuovo stile alla sua piena fioritura.
 I due più esterni, che racchiudono il mosaico col Giudizio Universale sono strettamente apparentati. Entrambi rappresentano sulla faccia rivolta in basso, l’intradosso, il lavoro umano.
 Dedicata a Dio, esso è rappresentato nel primo arco dai diversi Mesi dell’anno con le attività in essi svolte, e nel secondo da quindici tra i Mestieri veneziani.


I suoi frutti, l’onestà e l’equità, consentono alle Virtù o a Sibille e Profeti posti all’esterno, sull’arcivolto, di annunciare la venuta del Cristo.
 Alla salvezza si accede quindi solo grazie al sacrificio quotidiano, teso a espiare “col sudore della fronte” il peccato originale.


L’imponente atrio testimonia le antiche origini della basilica. 
Formato da due ampi corridoi, coperti da cupole e arconi, esso ricorda il portico esterno delle prime chiese, riservato agli adulti non ancora battezzati o neofiti, obbligati a uscire di chiesa al momento dell’Eucarestia.
 La sua solenne struttura è però quella di un nartece bizantino, lo spazio adibito alle processioni imperiali, il cui nome deriva dal greco nartex, “scrigno”, a ricordarne la preziosità.


Un tempo, l’atrio avvolgeva su tre lati il braccio orientale.
 Sul lato a sud era aperto sull’antica darsena e vi si accedeva trionfalmente dall’antica Porta da mar.
 Esso fu murato nel 1504 per ricavarvi la ricca cappella funebre del cardinale Zen, ornata da statue in bronzo modellate da Antonio Lombardo.


In origine l’atrio consentiva perciò di ripercorrere la storia della salvezza del popolo eletto, rappresentato sui suoi cupolini dalle storie della Genesi o quelle di Mosé, e accedere infine alla basilica dal transetto nord.
 Non a caso, al tempo del doge Andrea Dandolo (1343 – 54), sulla porta si aprì anche il battistero, ricavato nella parte dell’atrio meridionale e strutturato su tre sale comunicanti, ideale “presupposto” per questa narrazione legato al tema della salvezza.


All’interno la dorata continuità dei mosaici su volte e pareti rende difficile decifrare il gioco delle strutture, annullando quasi la materialità dell’edificio.
 In una simmetria grecizzante la basilica è scandita da cinque cupole, di aspetto bizantino per la calotta ribassata e aperta alla base da finestrelle, poste alle estremità dei bracci e al centro. 
 I grandi arconi che la sorreggono evocano l’imponenza delle basiliche tardoromane.
 Sono impostati su possenti piloni tetrapili (composti cioè da quattro pilastri, collegati da archi e cupolette), sotto i quali passano le navate minori. 
Questo articolato sistema bizantino si ripropone su ciascun braccio, ed è completato dalle esili gallerie pensili, elevate su colonne, che in origine furono i matronei, riservati alle donne, le matrone latine.


Anche se l’edificio sembra a croce greca, la navata principale è ridotta in profondità per la presenza dell’abside, affiancata da due absidi minori; essa risulta tuttavia predominante, sia per la maggiore dimensione delle sue cupole, sia per il presbiterio rialzato. 
Uno sviluppo longitudinale, tipico della nuova cultura romanica, si fonde quindi all’eredità di Bisanzio, in una ritrovata grandiosità antica. 

 NEL PRESBITERIO, UNA SECONDA CHIESA 

 Capolavoro dei fratelli Jacobello e Pierpaolo Dalle Masegne, l’iconostasi è posta a isolare il presbiterio, lo spazio attorno all’altare. 
A San Marco l’area era riservata alla corte del doge, che vi accedeva dal palazzo tramite un ingresso riservato.
 In pianta, essa sembra ricreare lo schema di una croce greca più piccola, incentrato sotto la cupola dell’Emmanuele: per questo motivo le fonti antiche definiscono il presbiterio “chiesa minore”.


Le decorazioni musive confermano questa destinazione, in quanto le storie dell’arrivo del corpo di san Marco a Venezia, origine del potere dogale, sono poste in relazione con la soprastante cupola dell’Emmanuele, in cui Cristo giunge a portare la salvezza.


Sotto il presbiterio si sviluppa la cripta, che ne innalza il pavimento. Sorretta da cinque colonne, è quasi una seconda chiesa, bassa e raccolta, che presenta tracce delle murature della prima basilica e, non a caso, riproduce esattamente la forma della “chiesa minore”. 

Sul presbiterio si apre la porta della sagrestia, capolavoro scultoreo di Jacopo Sansovino.
 Voluto dal doge Agostino Barbarico come segno iniziale del suo dogato, la sagrestia venne realizzata dal proto Giorgio Spavento tra il 1486 e il 1493. è un elegante ambiente a se stante, nel quale il nuovo gusto rinascimentale si riflette anche negli arredi finemente intagliati e intarsiati. 
Le essenziali linee architettoniche della volta ribassata, sorrette da arcatelle, sono occultate da raffinati mosaici con figure naturalistiche, inquadrate da motivi vegetali che culminano nella grande croce centrale.
Altrettanto discreta fu l’apertura, nel transetto, della precedente cappella dei Mascoli, che deriva il suo nome da un’antica confraternita e la cui volta a botte venne decorata da grandi mosaici prospettici, primizie del nuovo stile in città.


Separato da basilica sorge il campanile, segno della potenza veneziana e ideale modello per molti altri campanili veneti.

 Nato nel IX secolo forse come torre d’avvistamento, il che spiegherebbe la sua posizione isolata, fu edificato a più riprese e concluso nel XII secolo. 
Acquisì il suo aspetto definitivo e la caratteristica policromia, che alleggerisce col candore del marmo la massiccia struttura irrobustita da lesene, nel 1514, quando l’architetto Giorgio Spavento la restaurò ampliando la cella campanaria e aggiungendovi la cuspide con l’Arcangelo Gabriele.
 Nel 1537 Jacopo Sansovino ne ornò la base con le classicheggiante Soggetta, ornata da rilievi celebrativi e in seguito destinata a simbolico corpo di guardia per le maestranze scelte, gli Arsenalotti. 

Con le sue campane dai nomi espressivi – Trottiera, Marangona, Maleficio – il campanile chiamava a raccolta i nobili alle riunioni in palazzo, regolava gli orari dell’Arsenale e scandiva le esecuzioni capitali: dai veneziani, era chiamato il “padrone di casa”. 
Dopo quattro secoli di onorato servizio, nel luglio 1902 decise di crollare con discrezione su se stesso, senza far vittime. Per ricompensa, ma soprattutto per orgoglio civico, fu immediatamente ricostruito “com’era e dov’era” e inaugurato dieci anni dopo.

Il significato delle zampe del cavallo nelle statue equestri



Una credenza comune attribuisce a dei significati ben precisi, la postura delle zampe nelle statue equestri in special modo sulla morte del cavaliere.
Se il cavallo ha le zampe posteriori alzate il suo cavaliere è morto in battaglia.
Se ha solo una zampa in aria è morto per le gravi ferite riportate in battaglia.
Se le sue zampe sono tutte e quattro a terra vuol significare che il cavaliere è morto per cause naturali.
Ma non è una regola fissa 

Le origini della vita



Il problema dell'origine della vita (biogenesi e abiogenesi) non puo' prescindere da una esatta definizione della "vita".
Appare, tuttavia, subito evidente di quanto possa essere difficile fornire una esatta interpretazione di un fenomeno tanto complesso ed imponente; molti studiosi, addirittura, ritengono che non sia possibile definire la stessa parola "vita"!
Molteplici sono stati nel passato ed in epoca più recente, i tentativi di dare una precisa definizione del fenomeno "vita", in alcuni casi fornendo interpretazioni approssimative o troppo generiche che potrebbero includere, tra i viventi, anche sistemi meccanici particolarmente sofisticati, in altri arrivando alla esclusione di alcune forme biologiche quali, ad esempio, i virus.
Comunque, anche se risulta oggettivamente difficile trovare una corretta definizione che tenga contemporaneamente conto di tutti i diversi aspetti di una tale fenomeno, e' facile riconoscere negli organismi viventi le seguenti caratteristiche peculiari ed esclusive che li separano nettamente da tutti gli altri:
I sistemi viventi sono capaci di autoconservazione, cioe' sono in grado di riprodurre se stessi e di originare discendenti a loro volta in grado di riprodursi.
Tali sistemi sono soggetti ad un basso tasso di alterabilita' (mutazione) ed allo stesso tempo sono capaci di trasmetterlo alla propria progenie.
Gli organismi viventi risultano complessi ed altamente organizzati; al contrario, i corpi inanimati costituiscono generalmente miscugli casuali di composti chimici piuttosto semplici.
Gli stessi cristalli, che rappresentano strutture piu' ordinate e complesse, sono molto semplici se confrontati con una cellula vivente.
I sistemi viventi utilizzano energie presenti nell'ambiente, trasformandole; comunque, la capacita' di utilizzare e trasformare energia non e' una prerogativa dei soli organismi viventi.
Anche i minerali e le rocce, infatti, assumono e trasformano energia (solare) pero', a differenza degli organismi viventi, tale scambio energetico con l'ambiente comporta generalmente una diminuzione del loro ordine struttturale.
Ciascun essere vivente e' in grado di adattarsi all'ambiente in cui vive (omeostasi).

TELEONOMIA DEI SISTEMI VIVENTI
Un' altra fondamentale caratteristica degli organismi viventi e' la loro teleonomia (Monod, 1970), cioè la presenza di processi diretti verso uno scopo, molto diffusi nel mondo organico (vivente).
I viventi sono cioè strutture dotate di un progetto: un animale, per esempio, ha occhi per vedere, zampe per camminare, apparati boccali per nutrirsi, etc.
Non esiste quasi nessuna attività e nessun comportamento, a partire dallo sviluppo dell'uovo, che non siano diretti verso un determinato scopo. A questo stesso ambito possono essere ricondotte tutte le fasi della riproduzione, la ricerca del nutrimento, le interazioni preda-predatore, le migrazioni, etc.
L'universalità dei processi diretti verso un ben definito scopo è forse la proprietà più caratteristica del mondo vivente. Il termine "teleonomico " è stato introdotto da C. S. Pittendrigh per designare i processi che hanno queste caratteristiche. Secondo l' autore un processo o un comportamento teleonomico è quello la cui direzione verso uno scopo è dovuta all'opera di un preciso programma.
Il comportamento teleonomico è caratterizzato da due componenti: 1) è guidato da un 'programma" 
2) dipende dall'esistenza di un fine o scopo, previsto nel programma stesso, che regola il comportamento.
Questo scopo può essere una struttura (come nell'ontogenesi), una funzione fisiologica, una nuova posizione geografica (come nel caso della migrazione) o un atto "consumatorio" (come nell'accoppiamento). Per capire bene che cos'è un programma si può affermare, che il programma di base è il genotipo dell'individuo. Ogni programma genetico è il prodotto della selezione naturale ed è costantemente messo a punto dal valore selettivo dello scopo raggiunto.
L'aspetto più caratteristico di un tale processo consiste nel fatto che la sua causalità è intrinseca. Il carattere immanente di questo tipo di teleologia è già stato chiaramente visto da Aristotele e da molti autori dopo di lui, assai prima della scoperta della genetica moderna.
Sinteticamente gli organismi viventi possono considerarsi come complessi di molecole che obbediscono alle leggi fondamentali della termodinamica e della cibernetica, cioe' un insieme di molecole compartimentate ed attraversate da un flusso di materiali, energia ed informazioni: 
Da un punto di vista più generale si può affermare che ciascun organismo vivente è rappresentato da una struttura altamente complessa, in grado di auto conservarsi, e di utilizzare energie esterne servendosi rispettivamente di un sistema genetico e di un sistema metabolico:
Il primo si basa sugli acidi nucleici DNA e RNA, il secondo sulle proteine.
I due sistemi sono entrambi indispensabili per mantenere la vita, tuttavia quale dei due si sarebbe formato per primo? A questa domanda e ad altre quali "come", "quando" e "dove" il fenomeno si sarebbe verificato, si rifanno praticamente tutte le ipotesi formulate circa l'origine della vita!
Nel passato la biogenesi (origine della vita da forme viventi pre-esistenti) e la abiogenesi (origine della vita da forme non viventi) hanno sempre stimolato l'interesse e la curiosita' scientifica di scienziati e filosofi (Democrito, Epicuro, Aristotele, Lucrezio, Darwin, Lamarck. Haeckel, etc.) e un tale affascinante problema e' stato oggetto di studi e controversie da parte di molti biologi e naturalisti di differente specializzazione e diverse sono state le ipotesi proposte a tale riguardo.
Di queste, se si esclude a priori quella, scientificamente non proponibile,del "Creazionismo", secondo la quale la vita sarebbe stata creata da un Ente Soprannaturale, le due principali ipotesi storiche riguardo l'origine della vita prendono in considerazione la possibilita' che il "fenomeno" sia stato importato sulla terra da altri pianeti, mediante germi o spore (ipotesi cosmozoica o della panspermia) (Arrhenius, 1903) o che la vita si sia originata direttamente sul nostro pianeta per "generazione spontanea". Entrambe le suddette ipotesi sono attualmente facilmente confutabili: la prima, in quanto non risolverebbe il problema dell'origine delle spore o dei germi responsabili del trasporto, peraltro improbabile se si tiene conto delle enormi difficolta' di un ipotetico viaggio interplanetario; la seconda, perche' e' stato ormai ampiamente dimostrato (Redi, Spallanzani, Pasteur) che batteri ed altri microorganismi non possono originarsi che da altri organismi preesistenti (Omne vivum e vivo; omnis cellula e cellula).
Tuttavia, in tempi più recenti, Crick e Orgel hanno parzialmente rivalutato la prima delle suddette ipotesi, suggerendone un'altra, più "ardita", definita "della panspermia orientata".
Secondo questi autori la terra potrebbe essere stata colonizzata deliberatamente da esseri intelligenti, molto evoluti, provenienti da altri sistemi solari; una tale affascinante ipotesi sarebbe confortata dalla constatazione che, ad esempio, il molibdeno, molto scarso sul nostro pianeta, sia d'altro canto essenziale per il funzionamento di numerosi enzimi!

Confessioni di un finanziere "Incasso tangenti per lo Stato"



Memorie di un finanziere della polizia tributaria.
Si potrebbe intitolare così il sorprendente documento esclusivo che state per leggere.
Si tratta della trascrizione, fedele alla lettera, del disarmante sfogo di un disincantato, onesto e preparato maresciallo della Guardia di Finanza, impegnato da diversi lustri nei temutissimi controlli alle imprese.
L’uomo, di cui evitiamo di indicare dati anagrafici e curriculum per non renderlo riconoscibile, ha apparecchiato per Libero uno zibaldone di pensieri, suddiviso in capitoletti, sul suo lavoro di tutti i giorni.
Che per lui è diventato un tran tran asfissiante, capace di condurlo quasi al rigetto.
Il risultato è questa spietata radiografia che stupisce e, in un certo senso, preoccupa di un mestiere che tanto trambusto porta nelle vite degli italiani.
Infatti in questo sfogo il militare dipinge le ispezioni delle Fiamme gialle come un ineluttabile meccanismo stritola-imprenditori il cui obiettivo non sarebbe una vera e sana lotta alle frodi fiscali, ma una fantasiosa e famelica caccia al tesoro indispensabile a lanciare le carriere di molti professionisti dell’antievasione.
«Nel nostro lavoro ci sono forzature evidenti, a volte imbarazzanti», ammette con Libero il maresciallo. Che qui di seguito svela retroscena e segreti dei controlli che intralciano ogni giorno il lavoro di centinaia di imprenditori. 
Una lettura che potrebbe agitare qualcuno e far alzare il sopracciglio ad altri.
Ma a tutti deve essere chiaro che non di fiction si tratta e che domani il nostro maresciallo e la sua pattuglia potrebbero bussare alla vostra porta.
Preparatevi a leggere il testo di questo finanziere raccolto in esclusiva da Libero.
Ossessione numeri -
Dietro alle verifiche ci sono enormi interessi economici: il dato del recupero dell’imposta serve a molti. Sia ai politici che ai finanzieri. Nella Guardia di Finanza il raggiungimento degli obiettivi legittima l’ottenimento dei premi incentivanti e gli stipendi stellari dei generali, che sono decine: uno per provincia, più uno per regione. Nel nostro Corpo esistono vere e proprie task-force che si occupano di fare previsioni di recupero d’imposta e a fine anno queste devono essere raggiunte, come se l’evasione fiscale si basasse su dei budget.
Gli operatori sul territorio sono meno di chi elabora questa realtà virtuale, su 64 mila finanzieri siamo circa 4 mila a fare i controlli. Indietro non si torna -
A fine anno i generali chiedono il dato dell’imposta evasa constatata e lo confrontano con quello dell’anno prima.
Il risultato non può essere inferiore a quello di 12 mesi prima.
Se il dato scende bisogna dar conto al reparto centrale di Roma del perché si siano recuperati meno soldi e il comandante del reparto periferico rischia di vedersi bloccare la carriera.
Per questo le nostre verifiche proseguono anche di fronte a evidenti illogicità.
I nostri ufficiali parlano solo di numeri e quando hanno sentore di un risultato, magari per una previsione affrettata di un ispettore, corrono dai loro superiori anticipando che da quella verifica potrà venir fuori un certo risultato: a quel punto non si può più tornare indietro. Il verbale diventa subito una statistica, una voce acquisita e ufficiale di reddito non dichiarato.
Quando si prospetta un ventaglio di possibilità per risolvere una contestazione si concentrano le energie sempre su quella che porta il risultato più alto.
Che sarebbe poco grave se fosse la strada giusta.
Ma spesso non lo è.
Per la Finanza quello che conta è il dio numero.
Il nostro unico problema è come tirarlo fuori.
Per riuscirci c’è un nuovo strumento infernale, la cosiddetta “mediana”, che va di gran moda tra gli ufficiali.
La si pronuncia con rispetto e deferenza, anche perché da essa dipende la carriera di chi la evoca.
Si tratta di uno studio fatto a tavolino, che stabilisce il valore medio della verifica necessario a raggiungere gli obiettivi, il tetto al di sotto del quale non si può andare.
Se capiamo che in un’azienda il verbale sarà di entità inferiore alla mediana, derubrichiamo la verifica a controllo in modo che non entri nelle statistiche ufficiali.
Alla Guardia di Finanza abbiamo uffici informatici che elaborano dati in continuazione.
Ma si tratta di numeri “drogati”, come lo sono quelli dei sequestri. Nei magazzini dei cinesi ho visto colleghi registrare alla voce “giocattoli” ogni singolo pallino delle pistole per bambini.
Spesso questi servizi si fanno in occasione delle feste natalizie, così passa l’informazione che sul territorio c’è sicurezza.
Con questi numeri i generali si riempiono la bocca il 21 giugno, giorno della festa del Corpo.
Lo speaker spara cifre in presenza di tutte le autorità, dei presidenti dei tribunali, dei politici, ecc. ecc.
Quel giorno è un tripudio di dati pronunciato con voce stentorea: recuperata tot Iva, scovati tot milioni di redditi non dichiarati, arrestati x emittenti fatture false.
Una festa!
Normativa astrusa - La normativa tributaria italiana è talmente ingarbugliata che si presta alla nostra logica del risultato a ogni costo. Per noi è piuttosto semplice fare un rilievo visto che siamo aiutati da questa legislazione astrusa e abnorme, spesso contradditoria e conflittuale.
Nel nostro Paese è quasi impossibile essere in regola e per chi lo sembra ci prendiamo più tempo per spulciare ogni carta.
Infatti se una norma può apparire favorevole all'imprenditore, c’è sicuramente un’altra interpretabile in maniera opposta.
E in questo ci aiuta l’oceanica produzione di sentenze, frutto di un eccessivo contenzioso.
Un contratto, un’operazione possono essere interpretati in mille modi e alla fine trovi sempre una sentenza della Cassazione che ti permette di poter fondare un rilievo su basi giuridiche certe.
Questo è il Paese delle sentenze.
Analizzando un bilancio, un’imperfezione si trova sempre. Magari per colpa dello stesso controllore che prima dice all’imprenditore di comportarsi in un modo e poi in un altro, inducendolo in errore.
Per esempio, su nostro suggerimento, un’azienda non contabilizza più certe spese come pubblicità (deducibili), ma come spese di rappresentanza (deducibili solo in parte).
Quindi arriva l’Agenzia delle Entrate e spiega che quelle non sono né l'una né l’altra.
A volte succede che qualcuno abbia già subito un controllo, abbia aderito a un condono e, zac, arriviamo noi e contestiamo lo stesso aspetto, ma in modo diverso.
Dopo i primi anni nel Corpo non ho più sentito di controlli chiusi con un nulla di fatto e in cui si torna a casa senza aver contestato qualcosa.
Alla fine chi lavora impazzisce. Chi sbaglia non paga - Come è possibile tutto questo? Semplice: perché chi sbaglia non paga, ma anche perché chi sbaglia non saprà mai di averlo fatto.
Il motivo è semplice: noi non comunichiamo con l’Agenzia delle Entrate e non sappiamo mai che fine facciano i nostri verbali.
Per questo se ho commesso un errore non lo verrò mai a sapere: il nostro è solo un verbale di constatazione, a renderlo esecutivo è l’Agenzia delle Entrate che lo trasforma in verbale di accertamento. Però raramente i nostri colleghi civili bocciano il nostro lavoro, anzi questo non succede nel 99,9 per cento delle situazioni.
Si fidano di noi e, anche se sono molto più preparati, nella maggior parte dei casi prendono il nostro verbale e lo notificano, tale e quale, al contribuente. Quello che sappiamo per certo è che i nostri verbali, giusti o sbagliati che siano, diventano numeri e quindi non ci interessa che vengano annullati, tanto non ne verremo mai a conoscenza né saremo chiamati a risponderne.
Per noi resta un grosso risultato.
E visto che nessuno paga per i propri errori, il povero imprenditore continuerà a trovarsi ignaro in un castello kafkiano fatto di norme e risultati da ottenere.
Imprese sacrificali
- Gli imprenditori con noi sono sempre gentili, ci accolgono con il caffè, sopportano di averci tra i piedi per settimane, ma si capisce che vorrebbero dirci: scusateci, ma avremmo pure da lavorare.
A noi però questo non interessa: dobbiamo contestargli un verbale a qualsiasi costo e quando bussiamo alla loro porta sappiamo che non hanno praticamente speranza di salvezza.
Per contrastare e contestare questa trappola infernale l’imprenditore è costretto a pagare consulenti costosissimi, ma noi rimaniamo sempre sulle nostre posizioni.
A volte capita che per provare a difendersi il presunto evasore chiami in soccorso come consulenti ex finanzieri, ma spesso questo non gli evita la sanzione. Anzi.
Negli ultimi anni ho notato una certa arrendevolezza da parte degli imprenditori: dopo un po’ si stancano.
Capiscono, e ce lo dicono, che tanto dovranno fare ricorso perché noi non cambieremo idea.
Per tutti questi motivi molti di loro costituiscono a inizio anno un fondo in previsione della visita della Finanza.
Sono coscienti che qualcosa dovranno comunque pagare.
Chi fa veramente le grandi porcate, chi apre e chiude partite Iva, emette false fatture o costituisce società di comodo magari alle Cayman è molto più veloce di noi e per questo non lo incastriamo, mentre azzanniamo quelli che operano sul territorio e che sono regolarmente censiti nelle banche dati.
Alla fine lo Stato colpisce sempre i soliti noti.
Non è una nostra volontà, ma dipende dal fatto che non abbiamo risorse per fare la vera lotta all’evasione e in ogni caso dobbiamo fornire dei numeri al ministero per poter legittimare la nostra esistenza come istituzione.Anche in Europa.
Tangente di Stato
- L’imprenditore, se accetta la proposta di adesione al verbale entro 60 giorni, paga solo un terzo di quanto gli viene contestato e spesso salda anche se non lo ritiene giusto, per togliersi il dente ed evitare ricorsi costosi (a volte più dei verbali) e sine die.
In pratica accetta di pagare una tangente allo Stato.
Agli imprenditori i ricorsi costano molto e se la commissione provinciale, il primo grado della giustizia tributaria, dà ragione allo Stato, l’imprenditore prima di ricorrere alla commissione regionale, il secondo grado, deve pagare metà del dovuto.
Per questo chi lavora spesso preferisce chiudere la partita all’inizio, pagando un terzo.
Giustizia da farsa
- Il contradditorio tra Guardia di Finanza e imprenditori durante le verifiche è una farsa, perché ognuno rimane sulla propria posizione, ma va fatto per legge.
Nel contradditorio gli imprenditori non hanno scampo: quel numero, quell’ipotesi di evasione, ormai è stato venduto e non può più essere ridimensionato.
È entrato nel sistema e nelle nostre statistiche. A noi non interessa se magari dopo anni quel verbale verrà annullato e non avrà prodotto alcun introito per lo Stato.
Le cose non vanno meglio con la giustizia tributaria, gestita da commissioni composte da avvocati, commercialisti, ufficiali della Finanza in pensione che fanno i giudici tributari gratuitamente giusto per fare qualcosa o per sentirsi importanti.
È incredibile, ma in Italia il sistema economico-finanziario viene affidato a un servizio di “volontariato”.
La verità è che un tale esercito di volontari senza gratificazioni economiche non se la sente di cassare completamente il lavoro di finanzieri e Agenzia delle Entrate e l’imprenditore qualcosa deve sempre pagare.
Difficilmente questi giudici per hobby danno torto allo Stato. L’assurdità è che vengono pagati 30-40 euro per motivare sentenze complesse che hanno come oggetto verbali da milioni di euro, scritti da marescialli aizzati dal sistema.
Formazione assente
- Il nostro vero problema è la mancanza di specializzazione di un Corpo che cerca di riscattarsi nel modo sbagliato, provando a portare a casa grandi risultati, sebbene “storti”.
A volte l’ignoranza aiuta a far montare un rilievo che non sta né in cielo né in terra.
Sulla nostra formazione non ho niente da dire, perché non esiste. Eppure dobbiamo confrontarci con specialisti agguerriti, leggere documenti in lingue straniere, e la gran parte di noi non sa una parola in inglese.
Non ci forniscono nemmeno i codici tributari aggiornati, mentre spendono milioni per farci esercitare ai poligoni, visto che siamo inspiegabilmente ancora una polizia militare, come solo in Equador e Portogallo.
Un commercialista lavora 12 ore al giorno e si forma continuamente.
Dall’altra parte della barricata c’è gente come noi che non vede l’ora di scappare via dall’ufficio, dove spesso non ha neppure a disposizione una scrivania o la deve condividere con altri colleghi. In questo modo il lavoro diventa l’ultimo dei pensieri.
I più bravi vanno in pensione appena possono, per riciclarsi come professionisti al soldo delle aziende.
Ci vuole una fortissima motivazione per studiare una materia terribile come il diritto tributario.
Avvocati e commercialisti trovano gli stimoli nelle parcelle, da noi un maresciallo con vent’anni di servizio guadagna 1.700 euro.
Gli incentivi li dobbiamo trovare dentro di noi, magari pensando di sfruttare il sistema per trovare un altro lavoro.
È illogico che un mestiere così delicato, dove si contestano milioni di euro d’evasione, sia affidato a gente sottopagata e impreparata. L’unico modo di tenersi aggiornati è quello di studiare a proprie spese, pagandosi master e corsi.
Purtroppo la formazione è costosissima e spesso ci rinunciamo.
È chiaro che un sistema del genere presti il fianco al rischio della corruzione.
In più bisogna considerare che per noi le verifiche sono particolarmente rischiose.
In base alla mia esperienza non le facciamo con la giusta professionalità, possiamo commettere errori in buona fede, essere invischiati in fatti che neanche capiamo.
Per esempio alcuni di noi sono stati accusati di aver ammorbidito un verbale per un tornaconto, in realtà lo avevano fatto per ignoranza e per questo ora quasi nessuno vuole più fare questo tipo di lavoro. Risorse all'osso
- I nostri capi hanno budget di spesa sempre più ristretti. Nonostante ciò ogni ufficiale deve portare a casa i risultati con i soldi e le pattuglie che ha.
Risultati almeno uguali a quelli dell’anno precedente.
A causa di questa mancanza di mezzi siamo costretti a portare via dalle aziende penne, risme di carta, spillatrici.
E secondo me gli imprenditori se ne accorgono, ma non dicono nulla per compassione.
Onestamente gli ufficiali non sono responsabili di questa penuria di risorse, visto che i fondi destinati alla lotta all’evasione vengono decisi dai politici.
Ma la frustrazione dei nostri superiori viene compensata da ottimi stipendi personali che lievitano grazie ai risultati conseguiti.
Cosa che ovviamente non succede a noi.
Nel nostro lavoro, la mattina, ammesso che trovi una macchina libera, devi prima fare car-sharing e accompagnare diversi colleghi ai reparti, quindi ti restano due o tre ore per fare visita a un’azienda. Quando rientriamo da una verifica il nostro principale problema è segnare sul registro quanti chilometri abbiamo fatto e quanta benzina abbiamo consumato.
Arriveremo al paradosso di fare le verifiche in ufficio a contribuenti trovati su Google.
Lontani dalla realtà
- I nostri vertici sono lontani dalla realtà, sono convinti che noi facciamo “lotta all'evasione”. C’è una distanza siderale tra chi sta in trincea, come me, e chi vive nei salotti.
Un maresciallo può parlare solo con il tenente e non con i gradi superiori.
Il nostro messaggio viene filtrato e arriva al vertice completamente distorto.
Nel nostro sistema militare non conta quello che pensi del tuo lavoro, ma il grado che hai sulle spalle.
L’ufficiale non va a riferire al superiore se l’ispettore gli ha detto che un controllo potrebbe non portare a niente.
Al contrario insinua nei vertici la speranza che un risultato arriverà. E così chi va in giro per aziende deve ingegnarsi per trovare il cavillo che porti al risultato, solo per sentirsi dire bravo o per una pacca sulla spalla.
L’animo umano si accontenta di poco. In questa catena di comando in cui tutti devono fare carriera non sono ammessi dubbi od obiezioni, l’informazione reale resta a valle, al generale arriva quella virtuale, il famoso “numero”.
In nome del quale vengono immolati molti evasori virtuali.

Tratto da Libero Quotidiano.it