sabato 22 marzo 2014
Giraffa bacia l’amico umano malato terminale
Sono immagini sempre toccanti quelle che riguardano l’addio di un malato terminale, ma se a dare l’ultimo saluto all’amico di sempre è una giraffa, il tutto assume un significato diverso, più profondo. L’uomo di nome Mario, colpito da un tumore al cervello all’età di 54 anni ha lavorato per molti anni nello Zoo di Rotterdam in Olanda, fino al momento della malattia.
Qui si è preso lungamente cura delle giraffe essendo addetto al loro settore.
Indubbiamente il suo non è stato un semplice lavoro, ma un qualcosa che ha fatto con il cuore, dando affetto e ricevendone in cambio.
Ricoverato in ospedale Mario ha chiesto di essere messo su un letto con le rotelle e di essere trasportato nel recinto delle giraffe.
La Ambulance Wish Foundation, una organizzazione caritatevole si è presa in carico il caso ed ha trasportato l’uomo allo zoo dopo aver organizzato il tutto.
Qui il commovente incontro e saluto, con un bacio da parte di una giraffa.
Ha raccontato Kees Veldboer fondatore e direttore della onlus: “Anche se il tumore al cervello di Mario lo ha paralizzato e gli ha reso difficile parlare, è bastato vedere il suo volto illuminato per capire.
Ho avuto la pelle d’oca poi, quando la giraffa lo ha baciato, gli ha leccato la faccia.
E’ stato molto speciale vedere come questi animali lo abbiano riconosciuto ed abbiano compreso che non stava bene. E bello è stato poter esaudire il desiderio di questo amico”.
Mario ha poi incontrato anche i suoi colleghi, ma di certo i momenti con la giraffa, con le immagini del caso, difficilmente potranno essere dimenticate da chiunque.
Ancora una volta vi abbiamo raccontato la storia di una giraffa in uno zoo, seppure molto diversa da quella della Giraffa Mario, che è stata brutalmente uccisa perché di troppo: l’affetto dimostrato da questo animale nei confronti del suo guardiano deve far riflettere su come gli animali siano esseri senzienti e come tale vadano trattati e rispettati, non credete anche voi?
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi hahahahahaha
Una signora voleva un animale domestico per farle un po' di compagnia mentre i figli erano a scuola e il marito al lavoro.
Dopo averci pensato un po' decide di scartare cani e gatti perchè danno troppo da fare.
Meglio un bel pappagallo che sa anche parlare.
Però c'è un problema: costano tutti un sacco!
Ma un giorno, per caso, ne vede uno esposto in un negozio, che costa solo 20 euro.
Fantastico! Entra e lo compra.
Mentre sta per pagare, il commesso le dice: "Senta Signora, devo però dirle una cosa imbarazzante... sa, non è un caso che costi così poco... il fatto è che 'sto pappagallo ha vissuto fino ad ora in un... bordello".
Ma è talmente bello che la signora decide di comprarlo ugualmente. Arriva a casa, lo piazza nella sua gabbia in salotto e aspetta con pazienza che dica qualcosa.
Il pappagallo si guarda un po' attorno, studia la stanza e la sua nuova padrona e alla fine dice:
"Ok, nuova casa, nuova maitresse".
La signora si imbarazza un po' ma poi ci ride sopra.
In fondo non ha detto niente di così sconveniente.
Tornano a casa le figlie da scuola e il pappagallo, dopo averle squadrate:
"Nuova casa, nuova maitresse, nuove ragazze"
Le ragazze si guardano allibite, ma poi si uniscono alle risate della madre.
Alle 6 torna a casa il marito.
Il pappagallo lo guarda bene, guarda ancora madre e figlie e dice: "Nuova casa, nuova maitresse, nuove ragazze, gli stessi vecchi clienti.
Crimea un lembo di terra ......purtroppo strategico per tutti
La Crimea venne ‘regalata’ all’Ucraina nel 1954 dall’allora leader sovietico Nikita Krusciov per celebrare i 300 anni dell’unione tra i due Paesi
.
E oggi soffiano venti di guerra Kiev, 27 febbraio 2014
Crimea al centro della crisi Ucraina-Russia.
Ma da dove arriva questa tensione? La Crimea venne ‘regalata’ all’Ucraina nel 1954 dall’allora leader sovietico Nikita Krusciov per celebrare i 300 anni dell’unione tra i due Paesi.
E la Russia sarebbe pronta oggi ad entrare in guerra per la Crimea, ha detto qualche giorno fa al Financial Times una fonte ufficiale di alto livello di Mosca.
“Se l’Ucraina si spacca - ha detto la fonte - scatenera’ una guerra. Perderanno subito la Crimea perché interverremo per proteggerla, esattamente come abbiamo fatto in Georgia”, quando nell’agosto 2008 le truppe russe invasero il Paese dopo un attacco lampo (fallito) delle forze georgiane in Ossezia del sud.
Ieri a Sinferopoli, la capitale della Repubblica autonoma, centinaia di ucraini russofoni si sono messi in coda - in presenza dei reporter stranieri - per arruolarsi nelle ‘brigate popolari’ per difendere la Crimea “se necessario”.
Oggi la Crimea è una penisola, appartenente all'Ucraina, sulla costa settentrionale del Mar Nero.
E' amministrata dall'omonima repubblica autonoma (ufficialmente Repubblica Autonoma di Crimea).
Conta 1 milione, 973mila 185 abitanti (fonte 2013).
Le lingue ufficiali di Crimea sono il russo, l'ucraino e la lingua tatara di Crimea.
Altre lingue parlate sono armeno, polacco e greco.
LE ORIGINI
I primi abitanti di Crimea dei quali si sono trovate tracce certe erano i Cimmeri che furono espulsi dagli Sciti nel VII secolo a.C., fra i loro antichi re si tramanda il nome di Tauri.
Nello stesso periodo i Greci vi fondarono diverse colonie: i Dori da Eraclea Pontica a Chersonesus e gli Ioni da Mileto a Teodosia e Panticapeo (città e porto del Regno del Bosforo Cimmerio). Durante i secoli successivi la Crimea venne invasa o occupata successivamente da Goti (250), Unni (376), Bulgari (V secolo), Khazari (VIII secolo), Rus' di Kiev (X-XI secolo), Bizantini (1016), Kipchaki (1050), e Mongoli (1237).
LA GUERRA DI CRIMEA
Combattuta tra il 1854 e il 1856, devastò il tessuto economico e sociale di Crimea e i Tatari che la abitavano furono costretti ad abbandonare la loro madrepatria non solo per le conseguenze della guerra ma anche per le persecuzioni e le confische di cui furono vittime.
I sopravvissuti al viaggio, alla fame e alle malattie si stabilirono nella Dobrugia, in Anatolia e in altri luoghi dell'Impero ottomano. Per la prima volta nella storia i tatari di Crimea divennero una minoranza nella loro terra, mentre la maggioranza di essi viveva la diaspora.
Alla fine il governo russo decise di fermare il processo, e l'agricoltura iniziò a soffrire a causa dell'abbandono delle terre fertili.
Durante la guerra civile russa la Repubblica Popolare di Crimea fu una roccaforte dell'Armata Bianca anti-bolscevica, proprio qui i Russi Bianchi guidati dal Generale Wrangel fecero la loro ultima resistenza contro l'Armata Rossa nel 1920.
La Crimea in seguito fu teatro di alcune delle più sanguinose battaglie della Seconda guerra mondiale.
I tedeschi soffrirono pesanti perdite cercando di avanzare attraverso l'istmo che collega la Crimea all'Ucraina continentale, a Perekop, nell'estate del 1941.
Quando i tedeschi riuscirono a irrompere, occuparono gran parte della Crimea, con l'eccezione della città di Sebastopoli.
La stessa resistette dall'ottobre 1941 fino al 4 luglio 1942, quando i tedeschi riuscirono infine a prenderla.
Nel 1944 Sebastopoli venne liberata dalle truppe sovietiche.
Il 18 maggio 1944 l'intera popolazione dei tatari di Crimea venne deportata con la forza dal governo sovietico di Stalin, come forma di punizione per la creazione del Wolgatatarische Legion, che aveva combattuto a fianco del Terzo Reich.
Il 21 maggio 1944, la pulizia etnica di Crimea era completata.
Si stima che il 46% dei deportati morì per la fame e le malattie.[senza fonte]
Nel 1967, i Tatari di Crimea vennero riabilitati, ma gli venne vietata la possibilità di tornare legalmente nella loro patria fino agli ultimi giorni dell'Unione Sovietica.
Il 29 gennaio 1942 era già stata deportata la minoranza italiana di Crimea formata a partire dal 1830 a seguito di un flusso migratorio proveniente soprattutto dalla Puglia.
Prima dell'avvento del comunismo la comunità contava circa 3.000 membri residenti soprattutto a Kerc, Feodosia e Simferopoli. Successivamente gli italiani si ridussero a circa 1.200 persone.
IL DOPOGUERRA E IL POST UNIONE SOVIETICA
La Repubblica Autonoma Socialista Sovietica di Crimea venne abolita nel 1945 e trasformata nell'Oblast di Crimea (provincia) della RSSF Russa).
Il 19 febbraio 1954, venne trasferita dal leader sovietico Nikita Krusciov alla RSS Ucraina come gesto per commemorare il 300esimo anniversario dei Trattato di Pereyaslav tra i cosacchi ucraini e la Russia.
Con il collasso dell'Unione Sovietica la Crimea è entrata a far parte dell'Ucraina, una soluzione osteggiata dalla gran parte della popolazione ormai di origine russa e causa di tensioni tra Russia e Ucraina.
Una delle ragioni della forte russificazione della penisola è da addebitare alle tante basi della Flotta del Mar Nero costruitevi dai russi.
Con la sconfitta elettorale delle forze politiche nazionaliste più radicali in Ucraina, la tensione si è lentamente allentata.
La Crimea proclamò l'autogoverno il 5 maggio 1992, ma in seguito accettò di rimanere all'interno dell'Ucraina come repubblica autonoma.
La città di Sebastopoli si trova all'interno della repubblica, ma gode di uno statuto di municipalità speciale in Ucraina.
Quei «tesori» che fanno gola a Putin Turismo, basi militari e vie dell’energia
KIEV — Da sola la Crimea non ci può stare.
Non ci sono sorgenti di acqua potabile, né centrali elettriche. Se il governo di Kiev decidesse di interrompere le forniture di gas, tre famiglie su quattro resterebbero al freddo e non potrebbero cucinare.
La penisola di Yalta e Sebastopoli dipende dal resto del Paese. Esiste anche una cifra che il ministero delle Finanze del nuovo governo ucraino usa come strumento di propaganda: 794 milioni di euro.
Sono i soldi che ogni anno la capitale passa alla Repubblica per ripianare il bilancio.
Spiccioli per Vladimir Putin? Forse no, visto che il bilancio russo è già in deficit per 6,5 miliardi di euro.
O forse sì, proprio perché quel miliardo scarso di spese ulteriori garantirebbe al Cremlino il pieno controllo della penisola.
Putin non pensa ai 6 milioni di turisti all’anno (su una popolazione di 2 milioni) e neanche ai vini pregiati di Yalta.
Cose che scaldano il cuore e rendono il 60% della ricchezza prodotta dal sistema locale.
Ma sono attività che bastano a mala pena per sopravvivere, risorse poco nutrienti: il reddito pro capite di un cittadino della Repubblica separatista è pari al 66% della media ucraina e all’80% di quella russa.
In realtà è inutile cercare un qualche tesoro nascosto nei dati e nelle statistiche ufficiali.
Non è certo per qualche filiera agroalimentare o per l’industria della villeggiatura che dal Cremlino è arrivato l’ordine di mostrare i kalashnikov.
L’importanza della Crimea è legata alla sua posizione.
In gioco non ci sono gli interessi della Russia di oggi, ma quelli di domani.
Militari, innanzitutto.
La base navale di Sebastopoli potrebbe essere potenziata fino a diventare l’avamposto russo più avanzato nel fianco orientale della Nato.
Sul Mar Nero si affacciano diversi partner dell’Alleanza atlantica: Romania, Bulgaria e, soprattutto, Turchia.
Altri analisti suggeriscono di seguire la scia del petrolio.
Al largo delle coste assolate, sono già attivi campi offshore per la produzione di gas.
I volumi sono ancora poco significativi, ma la potenzialità ha suscitato l’attenzione delle multinazionali, come le americane ExxonMobil e Chevron, l’olandese Royal Dutch Shell e persino la Petrochina.
Forse alla fine le esplorazioni non daranno risultati apprezzabili.
Ma può anche darsi il contrario e allora il ruolo di grande esportatore della Russia potrebbe uscirne ridimensionato.
A meno che le compagnie straniere non si trovino all’improvviso, grazie al referendum e ai soldati camuffati, a trattare con Mosca e non più con Kiev.
Quanto vale in termini economici questa scommessa?
Impossibile azzardare dei numeri, ma certo vale tanto.
Come pure potrebbe contare un’altra ipotesi, avanzata nei giorni scorsi dalla stampa inglese.
Putin starebbe addirittura meditando di deviare il percorso del nuovo oleodotto South Stream, facendolo passare attraverso la Crimea e l’Ucraina sud occidentale, anziché nella profondità del Mar Nero e da qui alla Bulgaria.
Risparmio stimato: più di 14 miliardi di euro.
Tutte queste spinte, queste ambizioni potrebbero trasformarsi in progetti di sviluppo multilaterali, con profitto per i diversi Paesi.
In fondo i rapporti tra Russia, Ucraina ed Europa si sono retti su uno schema di mutualità che ha funzionato per 23 anni, a cominciare naturalmente dall’energia.
Putin pensa che questo meccanismo si sia rotto con la rivoluzione di Maidan e con la cacciata del suo sodale e garante Viktor Yanukovich.
Ora cerca una rivincita anche economica in Crimea.
Giuseppe Sarcina
.
E oggi soffiano venti di guerra Kiev, 27 febbraio 2014
Crimea al centro della crisi Ucraina-Russia.
Ma da dove arriva questa tensione? La Crimea venne ‘regalata’ all’Ucraina nel 1954 dall’allora leader sovietico Nikita Krusciov per celebrare i 300 anni dell’unione tra i due Paesi.
E la Russia sarebbe pronta oggi ad entrare in guerra per la Crimea, ha detto qualche giorno fa al Financial Times una fonte ufficiale di alto livello di Mosca.
“Se l’Ucraina si spacca - ha detto la fonte - scatenera’ una guerra. Perderanno subito la Crimea perché interverremo per proteggerla, esattamente come abbiamo fatto in Georgia”, quando nell’agosto 2008 le truppe russe invasero il Paese dopo un attacco lampo (fallito) delle forze georgiane in Ossezia del sud.
Ieri a Sinferopoli, la capitale della Repubblica autonoma, centinaia di ucraini russofoni si sono messi in coda - in presenza dei reporter stranieri - per arruolarsi nelle ‘brigate popolari’ per difendere la Crimea “se necessario”.
Oggi la Crimea è una penisola, appartenente all'Ucraina, sulla costa settentrionale del Mar Nero.
E' amministrata dall'omonima repubblica autonoma (ufficialmente Repubblica Autonoma di Crimea).
Conta 1 milione, 973mila 185 abitanti (fonte 2013).
Le lingue ufficiali di Crimea sono il russo, l'ucraino e la lingua tatara di Crimea.
Altre lingue parlate sono armeno, polacco e greco.
LE ORIGINI
I primi abitanti di Crimea dei quali si sono trovate tracce certe erano i Cimmeri che furono espulsi dagli Sciti nel VII secolo a.C., fra i loro antichi re si tramanda il nome di Tauri.
Nello stesso periodo i Greci vi fondarono diverse colonie: i Dori da Eraclea Pontica a Chersonesus e gli Ioni da Mileto a Teodosia e Panticapeo (città e porto del Regno del Bosforo Cimmerio). Durante i secoli successivi la Crimea venne invasa o occupata successivamente da Goti (250), Unni (376), Bulgari (V secolo), Khazari (VIII secolo), Rus' di Kiev (X-XI secolo), Bizantini (1016), Kipchaki (1050), e Mongoli (1237).
LA GUERRA DI CRIMEA
Combattuta tra il 1854 e il 1856, devastò il tessuto economico e sociale di Crimea e i Tatari che la abitavano furono costretti ad abbandonare la loro madrepatria non solo per le conseguenze della guerra ma anche per le persecuzioni e le confische di cui furono vittime.
I sopravvissuti al viaggio, alla fame e alle malattie si stabilirono nella Dobrugia, in Anatolia e in altri luoghi dell'Impero ottomano. Per la prima volta nella storia i tatari di Crimea divennero una minoranza nella loro terra, mentre la maggioranza di essi viveva la diaspora.
Alla fine il governo russo decise di fermare il processo, e l'agricoltura iniziò a soffrire a causa dell'abbandono delle terre fertili.
Durante la guerra civile russa la Repubblica Popolare di Crimea fu una roccaforte dell'Armata Bianca anti-bolscevica, proprio qui i Russi Bianchi guidati dal Generale Wrangel fecero la loro ultima resistenza contro l'Armata Rossa nel 1920.
La Crimea in seguito fu teatro di alcune delle più sanguinose battaglie della Seconda guerra mondiale.
I tedeschi soffrirono pesanti perdite cercando di avanzare attraverso l'istmo che collega la Crimea all'Ucraina continentale, a Perekop, nell'estate del 1941.
Quando i tedeschi riuscirono a irrompere, occuparono gran parte della Crimea, con l'eccezione della città di Sebastopoli.
La stessa resistette dall'ottobre 1941 fino al 4 luglio 1942, quando i tedeschi riuscirono infine a prenderla.
Nel 1944 Sebastopoli venne liberata dalle truppe sovietiche.
Il 18 maggio 1944 l'intera popolazione dei tatari di Crimea venne deportata con la forza dal governo sovietico di Stalin, come forma di punizione per la creazione del Wolgatatarische Legion, che aveva combattuto a fianco del Terzo Reich.
Il 21 maggio 1944, la pulizia etnica di Crimea era completata.
Si stima che il 46% dei deportati morì per la fame e le malattie.[senza fonte]
Nel 1967, i Tatari di Crimea vennero riabilitati, ma gli venne vietata la possibilità di tornare legalmente nella loro patria fino agli ultimi giorni dell'Unione Sovietica.
Il 29 gennaio 1942 era già stata deportata la minoranza italiana di Crimea formata a partire dal 1830 a seguito di un flusso migratorio proveniente soprattutto dalla Puglia.
Prima dell'avvento del comunismo la comunità contava circa 3.000 membri residenti soprattutto a Kerc, Feodosia e Simferopoli. Successivamente gli italiani si ridussero a circa 1.200 persone.
IL DOPOGUERRA E IL POST UNIONE SOVIETICA
La Repubblica Autonoma Socialista Sovietica di Crimea venne abolita nel 1945 e trasformata nell'Oblast di Crimea (provincia) della RSSF Russa).
Il 19 febbraio 1954, venne trasferita dal leader sovietico Nikita Krusciov alla RSS Ucraina come gesto per commemorare il 300esimo anniversario dei Trattato di Pereyaslav tra i cosacchi ucraini e la Russia.
Con il collasso dell'Unione Sovietica la Crimea è entrata a far parte dell'Ucraina, una soluzione osteggiata dalla gran parte della popolazione ormai di origine russa e causa di tensioni tra Russia e Ucraina.
Una delle ragioni della forte russificazione della penisola è da addebitare alle tante basi della Flotta del Mar Nero costruitevi dai russi.
Con la sconfitta elettorale delle forze politiche nazionaliste più radicali in Ucraina, la tensione si è lentamente allentata.
La Crimea proclamò l'autogoverno il 5 maggio 1992, ma in seguito accettò di rimanere all'interno dell'Ucraina come repubblica autonoma.
La città di Sebastopoli si trova all'interno della repubblica, ma gode di uno statuto di municipalità speciale in Ucraina.
Quei «tesori» che fanno gola a Putin Turismo, basi militari e vie dell’energia
KIEV — Da sola la Crimea non ci può stare.
Non ci sono sorgenti di acqua potabile, né centrali elettriche. Se il governo di Kiev decidesse di interrompere le forniture di gas, tre famiglie su quattro resterebbero al freddo e non potrebbero cucinare.
La penisola di Yalta e Sebastopoli dipende dal resto del Paese. Esiste anche una cifra che il ministero delle Finanze del nuovo governo ucraino usa come strumento di propaganda: 794 milioni di euro.
Sono i soldi che ogni anno la capitale passa alla Repubblica per ripianare il bilancio.
Spiccioli per Vladimir Putin? Forse no, visto che il bilancio russo è già in deficit per 6,5 miliardi di euro.
O forse sì, proprio perché quel miliardo scarso di spese ulteriori garantirebbe al Cremlino il pieno controllo della penisola.
Putin non pensa ai 6 milioni di turisti all’anno (su una popolazione di 2 milioni) e neanche ai vini pregiati di Yalta.
Cose che scaldano il cuore e rendono il 60% della ricchezza prodotta dal sistema locale.
Ma sono attività che bastano a mala pena per sopravvivere, risorse poco nutrienti: il reddito pro capite di un cittadino della Repubblica separatista è pari al 66% della media ucraina e all’80% di quella russa.
In realtà è inutile cercare un qualche tesoro nascosto nei dati e nelle statistiche ufficiali.
Non è certo per qualche filiera agroalimentare o per l’industria della villeggiatura che dal Cremlino è arrivato l’ordine di mostrare i kalashnikov.
L’importanza della Crimea è legata alla sua posizione.
In gioco non ci sono gli interessi della Russia di oggi, ma quelli di domani.
Militari, innanzitutto.
La base navale di Sebastopoli potrebbe essere potenziata fino a diventare l’avamposto russo più avanzato nel fianco orientale della Nato.
Sul Mar Nero si affacciano diversi partner dell’Alleanza atlantica: Romania, Bulgaria e, soprattutto, Turchia.
Altri analisti suggeriscono di seguire la scia del petrolio.
Al largo delle coste assolate, sono già attivi campi offshore per la produzione di gas.
I volumi sono ancora poco significativi, ma la potenzialità ha suscitato l’attenzione delle multinazionali, come le americane ExxonMobil e Chevron, l’olandese Royal Dutch Shell e persino la Petrochina.
Forse alla fine le esplorazioni non daranno risultati apprezzabili.
Ma può anche darsi il contrario e allora il ruolo di grande esportatore della Russia potrebbe uscirne ridimensionato.
A meno che le compagnie straniere non si trovino all’improvviso, grazie al referendum e ai soldati camuffati, a trattare con Mosca e non più con Kiev.
Quanto vale in termini economici questa scommessa?
Impossibile azzardare dei numeri, ma certo vale tanto.
Come pure potrebbe contare un’altra ipotesi, avanzata nei giorni scorsi dalla stampa inglese.
Putin starebbe addirittura meditando di deviare il percorso del nuovo oleodotto South Stream, facendolo passare attraverso la Crimea e l’Ucraina sud occidentale, anziché nella profondità del Mar Nero e da qui alla Bulgaria.
Risparmio stimato: più di 14 miliardi di euro.
Tutte queste spinte, queste ambizioni potrebbero trasformarsi in progetti di sviluppo multilaterali, con profitto per i diversi Paesi.
In fondo i rapporti tra Russia, Ucraina ed Europa si sono retti su uno schema di mutualità che ha funzionato per 23 anni, a cominciare naturalmente dall’energia.
Putin pensa che questo meccanismo si sia rotto con la rivoluzione di Maidan e con la cacciata del suo sodale e garante Viktor Yanukovich.
Ora cerca una rivincita anche economica in Crimea.
Giuseppe Sarcina
La sveglia
La sveglia ha il pulsante di arresto dello squillo posto nella posizione più difficile da raggiungere quando vi svegliate la mattina, è appositamente previsto un corso di allungamento delle braccia, anche se è inutile, sarà sempre almeno 1 cm oltre la portata massima della vostra mano.
La sveglia non conosce il calendario.
Se vi dimenticate che il giorno dopo è domenica vi sveglierete con il caffé in mano e vi accorgerete che è festa quando troverete il vostro ufficio chiuso.
La sveglia è quel meccanismo infernale provvisto di vita propria, se per caso riuscite a premere il pulsante di arresto, quel nazista del progettista avrà sicuramente fatto in modo che suoni ancora dopo 1 minuto, ... dopo un minuto ... dopo un minuto ... dopo un minuto ...
La sveglia è opportunamente predisposta perchè non suoni quando dovete prendere il treno, l'aereo o nel caso che il vostro principale vi attenda per congratularsi per la vostra puntualità in ufficio.
La sveglia ha seguito un corso da sommozzatore, inutile immergerla in un bicchiere d'acqua il suono ve lo manda a mezzo delle bollicine che scoppiano alla superficie.
La sveglia è affezionata, vi segue con il suo tic-tac tutta la notte o con le ore e lancette fosforescenti, lo fa nel vostro interesse, vi prepara al momento in cui suonerà per svegliarvi dopo una notte insonne passata a guardarla ...
La sveglia sa che vi seguirà sempre, dopo una vita di lavoro durante il quale è stata in vostra compagnia vi seguirà anche nell'età della pensione ... per ricordarvi che è ora di alzarsi .. per niente
La Welwitschia mirabilis, un enigma botanico, un fossile vivente.
L
La Welwitschia ha due grandi foglie dall'aspetto di cuoio che crescono da un gambo massiccio, lunghe fino a tre metri: queste foglie, crescendo, vengono sfrangiate e si dividono per effetto del vento e della sabbia del deserto, assumendo un aspetto contorto di molte foglie...un esemplare visibile è nei pressi di Swakopmund: il suo diametro è di 6 metri!
La Welwitschia presenta esemplari maschi e femmine, che occupano una valle (che da loro prende il nome) solitaria e quasi aliena, un panorama cui si ispirano i fanta naturalisti immaginando la vita su altri pianeti.
Ma il dato più impressionante della Welwitschia è l'età: l'esemplare più vecchio conta oltre 2000 anni, ed è un po' sconvolgente trovarsi di fronte ad un essere vivente che era già esperto del mondo e della vita quando Cesare gettava a fiume i suoi famosi dadi... Il nome "Welwitschia" deriva da Friedrich Welwitsch, il botanico austriaco che per primo ne documentò l'esistenza presso la comunità scientifica europea.
L'aggettivo mirabilis si riferisce alla forma insolita della pianta.
In lingua afrikaans viene chiamata tweeblaarkanniedood, che significa "due foglie non possono morire".
La Welwitschia Mirabilis infatti gode di una grande longevità, ma la vera originalità è che la pianta è costituita soltanto da due enormi foglie, lunghe e coriacee, che crescono ai lati del fusto.
Col passare del tempo le due foglie scuriscono e si sfilacciano sotto l'azione degli agenti atmosferici dando origine ad un ammasso vegetale simile ad en enorme lattuga.
Si crede che le più grandi, i cui ammassi aggrovigliati di foglie raggiungono anche i 2 metri di diametro, abbiano addirittura 2000 anni. Sono piante dioiche, ovvero si dividono in individui maschili e femminili ben distinti.
Le femmine producono pigne, di un colore che va dal giallo-verdastro al marrone, le quali contengono i semi. Anche i maschi hanno pigne, ma le loro sono più numerose, più piccole e color salmone.
Il metodo di impollinazione è tuttora poco chiaro, però si pensa che i grandi e appiccicosi grani del polline vengono trasportati dagli insetti, in particolare dalle vespe.
Il medico e botanico austriaco Friedrich Welwitsch scoprì questa pianta nel 1859 nei pressi di Cabo Negro in Angola e la descrisse in una lettera del 16 agosto 1860, indirizzata a William Jackson Hooker, il direttore dei Royal Botanic Gardens di Kew, a Londra. Nel 1862 Welwitsch inviò un esemplare della pianta a Joseph Dalton Hooker, di Kew, il quale ne pubblicò una descrizione scientifica nel 1863 e assegnò il nome in onore dello scopritore, sostituendo il precedente nome di Tumboa con il quale gli era stata inviata.
Hooker commentò che la Welwitschia "era la più straordinaria pianta mai introdotta nel suo Paese, e una delle più brutte" ("It is out of the question the most wonderful plant ever brought to this country, and one of the ugliest").
In Angola la pianta è chiamata N'Tumbo, che significa "ceppo". I Nama la chiamano Kharos o Khurub, i Damara Nyanka; per gli Herero è Onyanga, cioè la "cipolla del deserto", perché il suo midollo veniva mangiato sia crudo che cotto nella cenere.
La Welwitschia è una pianta dalle caratteristiche estremamente peculiari, tanto che Charles Darwin la definì "l'ornitorinco del regno vegetale". Presenta una radice a fittone molto profonda che si espande in orizzontale e due foglie dall'aspetto unico, lunghe fino a cinque metri e adagiate sul terreno, pelose, con un meristema basale che compensa l'erosione della parte distale, (in altre parole: le foglie sono nastri che crescono continuamente dalla base, mentre la estremità finale progressivamente si inaridisce e muore).
L'aspetto generale della pianta è quindi quello di una grande matassa di nastri verdi, larghi fino a quasi mezzo metro e lunghi cinque, attorcigliati e deposti sul suolo, con le parti finali che progressivamente muoiono, si sfilacciano, e diventano di colore marrone. Il tronco, piuttosto grande (in diametro) è cortissimo, e coperto dalle foglie. Per questi aspetti, e soprattutto per la presenza di un vero tronco e di tessuti legnosi, la pianta non è da considerarsi una grande erba, ma si tratta invece di un vero albero, che risulterebbe addirittura correlabile alle conifere; tale relazione sarebbe basata sul fatto che sia la pianta maschio che la pianta femmina, (la specie è dioica), producono una infiorescenza simile ad una pigna.
La sopravvivenza nel clima arido del Namib non è affidata (come si credeva un tempo) alle radici particolarmente lunghe, ma all'assorbimento dell'umidità portata dalle nebbie costiere.
Infatti mentre le piogge nel clima desertico del luogo sono estremamente rare e totalmente inaffidabili, le nebbie prodotte dalla condensazione atmosferica, dovuta alla notevolissima escursione termica tra il giorno e la notte sulle correnti di aria provenienti dal mare (e che si spingono molti chilometri all'interno), sono invece frequenti.
Con l'abbassamento della temperatura al di sotto del punto di rugiada la nebbia si trasforma in goccioline di umidità che si depositano dappertutto.
Per la natura pelosa e porosa delle foglie queste si impregnano di umidità ed assorbono la maggior parte dell'acqua necessaria alla pianta; anche il suolo sabbioso si inumidisce in superficie per lo stesso motivo, ma l'umidità rievapora durante il giorno; quando la nebbia si ripete e perdura, l'umidità può raggiungere le radici. L'unico luogo in cui la Welwitschia è riuscita a riprodursi al di fuori del suo habitat africano è l'orto botanico situato all'interno della reggia Borbonica di Portici in provincia di Napoli dove viene curata dagli esperti dell'università di agraria della Federico II di Napoli che ha una sede distaccata al suo interno.
La pianta fu portata qui per la collezione privata dei Borboni e grazie al terreno fertile di origine vulcanica e al clima mite è riuscita a sopravvivere e a riprodursi.
La Welwitschia ha due grandi foglie dall'aspetto di cuoio che crescono da un gambo massiccio, lunghe fino a tre metri: queste foglie, crescendo, vengono sfrangiate e si dividono per effetto del vento e della sabbia del deserto, assumendo un aspetto contorto di molte foglie...un esemplare visibile è nei pressi di Swakopmund: il suo diametro è di 6 metri!
La Welwitschia presenta esemplari maschi e femmine, che occupano una valle (che da loro prende il nome) solitaria e quasi aliena, un panorama cui si ispirano i fanta naturalisti immaginando la vita su altri pianeti.
Ma il dato più impressionante della Welwitschia è l'età: l'esemplare più vecchio conta oltre 2000 anni, ed è un po' sconvolgente trovarsi di fronte ad un essere vivente che era già esperto del mondo e della vita quando Cesare gettava a fiume i suoi famosi dadi... Il nome "Welwitschia" deriva da Friedrich Welwitsch, il botanico austriaco che per primo ne documentò l'esistenza presso la comunità scientifica europea.
L'aggettivo mirabilis si riferisce alla forma insolita della pianta.
In lingua afrikaans viene chiamata tweeblaarkanniedood, che significa "due foglie non possono morire".
La Welwitschia Mirabilis infatti gode di una grande longevità, ma la vera originalità è che la pianta è costituita soltanto da due enormi foglie, lunghe e coriacee, che crescono ai lati del fusto.
Col passare del tempo le due foglie scuriscono e si sfilacciano sotto l'azione degli agenti atmosferici dando origine ad un ammasso vegetale simile ad en enorme lattuga.
Si crede che le più grandi, i cui ammassi aggrovigliati di foglie raggiungono anche i 2 metri di diametro, abbiano addirittura 2000 anni. Sono piante dioiche, ovvero si dividono in individui maschili e femminili ben distinti.
Le femmine producono pigne, di un colore che va dal giallo-verdastro al marrone, le quali contengono i semi. Anche i maschi hanno pigne, ma le loro sono più numerose, più piccole e color salmone.
Il metodo di impollinazione è tuttora poco chiaro, però si pensa che i grandi e appiccicosi grani del polline vengono trasportati dagli insetti, in particolare dalle vespe.
Il medico e botanico austriaco Friedrich Welwitsch scoprì questa pianta nel 1859 nei pressi di Cabo Negro in Angola e la descrisse in una lettera del 16 agosto 1860, indirizzata a William Jackson Hooker, il direttore dei Royal Botanic Gardens di Kew, a Londra. Nel 1862 Welwitsch inviò un esemplare della pianta a Joseph Dalton Hooker, di Kew, il quale ne pubblicò una descrizione scientifica nel 1863 e assegnò il nome in onore dello scopritore, sostituendo il precedente nome di Tumboa con il quale gli era stata inviata.
Hooker commentò che la Welwitschia "era la più straordinaria pianta mai introdotta nel suo Paese, e una delle più brutte" ("It is out of the question the most wonderful plant ever brought to this country, and one of the ugliest").
In Angola la pianta è chiamata N'Tumbo, che significa "ceppo". I Nama la chiamano Kharos o Khurub, i Damara Nyanka; per gli Herero è Onyanga, cioè la "cipolla del deserto", perché il suo midollo veniva mangiato sia crudo che cotto nella cenere.
La Welwitschia è una pianta dalle caratteristiche estremamente peculiari, tanto che Charles Darwin la definì "l'ornitorinco del regno vegetale". Presenta una radice a fittone molto profonda che si espande in orizzontale e due foglie dall'aspetto unico, lunghe fino a cinque metri e adagiate sul terreno, pelose, con un meristema basale che compensa l'erosione della parte distale, (in altre parole: le foglie sono nastri che crescono continuamente dalla base, mentre la estremità finale progressivamente si inaridisce e muore).
L'aspetto generale della pianta è quindi quello di una grande matassa di nastri verdi, larghi fino a quasi mezzo metro e lunghi cinque, attorcigliati e deposti sul suolo, con le parti finali che progressivamente muoiono, si sfilacciano, e diventano di colore marrone. Il tronco, piuttosto grande (in diametro) è cortissimo, e coperto dalle foglie. Per questi aspetti, e soprattutto per la presenza di un vero tronco e di tessuti legnosi, la pianta non è da considerarsi una grande erba, ma si tratta invece di un vero albero, che risulterebbe addirittura correlabile alle conifere; tale relazione sarebbe basata sul fatto che sia la pianta maschio che la pianta femmina, (la specie è dioica), producono una infiorescenza simile ad una pigna.
La sopravvivenza nel clima arido del Namib non è affidata (come si credeva un tempo) alle radici particolarmente lunghe, ma all'assorbimento dell'umidità portata dalle nebbie costiere.
Infatti mentre le piogge nel clima desertico del luogo sono estremamente rare e totalmente inaffidabili, le nebbie prodotte dalla condensazione atmosferica, dovuta alla notevolissima escursione termica tra il giorno e la notte sulle correnti di aria provenienti dal mare (e che si spingono molti chilometri all'interno), sono invece frequenti.
Con l'abbassamento della temperatura al di sotto del punto di rugiada la nebbia si trasforma in goccioline di umidità che si depositano dappertutto.
Per la natura pelosa e porosa delle foglie queste si impregnano di umidità ed assorbono la maggior parte dell'acqua necessaria alla pianta; anche il suolo sabbioso si inumidisce in superficie per lo stesso motivo, ma l'umidità rievapora durante il giorno; quando la nebbia si ripete e perdura, l'umidità può raggiungere le radici. L'unico luogo in cui la Welwitschia è riuscita a riprodursi al di fuori del suo habitat africano è l'orto botanico situato all'interno della reggia Borbonica di Portici in provincia di Napoli dove viene curata dagli esperti dell'università di agraria della Federico II di Napoli che ha una sede distaccata al suo interno.
La pianta fu portata qui per la collezione privata dei Borboni e grazie al terreno fertile di origine vulcanica e al clima mite è riuscita a sopravvivere e a riprodursi.
La roccia più antica della Terra
Un gruppo di ricercatori ha determinato che un granello di zircone proveniente dall’Australia ha un’età di più di circa 4,4 miliardi di anni, spingendo indietro la data nella quale la crosta terrestre si è solidificata di circa 600 milioni di anni.
Secondo i dati a nostra disposizione, la materia del disco protoplanetario circumsolare iniziò a condensarsi 4,567 miliardi di anni fa, dando origine in tempi relativamente rapidi ai corpi planetari che formano il Sistema Solare.
L’accrescimento della Terra si sarebbe concluso tra i 4,5 e i 4,4 miliardi di anni fa.
Da tempo tra i geochimici c’è una corsa ad identificare la roccia più antica del nostro pianeta e le antichissime formazioni rocciose continentali come quelle della regione di Jack Hills, nell’Australia Occidentale a circa 800 km da Perth, rappresentano un promettente terreno di caccia.
Questi antichi depositi di arenarie, infatti, contengono dei cristalli di zircone che dovevano far parte della crosta terrestre appena dopo la sua solidificazione.
Già negli anni ’80 in queste rocce sedimentarie furono trovati grani di zircone risalenti a 3,8 miliardi di anni fa, e da allora altri zirconi sono stati datati a 4,45 miliardi di anni fa.
Inoltre, due anni fa un gruppo di ricercatori canadesi trovò una roccia, denominata roccia verde di Nuvvuagittuq, nelle vicinanze della Baia di Hudson, che potrebbe essersi formata 4,3 miliardi di anni fa
Mappa dell'Australia in cui è indicata la posizione della regione di Jack Hills dove è stato trovato lo zircone risalente a 4,374 miliardi di anni fa. Adesso, i risultati di complesse analisi pubblicati in un articolo della rivista Nature Geoscience da un team guidato da John Valley dell’Università del Wisconsin (Madison) mostrano che un piccolo granello di zircone proveniente dai sedimenti di Jack Hills ha un’età di 4,374 miliardi anni, con un errore di più o meno 6 milioni di anni.
Questo risultato suggerisce perciò che la crosta terrestre esisteva circa 160 milioni di anni dopo formazione del nostro sistema planetario.
Il metodo utilizzato per datare la zircone consiste nel misurare il tasso di decadimento dell’Uranio-238 in Piombo-206 (vita media: 4,470 miliardi di anni) e dell’Uranio-235 in Piombo-207 (704 milioni di anni).
Valley e il suo team hanno usato una tecnica chiamata tomografia atomica per mappare gli isotopi del piombo all’interno dello zircone.
Dall’abbondanza relativa di questi isotopi, è stato possibile stimare con accuratezza l’età del campione.
Questo risultato, se sarà confermato, avrà una notevole ricaduta sul modello di formazione della crosta terrestre, che sarebbe avvenuto appena 100 milioni di anni circa – anziché 600 milioni, come ritenuto finora – dopo il grande impatto di un corpo planetario delle dimensioni di Marte che avrebbe dato origine alla Luna.
tratto da Focus . it
Secondo i dati a nostra disposizione, la materia del disco protoplanetario circumsolare iniziò a condensarsi 4,567 miliardi di anni fa, dando origine in tempi relativamente rapidi ai corpi planetari che formano il Sistema Solare.
L’accrescimento della Terra si sarebbe concluso tra i 4,5 e i 4,4 miliardi di anni fa.
Da tempo tra i geochimici c’è una corsa ad identificare la roccia più antica del nostro pianeta e le antichissime formazioni rocciose continentali come quelle della regione di Jack Hills, nell’Australia Occidentale a circa 800 km da Perth, rappresentano un promettente terreno di caccia.
Questi antichi depositi di arenarie, infatti, contengono dei cristalli di zircone che dovevano far parte della crosta terrestre appena dopo la sua solidificazione.
Già negli anni ’80 in queste rocce sedimentarie furono trovati grani di zircone risalenti a 3,8 miliardi di anni fa, e da allora altri zirconi sono stati datati a 4,45 miliardi di anni fa.
Inoltre, due anni fa un gruppo di ricercatori canadesi trovò una roccia, denominata roccia verde di Nuvvuagittuq, nelle vicinanze della Baia di Hudson, che potrebbe essersi formata 4,3 miliardi di anni fa
Mappa dell'Australia in cui è indicata la posizione della regione di Jack Hills dove è stato trovato lo zircone risalente a 4,374 miliardi di anni fa. Adesso, i risultati di complesse analisi pubblicati in un articolo della rivista Nature Geoscience da un team guidato da John Valley dell’Università del Wisconsin (Madison) mostrano che un piccolo granello di zircone proveniente dai sedimenti di Jack Hills ha un’età di 4,374 miliardi anni, con un errore di più o meno 6 milioni di anni.
Questo risultato suggerisce perciò che la crosta terrestre esisteva circa 160 milioni di anni dopo formazione del nostro sistema planetario.
Il metodo utilizzato per datare la zircone consiste nel misurare il tasso di decadimento dell’Uranio-238 in Piombo-206 (vita media: 4,470 miliardi di anni) e dell’Uranio-235 in Piombo-207 (704 milioni di anni).
Valley e il suo team hanno usato una tecnica chiamata tomografia atomica per mappare gli isotopi del piombo all’interno dello zircone.
Dall’abbondanza relativa di questi isotopi, è stato possibile stimare con accuratezza l’età del campione.
Questo risultato, se sarà confermato, avrà una notevole ricaduta sul modello di formazione della crosta terrestre, che sarebbe avvenuto appena 100 milioni di anni circa – anziché 600 milioni, come ritenuto finora – dopo il grande impatto di un corpo planetario delle dimensioni di Marte che avrebbe dato origine alla Luna.
tratto da Focus . it
La civiltà scomparsa di Cahokia Mounds
I reperti della più sofisticata civiltà preistorica del Nord del Messico sono conservati a Cahokia Mounds su un terreno di circa 900 ettari situato sulle rive del Mississippi a qualche chilometro ad Ovest di Collinsville nell’Illinois.
Cahokia Mounds è il più grande sito archeologico della cultura Mississippiana e attualmente è gestito, quale sito storico di Stato, dall’Agenzia Historic Preservation dell’Illinois.
Nel 1982, Cahokia Mounds, per l’importanza che riveste nella comprensione della preistoria dell’America del Nord, è entrato a far parte del patrimonio mondiale dell’Umanità dell’UNESCO.
Durante il suo apogeo, dal 1050 al 1200 DC, la città occupava una superficie di quasi sei chilometri quadrati e contava dai 10.000 ai 20.000 abitanti.
Nel corso dei secoli, sono stati costruiti più di 120 colline e la maggior parte di queste sono state ampliate a diverse riprese. Le case erano disposte in fila intorno alle piazze e le zone agricole, con ampi campi coltivati, si trovavano all’esterno della città. A metà del 19° secolo, gli storici hanno proposto di denominare il sito “Cahokia” in memoria della tribù che vi aveva vissuto e che portava lo stesso nome.
Cahokia era il centro nevralgico di una civiltà che si estendeva da Red Wing nel Minnesota fino a Marco Key in Florida ed è attualmente il sito preistorico più importante dell’America del Nord (se si esclude il Messico).
E’ situata ad est di St. Louis in una valle alluvionale dove confluiscono i fiumi Mississippi, Missouri, e Illinois.
La zona è anche considerata una delle più fertili del Nord America. Appare inoltre evidente che per costruire e pianificare questo sito, era necessario avere buone conoscenze in Astronomia, Matematica e Ingegneria.
I Cahokiani avevano diffuso il commercio e la stratificazione sociale, politica e religiosa.
Erano artigiani raffinati e specializzati in architettura monumentale che si componeva soprattutto di tumuli.
A Cahokia ve n’erano circa 120, fra cui il più grande d’America del Nord chiamato Monks Mound, orientato di 5 gradi verso il Nord, come la maggior parte delle costruzioni del sito
.
Un altra caratteristica impressionante di Cahokia è la palizzata. Si tratta di un muro lungo 2 chilometri, che circonda tutta la parte centrale.
Gli archeologi pensano che si tratti di una struttura difensiva per tre semplici motivi: l’altezza della parete, la presenza di bastioni con spazi regolari, le postazioni da cui gli arcieri potevano lanciare frecce e altri elementi ancora, che dimostrano che il muro era stato costruito in fretta attraverso le zone residenziali, come se il pericolo fosse imminente.
Le origini dei Cahokiani rimangono sconosciute, gli antichi abitanti non lasciarono testimonianze scritte e si ignora del tutto anche la loro fine, nessuno sa che cosa siano diventati dopo l’abbandono della loro città.
Si conosce con certezza soltanto il periodo del declino della loro civiltà che iniziò verso il 13° secolo e il sito venne abbandonato definitivamente nel 15° secolo.
Si presume che l’esaurimento delle risorse abbia contribuito al declino della città.
Un cambiamento climatico avrà colpito le colture, le piante, gli animali e tutte le altre risorse necessarie al sostentamento della popolazione.
Anche la guerra, le malattie, i disordini sociali e la diminuzione del potere politico ed economico avranno probabilmente contribuito a questo declino.