sabato 8 marzo 2014
La storica Mivar chiude
È stata per anni la storica e unica fabbrica italiana di apparecchi televisivi, ma poi sono arrivati giapponesi e coreani.
Ma il proprietario, Carlo Vichi, 90 anni, non vuole veder chiudere la sua fabbrica.
E ha un'idea.
“Ho un sogno.
Poter dire ricominciamo a quanti ho detto: è finita”.
Carlo Vichi, 90 anni, si commuove quando racconta a Repubblica la storia della unica fabbrica italiana di apparecchi televisivi, la Mivar. L’azienda di Abbiategrasso fondata nel 1945 ora però è in crisi. Inutile cercare di tener testa i colossi giapponesi e coreani.
Così il patron della Mivar ha avuto un’idea:
“Se una società di provata serietà accetta di fare televisori in Italia, io gli offro la mia nuova fabbrica, pronta e mai usata, gratis.
Non voglio un centesimo.
Ma chiedo che assuma mille e duecento italiani, abbiatensi, milanesi.
Questo chiedo. Veder sorridere di nuovo la mia gente”.
La fabbrica già c’è.
Non lontana dalla ‘casa madre’ di via Dante. Due piani, 120 mila metri quadri totali, parcheggi, grande mensa, presidio medico. “Insuperabile, qui ci possono lavorare in 1.200, tutto in vista senza ufficetti.
Vede com’è luminosa?” dice Vichi. ”Molti pensavano che con i risparmi mi facessi una casa.
Ma io ho fatto questo, immaginando tanta gente muoversi e che mi sorridesse”.
Il problema è che la produzione è ferma. “Eravamo in novecento e facevamo 5.460 televisori al giorno, un milione all’anno.
Ora è tutto vuoto, solo qualche scrivania.
I grossi colossi c’hanno calpestato”, riflette amaro Rocco, uno degli operai storici della Mivar.
“Ho disegnato televisori per venticinque anni. Anche se il vero designer è il signor Vichi, io la mano.
È rimasto sempre in trincea, al suo tavolo con le rotelle in mezzo a noi, la sua morsa, le sue idee, il suo compasso.
Lavorando anche di sabato e domenica”.
tratto da http://www.fanpage.it
Ma il proprietario, Carlo Vichi, 90 anni, non vuole veder chiudere la sua fabbrica.
E ha un'idea.
“Ho un sogno.
Poter dire ricominciamo a quanti ho detto: è finita”.
Carlo Vichi, 90 anni, si commuove quando racconta a Repubblica la storia della unica fabbrica italiana di apparecchi televisivi, la Mivar. L’azienda di Abbiategrasso fondata nel 1945 ora però è in crisi. Inutile cercare di tener testa i colossi giapponesi e coreani.
Così il patron della Mivar ha avuto un’idea:
“Se una società di provata serietà accetta di fare televisori in Italia, io gli offro la mia nuova fabbrica, pronta e mai usata, gratis.
Non voglio un centesimo.
Ma chiedo che assuma mille e duecento italiani, abbiatensi, milanesi.
Questo chiedo. Veder sorridere di nuovo la mia gente”.
La fabbrica già c’è.
Non lontana dalla ‘casa madre’ di via Dante. Due piani, 120 mila metri quadri totali, parcheggi, grande mensa, presidio medico. “Insuperabile, qui ci possono lavorare in 1.200, tutto in vista senza ufficetti.
Vede com’è luminosa?” dice Vichi. ”Molti pensavano che con i risparmi mi facessi una casa.
Ma io ho fatto questo, immaginando tanta gente muoversi e che mi sorridesse”.
Il problema è che la produzione è ferma. “Eravamo in novecento e facevamo 5.460 televisori al giorno, un milione all’anno.
Ora è tutto vuoto, solo qualche scrivania.
I grossi colossi c’hanno calpestato”, riflette amaro Rocco, uno degli operai storici della Mivar.
“Ho disegnato televisori per venticinque anni. Anche se il vero designer è il signor Vichi, io la mano.
È rimasto sempre in trincea, al suo tavolo con le rotelle in mezzo a noi, la sua morsa, le sue idee, il suo compasso.
Lavorando anche di sabato e domenica”.
tratto da http://www.fanpage.it
Zefiro , il vento dell'ovest
Nella mitologia greca, Zefiro era la personificazione del vento dell’ovest o del Nord-ovest.
Figlio di Astreo (o di Eolo, dio dei venti) e di Eos (l’aurora), era spesso citato insieme a suo fratello Borea, il vento del nord e, come lui, abitava in una caverna della Tracia.
Gli attribuiscono come regno “i luoghi dove si alza la stella della sera, dove il sole estingue i suoi ultimi fuochi (Ovidio, Metamorfosi).”
Si unì con una delle Arpie, Celeno, che aveva assunto le sembianze di una giumenta; da quest’unione nacquero i famosi ed immortali cavalli Xanto e Balio che furono offerti ad Achille, come pure Flogeo ed Arpago, i cavalli dei Dioscuri.
Secondo alcune tradizioni, era anche il padre di Eros da parte di Iris.
Infine, ebbe per coniuge la ninfa Clori, dea dei fiori, dalla quale ebbe Carpo (il frutto).
S’innamorò del giovane principe spartano Giacinto, e lo contese ad Apollo. Accecato dalla gelosia, deviò il disco lanciato dal dio che colpì Giacinto e lo uccise.
Il culto di Zefiro risale alla civiltà micenea: il nome Zepu²roè stato trovato su delle tavolette e si conosce, nello stesso periodo, l’esistenza di una sacerdotessa dei venti a Cnosso.
Come per gli altri venti, sacrifici in suo onore si svolgevano varie volte l’anno: l’obiettivo era di fare soffiare Zefiro o, al contrario, di tenerlo distante a secondo delle necessità agricole.
A Zefiro era intitolato un altare ad Atene.
Nell’Iliade, Zefiro è un vento violento o piovoso. Nell’Odissea e nei successivi testi, è considerato, al contrario, come un vento morbido e leggero, una brezza tiepida che porta l’annuncio della primavera.
Zefiro è citato contemporaneamente a Borea, e rampognato da Poseidone (Nettuno) per avere obbedito agli ordini di Era (Giunone) ed avere iniziato la tempesta che ha aperto ad Enea le rive italiane.
Come tutti i venti, Zefiro è rappresentato nell’arte greca come un personaggio alato. Pertanto, è difficile, a volte, distinguerlo da Eros. Le raffigurazioni sui vasi e sulle anfore lo mostrano generalmente assieme a Giacinto o tra le sue braccia.
La rappresentazione più famosa della coppia è certamente quella di Botticelli nella “Primavera” e la “Nascita di Venere”.
Zefiro nella mitologia romana è individuato come Favonio. Il favonio (dal latino favonius da favere, far crescere), in tedesco Föhn, è un vento che si presenta, quando una corrente è costretta a superare una catena montuosa.
Sia Favonio che Föhn derivano dal latino favonius, nome con il quale i Romani chiamavano il vento di ponente.
Tratto da : http://tanogaboblog.it/
La migrazione dei delfini filmata da un drone
Centinaia di delfini e tre balene, riprese mentre migrano al largo delle coste della California del Sud. E in più le toccanti riprese di un cucciolo di balenottera che gioca con la mamma.
Donna....non come genere ma individuo
“Questa umanità che ha maturato la donna nel dolore e nell’umiliazione vedrà il giorno in cui la donna avrà fatto cadere le catene della sua condizione sociale.
Un giorno la ragazza sarà, la donna sarà, e queste parole “ragazza”, “donna”, non significheranno più soltanto il contrario del maschio, bensì qualcosa di proprio, che vale per se stessa, non un semplice complemento, ma una forma completa:
la donna nella sua vera umanità.”
Rainer Maria Rilke
L'8 marzo dovrebbe essere un giorno di commemorazione non di festa
8 marzo 1908
La data simbolo dell’8 marzo è legata all’incendio divampato in un opificio (Cottons) di Chicago nel 1908, occupato nel corso di uno sciopero da 129 operaie tessili che morirono bruciate vive.
E’ arrivato l’8 marzo, festa delle donne, una celebrazione che oramai negli anni ha perso quasi del tutto il suo significato originario, diventando una festa commerciale.
Stupide feste in locali e ristoranti, che furbi organizzatori di serate, magari con il condimento di strep tease, propinano a donne frustrate che non hanno il coraggio e la forza di prendere coscienza della loro importante, anzi direi essenziale presenza nella vita quotidiana dell’universo.
Per poter sfruttare commercialmente la giornata, si è cercato di cancellare il vero significato dell’8 marzo.
Nel 1908 a New York, alcuni giorni prima dell’8 marzo, le operaie dell’industria tessile Cotton iniziarono a scioperare per protestare contro le condizioni inumane in cui erano costrette a lavorare.
Lo sciopero proseguì per diversi giorni finché l’8 marzo Mr. Johnson, il proprietario della fabbrica, bloccò tutte le vie di uscita. Poi allo stabilimento venne appiccato il fuoco (alcune fonti parlano di un incendio accidentale).
Le 129 operaie prigioniere all’interno non ebbero scampo.
E allora, in realtà, l’8 marzo nasce come giornata di lotta internazionale a favore delle donne, per ricordare, oltre alle loro conquiste in ambito politico, sociale ed economico, le discriminazioni e le violenze cui tuttora la donna è soggetta in ogni parte del mondo.
Quindi anzichè festeggiare, io piangerei e direi come ogni giorno della memoria”mai più” e “per non dimenticare”.