sabato 22 febbraio 2014

Il giardino incantato di Bruno Torfs

A Marysville piccola cittadina nei dintorni di Melbourne c'è quello che tutti chiamano "Sad Bruno" il triste giardino di Bruno.
 Si tratta di un fantastico giardino incantato nella foresta pluviale abitato da una varietà impressionante di sculture in legno nascoste nella vegetazione create dal bravissimo scultore Bruno Torfs. 

Purtroppo il 7 febbraio 2009 un incendio è infuriato sulla città diMarysville e la foresta stessa è stata completamente devastata,ma incredibilmente circa il sessanta per cento delle sculture sono sopravvissute. 
Bruno ha scelto di rimanere a Marysville per ricostruire la sua casa e ripristinare i giardini.
 La missione di riportare il giardino al suo antico splendore, sarà un processo lungo e impegnativo, ma è già in corso. Speriamo che ci riesca perché era veramente bellissimo, guardante che atmosfera incredibile...









Perché si continua a protestare in Ucraina?........per la libertà non per entrare in Europa (come dicono i nostri media)



Una guida per chi vuole capirlo dopo le violenze di ieri: c'entrano soprattutto la Russia e l'UE, ma anche l'autoritarismo del presidente e un'opposizione che chiede sempre di più

Domenica 24 novembre 2013 si tenne a Kiev, capitale dell’Ucraina, la più grande e partecipata manifestazione dai tempi della “rivoluzione arancione” del 2004: più di 100mila persone si radunarono dentro e nei pressi di piazza Indipendenza, nel centro di Kiev, per protestare contro le reticenze del governo e del presidente ucraino, Viktor Yanukovych (leader del Partito delle Regioni, filo-russo), di concludere un vantaggioso accordo commerciale con l’Unione Europea.
Il problema, come sempre nella storia recente dell’Ucraina, era la Russia: Il presidente russo Vladimir Putin non voleva che l’Ucraina firmasse quell’accordo, perché avrebbe allontanato il paese dall’influenza russa e l’avrebbe avvicinato a quella europea.
Nei mesi successivi la situazione peggiorò, e ieri, 18 febbraio 2014, gli scontri tra manifestanti anti-governativi e forze di polizia hanno provocato la morte di 25 persone: è stato il giorno più violento dall’inizio delle proteste.
Nel mezzo tra queste due date, il 24 novembre e il 18 febbraio, sono successe molte cose, che rendono difficile pensare oggi a una soluzione rapida e pacifica della crisi ucraina.
Ma andiamo per ordine.
L’accordo mancato con l’UE e quello fatto con la Russia
L’accordo commerciale di libero scambio che l’Ucraina stava negoziando da anni con l’Unione Europea era solo l’ultima delle questioni che avevano messo il governo di Kiev di fronte a una scelta: stare con la Russia o con l’Europa.
Fino al 21 novembre scorso l’accordo sembrava inevitabile, anche se era già emerso qualche ostacolo di troppo nei colloqui tra le parti.
Il più importante e difficile da superare riguardava la scarcerazione di Yulia Tymoshenko, ex primo ministro ucraino arrestata nel 2011 per abuso di potere: la sua liberazione era stata posta dall’UE come condizione necessaria per la buona riuscita dell’accordo, ma Yanukovych, avversario politico di Tymoshenko, non ne voleva sapere di soddisfarla.
Il 21 novembre successero due cose: il parlamento ucraino – con la decisiva astensione del Partito delle Regioni di Yanukovych – bocciò una legge che avrebbe permesso a Tymoshenko di uscire dal carcere; inoltre, lo stesso Yanukovich annunciò la sospensione delle negoziazioni con l’UE relative all’accordo di libero scambio.
La combinazione di questi due eventi fece sì che le proteste a Kiev si sviluppassero molto rapidamente: i diversi gruppi di opposizione accusarono il governo di essere un burattino di Putin e di svendere il paese alla Russia.
L’accordo proposto dall’UE avrebbe consentito di rendere più trasparente e dinamica l’economia ucraina, ancora molto chiusa e incapace di attrarre nuovi investitori.
In cambio le autorità dell’Unione avevano chiesto una serie di riforme del mercato ucraino, che avrebbero potuto creare conseguenze dirette sulle numerose società che hanno stretti rapporti commerciali con la Russia.
Questa era stata la ragione del ripensamento di Yanukovych, dissero le opposizioni.
A metà dicembre Ucraina e Russia strinsero il loro accordo, che tagliava fuori definitivamente l’Unione Europea: la Russia avrebbe investito 15 miliardi di dollari in titoli di stato ucraini e avrebbe ridotto il prezzo del gas che fornisce all’Ucraina di circa un terzo (da 400 dollari a 268,5 dollari ogni mille metri cubi).
L’obiettivo era di ridare slancio all’economia dell’Ucraina e sostituirsi ad altri possibili salvatori, come il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea.
I vantaggi dell’intesa erano – chiaramente – parecchi anche per la Russia: concludendo l’accordo, Putin rafforzò la sua influenza sull’economia e sulla politica dell’Ucraina.
Klitschko – ex campione di boxe, capo del partito liberale di centrodestra Udar e uno dei leader più importanti delle proteste – disse dell’accordo: «Yanukovych ha svenduto gli interessi nazionali dell’Ucraina e l’indipendenza del paese.
Ha accettato il piano di aiuti e messo le fabbriche, le centrali elettriche e le industrie pesanti ucraine a garanzia».
Si alza la posta in palio: i fatti di gennaio Il 22 gennaio entrarono in vigore in Ucraina una serie di norme in materia di libertà di associazione e di manifestazione pensate per limitare le proteste e sanzionare in maniera molto dura i dimostranti.
Le norme furono contrastatissime dalle opposizioni, e non solo per il loro contenuto: furono infatti adottate per alzata di mano e senza dibattito dalla maggioranza del parlamento e vennero definite «incostituzionali» e considerate responsabili di trasformare l’Ucraina «in uno stato di polizia».
Le nuove leggi prevedevano, tra le altre cose, fino a cinque anni di carcere per chi decideva di partecipare a manifestazioni non autorizzate, vietavano di protestare a volto coperto o indossando un casco e di utilizzare megafoni in un luogo pubblico, e stabilivano una serie di provvedimenti restrittivi verso le ONG che ricevevano finanziamenti esteri.
Riniziarono le proteste e le manifestazioni, dure e partecipate come quelle di novembre.
Lo stesso 22 gennaio la polizia iniziò lo sgombero con la forza di alcuni accampamenti nel centro di Kiev.
Il 24 gennaio Yanukovych provò a fare qualche concessione alle opposizioni, promettendo un’amnistia e un rimpasto di governo e offrendo i posti di primo ministro e viceprimo ministro a due importanti leader delle opposizioni, rispettivamente Arseniy Yatsenyuk – uno dei più importanti esponenti di Unione Pan-Ucraina “Patria” – e Vitali Klitschko.
Entrambi rifiutarono e alzarono la posta in palio: le dimissioni di Yanukovych.
Passarono pochi giorni, e il 28 gennaio il parlamento abolì le legge anti-proteste e il governo si dimise, sotto la pressione delle enormi manifestazioni che si stavano tenendo a Kiev e che si erano diffuse in altre regioni dell’Ucraina occidentale.
In pratica la situazione politica da allora è rimasta uguale: Yanukovich accusa i leader dei partiti di opposizione di non essere in grado di controllare le frange più “radicali” ed “estreme” delle proteste di piazza, e chiede ai manifestanti di abbandonare piazza Indipendenza a Kiev; mentre le opposizioni chiedono le dimissioni di Yanukovich, le elezioni anticipate – anche forti di un rinnovato interessamento della comunità internazionale, e dell’UE in particolare – e una nuova politica estera che abbandoni la vicinanza alla Russia promossa dal Partito delle Regioni del presidente.
Si protesta in tutta l’Ucraina? No. La maggior parte delle proteste degli ultimi mesi si sono concentrate a Kiev, specialmente in piazza Indipendenza, nella quale gli attivisti hanno da tempo messo in piedi alcuni sit-in permanenti: piazza Indipendenza – o Maidan, come viene chiamata in Ucraina – è diventata il simbolo di queste proteste, come è stato per piazza Tahrir in Egitto e piazza Taksim a Istanbul.
Al di là a Kiev, gli ultimi mesi sono stati molto movimentati anche per le regioni occidentali dell’Ucraina, quelle in cui la maggioranza ha votato per Yulia Tymoshenko alle presidenziali del 2010, la popolazione parla prevalentemente ucraino (e non russo) e l’identità nazionale è più legata all’Europa.
Una mappa che chiarisce bene la divisione politico-linguistica in Ucraina si può trovare qui. Alcune delle città dell’Ucraina occidentale coinvolte nelle proteste sono state Ivano-Frankivsk, Černivci, Luc’k, Užhorod e Leopoli, dove nelle ultime settimane i manifestanti anti-governativi hanno preso di mira soprattutto gli edifici amministrativi locali.
Recentemente le proteste si sono diffuse soprattutto in tutta la regione di Leopoli (che si chiama anch’essa Leopoli).
Il Comitato Esecutivo del Consiglio regionale di Leopoli, organo esecutivo formato dai manifestanti, ha diffuso ieri un comunicato dicendo di essersi preso tutti i poteri legati all’amministrazione regionale: il suo scopo, dice nel comunicato, è quello di governare e mantenere ordine nella regione, facilitando l’invio di attivisti a Kiev.
Invita inoltre tutti i dipendenti pubblici e i cittadini a rispettare le decisioni prese dal presidente del Comitato Esecutivo, Peter Kolodiy.
Come hanno osservato alcuni giornalisti, questo potrebbe diventare un modello anche per altre regioni “dissidenti” dell’Ucraina.

L'enigma della spada vichinga Ulfberht


Le cronache raccontano che chi brandiva una spada Ulfberht aveva un vantaggio significativo rispetto ai nemici.
 Anche se di dimensioni e forma simili ad una comune spada vichinga, la Ulfberht era molto più resistente e capace di penetrare con facilità le armature. La lama di una Ulfberht, infatti, era molto flessibile rispetto alle armi del tempo, talmente solide da penetrare facilmente il legno e l’acciaio, dando così la possibilità allo spadaccino di eliminare facilmente il nemico.
 Essa era posseduta solo dai capi e da una ristretta elite di guerrieri. Il marchio caratteristico che la identificata era impresso sulla sua lama: +VLFBERH+T 
 Il significato della parola “Ulfberht” non è noto. E’ la traslitterazione in caratteri latini della sigla incisa sulle lame di queste enigmatiche spade. 
L’ipotesi più comune è che fosse il nome del fabbro che le produceva. Altri hanno proposto che probabilmente si compone della parola norrena ‘Ulfr’ (lupo) e ‘beraht’ (leggero, splendente, luminoso).
Nel corso del tempo, gli archeologi hanno rinvenuto finora 171 spade Ulfberht, ma solo poche di queste si sono rivelate essere autentiche.
 La più antica risale all’850 circa. 
 Sono disponibili solo poche informazioni sulla fabbricazione di queste spade. Tuttavia, ciò che sconcerta gli archeologi, è il tipo di metallo utilizzato per produrre le Ulfberht, in una forma così pura che per riprodurla si è dovuto aspettare la tecnologia resa disponibile dalla Rivoluzione Industriale, circa 900 anni dopo. Mentre la maggior parte delle armi medievali era fatta di ferro dolce con pochissimo carbonio, l’acciaio utilizzato per fabbricare le Ulfberht avevano un’alta concentrazione di carbonio e decisamente meno scorie. 
 Nel processo di forgiatura del ferro, il minerale per essere liquefatto e consentire al fabbro di eliminare le impurità deve raggiungere il punto di fusione a 1529° C. A quel punto, viene aggiunto il carbonio per rendere il ferro molto più forte.
 Il punto è che la tecnologia medievale non permetteva di raggiungere una temperatura così alta. Le scorie venivano eliminate tramite il martellamento, un metodo molto meno efficace.
 Solo con l’avvento della Rivoluzione Industriale saranno sviluppati strumenti capaci di portare il ferro al suo punto di fusione.
 La realizzazione delle Ulfberht, quindi, rimane ancora un enigma. Tutte le migliaia di spade medievali che sono state trovate in Europa si credeva fossero state realizzate con questo metallo inferiore, almeno fino a quando il dottor Alan Williams, un archeometallurgista e consulente della Collezione Wallace al museo di Londra non ha analizzato la Ulfberht. 
 “Queste spade sono di gran lunga migliori di qualsiasi altra prodotta, prima e dopo, in Europa. Dovevano risultare estremamente preziose per i loro contemporanei, date le loro proprietà”, spiega Williams. “Sono prodotte con un metallo che non avevo mai visto in un oggetto medievale, né prima, né dopo. E’ qualcosa di completamente diverso”. “La prima cosa che colpisce è l’assenza di queste lunghe inclusioni di scorie grige, che rendono il metallo fragile. L’uniformità è molto più simile all’acciaio moderno che a quello medievale. Inoltre, ha un contenuto di carbonio circa tre volte superiore a quello prodotto nel medioevo. E’ davvero molto strano. Non riesco a trovare un ragione per questo”, continua Williams.






















Il più grande mistero è capire dove i vichinghi abbiamo ottenuto questa conoscenza. 
Non ci sono prove archeologiche sulla produzione di questo tipo di acciaio in Europa per i successivi 800 anni. 
Essendo grandi viaggiatori, alcuni pensano che i vichinghi abbiano appreso la tecnica in oriente, forse in India. 
 Anche la sigla +ULFBERH+T è un autentico mistero. “Non sappiamo perchè ci sia scritto. Siamo abbastanza perplessi. E’ come se volessero indicare che ci si trovava di fronte a qualcosa di qualità, qualcosa di unico. Ma Ulfbehrt è in realtà un enigma”, ammette Jon Anders Risvaag dell’Università delle Scienze della Norvegia. 

 Fonte : http://www.ilnavigatorecurioso.it/

Ecco spiegato il motivo del tempo che ci è voluto (2h,30) per avere l'approvazione di napolitano a formare il nuovo governo Renzi

Padoan, il rigorista che piace all’Ue
Da Krugman al nodo dell’austerity
Ecco chi è il ministro dell’Economia

Da consigliere di D’Alema a Palazzo Chigi, a cultore del rigore all’Ocse.
Ma il nuovo titolare del Tesoro in passato non era ostile alla patrimoniale

Pier Carlo Padoan, su questo esistono pochi dubbi, è sicuramente una delle figure di punta di grand commis italiani.
Tutti in queste ore sottolineano che fu già consigliere economico di Massimo D’ Alema a Palazzo Chigi, e poi direttore di Italiani Europei (oltre che docente di economia internazionale alla Sapienza). Chiamarlo però “dalemiano” è una di quelle brutali semplificazioni che non fanno fare grandi passi avanti all’analisi. Anzi, la schiacciano e la confondono.
Le cose sono - come sempre - più complesse e sfumate. Innanzitutto perché Padoan fu anche assai voluto da Romano Prodi (allora premier) come vicesegretario generale dell’Ocse.
E è noto quanto - anche simbolicamente - D’Alema e Prodi rappresentino opzioni lievemente diverse, nella storia recente del centrosinistra.
Soprattutto, la domanda vera è: quale politica economica significherà Padoan all’Economia?
Significherà per esempio il tentativo di ridiscutere in maniera sostanziale il vincolo del 3 per cento, magari scorporando dal calcolo investimenti di tipo neokeynesiano?
O si collocherà in una linea più graduale, comunque nel segno del rispetto del rigore e delle politiche primum-no inflazione?
A giudicare dalla storia recentissima, forse si può propendere per la seconda tesi (ma senza certezza definitiva, come vedrete alla fine di questo articolo). A dispetto dell’etichetta di “dalemiano” (la sinistra nel Pd chiede di tornare a puntare su un’idea di Europa più “sociale” e meno blairiana),
Padoan negli incarichi internazionali - ma anche nelle sue lezioni alla Sapienza - è sempre stato considerato un cultore rispettoso delle politiche di rigore e dei vincoli europei.
E’ questo che l’ha portato, ancora nell’aprile di quest’anni, nel mirino di Paul Krugman, forse il più conosciuto dei critici dell’euro, dell’austerity e del vincolo del 3 per cento, che Krugman ormai non esita a definire “assurdo dal punto di vista economico”.
Ad aprile Krugman scriveva sul New York Times che quattro anni fa l’Ocse diede due suggerimenti alle autorità economiche degli Stati Uniti: abbracciare la politica di austerità europea e - dice Krugman, “addirittura” - alzare i tassi di interesse per fronteggiare il rischio di inflazione. “Bene - osservava - tre anni dopo ecco dove siamo: non c’è nessuna inflazione in America (e anzi, la Fed tenta di ravvivare la domanda interna con tassi zero); e è palese il fallimento e l’implosione delle politiche europee di austerità” (su questo si può discutere, naturalmente, ma è innegabile che critiche severe ormai provengano da settori vastissimi delle opinioni pubbliche europee e americane).
In quel momento i numeri dell’economia europea erano più o meno di questa portata: disoccupazione dell’area euro al 12,1, nonostante un’inflazione all’1,2.
In un’intervista al Wall Street Journal Padoan spiegò che “i tanti sacrifici” (usò l’espressione “the pain is producing results”) erano a un passo dal produrre il “consolidamento fiscale” cercato per l’economia europea, e sarebbe stato un peccato “sprecarli” abbandonando le politiche di rigore, di tagli del deficit e di controllo severo dei bilanci pubblici.
La conclusione - che faceva inorridire Krugman - era “the beatings must continue”. La battaglia per il rigore deve continuare.
Questo accadeva soltanto nove mesi fa.
E’ mutato qualcosa nel frattempo? Certo.
Per restare all’Italia, persino Napolitano, in un importante discorso a Strasburgo, ha chiesto di non avanzare solo con politiche di bilancio, ma di pensare a come far crescere le economie.
Dall’altra parte c’è chi invece ricorda un Padoan di qualche anno fa che, al Corriere, non escludeva ipotesi vicine a una forma di patrimoniale (traduzione: non proprio allentare il rigore, semmai farlo pesare di più sulla finanza e meno su impresa e lavoro). Diceva Padoan nel 2004, da capoeconomista Ocse, quali erano gli scenari su cui ragionavano molti economisti di un celebre incontro parigino: “Abbiamo cercato di dimostrare, con una analisi empirica, il rapporto tra la struttura della tassazione e la crescita, nel senso che ci sono tasse più dannose allo sviluppo (sulle imprese e sul lavoro) e altre meno dannose, come quelle sui consumi e sui patrimoni”.
Ecco forse il punto (o un altro dei due punti). Il ministro dell’Economia sarà il noto dalemiano?
O il teorico del rigore attaccato da Krugman?
O ancora l’economista che non disdegnava - in tempi non sospetti - di tassare di più rendite e finanza e meno l’economia reale, in pieno spirito-Jobs Act di Matteo Renzi?
Lo scopriremo solo vivendo.

di JACOPO IACOBONI - La Stampa

Nyctea scandiaca , la civetta delle nevi

La civetta delle nevi (Nictea scandiaca) è stata classificata per la prima volta nel 1758 da Carolus Linnaeus. Il nome "scandiaca" è una parola latinizzata riferimento alla Scandinavia, dove la civetta è stata osservata la prima volta. 
 E l'uccello simbolo dello stato del Québec.


La civetta delle nevi è così chiamata per via del fatto che vive prevalentemente nelle zone dei ghiacci polari e della tundra, e solo d'inverno si sposta più a sud, verso la Scandinavia meridionale e il Canada. 
Mentre compie i suoi lunghi viaggi sul mare si può fermare a riposare su iceberg, banchi di ghiaccio o anche navi se vi è ad esempio una bufera.
 Ama stare in superfici pianeggianti con dei poggi dai quali puoi dominare con lo sguardo l'intera distesa (come piccoli alberi, rocce emergenti dalla neve o anche staccionate).


Solitamente questo volatile è molto silenzioso, a eccezione dei forti suoni (che si propagano anche a 10 Km di distanza) che emette in primavera per rivendicare il proprio territorio.
 La femmina, se si trova lontana dal nido, è difficile da avvicinare: non appena sente un grosso predatore avvicinarsi vola via anche se il pericolo si trova un chilometro distante. 
Quando invece è nei pressi del nido ha due modi per allontanare le minacce: il primo consiste nel distrarre il nemico gettandosi a terra fingendosi ferita, mentre nell'altro caso fa gesti intimidatori con le ali mentre il maschio piomba sull'avversario colpendolo alla testa con gli artigli.


Questa civetta caccia di giorno (anche se la luce nell'inverno artico non è molta), individuando dalla zona rialzata su cui si apposta prede anche a 500 m di distanza, che poi raggiunge planando e colpisce con gli artigli; solitamente un colpo è sufficiente se l'animale è di piccola taglia, ma per quelli più imponenti deve beccare più volte sulla loro testa.


A causa della vita nomade che la civetta delle nevi vive, maschio e femmina difficilmente formano una coppia fissa per oltre una stagione, infatti i nidi non sono null'altro che buchi scavati nel ghiaccio.
 La femmina depone un uovo ogni 2-4 giorni, proporzionalmente alla quantità di cibo; inoltre, per garantire la sopravvivenza almeno del più forte, il primogenito viene sempre nutrito per primo mentre gli altri pulcini mangiano solo se vi è cibo d'avanzo.
 I piccoli nei primi mesi di vita hanno un piumaggio grigio scuro che oltre ad attirare il calore li rende meno evidenti all'interno del nido; al secondo mese sono già perfettamente in grado di volare.


Il fotografo Yves Adams ha sfidato il gelo di Montreal (meno 20 gradi) e seguito un'esemplare di civetta delle nevi tutto il giorno per riuscire a immortalare questo splendido uccello in tre immagini che stanno facendo il giro del mondo.
 La sua macchina fotografica è riuscita, infatti, a fissare la civetta con una gamba tesa dietro mentre è in equilibrio su un artiglio dando l'impressione di pattinare sul ghiaccio con un insolito sorriso. "Volevo davvero avvicinarmi a questo uccello – racconta Adams al Daily Mail - così ho strisciato molto lentamente attraverso la neve per un'ora o giù di lì.
 Alla fine sono arrivato molto vicino, forse a 15 metri di distanza, ma il gufo era molto rilassato.
 E 'stata una bella scena da vedere, nonostante il freddo.
 Anche se l'uccello era in un sonno profondo, i suoi occhi facevano capolino registrando ogni movimento che facevo.
Ad un tratto si è svegliato e si è stirato. Tutto questo è accaduto in pochi secondi, così ho dovuto reagire molto molto velocemente". 
Ne valeva la pena che dite?

Chi di spada ferisce.............



La moglie scrive:
Caro marito, ti scrivo questa lettera per dirti che ti lascio per qualcosa di meglio.
Sono stata una brava moglie per te per sette anni e non devo dimostrartelo.
Queste due ultime settimane sono state un inferno.
Il tuo capo mi ha chiamato per dirmi che oggi ti sei licenziato e questa e’ stata solo la tua ultima cavolata.
La settimana scorsa sei tornato a casa e non hai notato che ero stata a farmi i capelli e le unghie, che avevo cucinato il tuo piatto preferito ed indossavo una nuova marca di lingerie.
Sei tornato a casa e hai mangiato in due minuti, e poi sei andato subito a dormire dopo aver guardato la partita.
Non mi dici più che mi ami, non mi tocchi più.
Che tu mi stia prendendo in giro o non mi ami più, qualsiasi cosa sia, io ti lascio.
Buona fortuna!
Firmato: la tua ex moglie

P.s.: se stai cercando di trovarmi, non farlo: tuo fratello e io stiamo andando a vivere a Rimini insieme

Il marito risponde:
Cara ex moglie, niente ha riempito la mia giornata come il ricevere la tua lettera.
E’ vero che io e te siamo stati sposati per sette anni, sebbene l’ideale di brava moglie, a patto che esista, sia molto lontano da quello che tu sei stata.
Guardo lo sport così, tanto per cercare di affogarci i tuoi continui rimproveri.
Va così male che non può funzionare.
Ho notato quando ti sei tagliata tutti i capelli la scorsa settimana, e la prima cosa che ho pensato e’ stata: “sembri un uomo!”.
Mia madre mi ha insegnato a non dire nulla se non si può dire niente di carino.
Hai cucinato il mio piatto preferito, ma forse ti sei confusa con mio fratello, perchè ho smesso di mangiare maiale sedici anni fa.
Sono andato a dormire quando tu indossavi quella nuova lingerie perché l’etichetta del prezzo era ancora attaccata:
ho pregato fosse solo una coincidenza il fatto di aver prestato a mio fratello 50 euro l’altro giorno e che la tua lingerie costasse 49,99 euro.
Nonostante tutto questo, ti amavo ancora e sentivo che potevamo uscirne.
Così quando ho scoperto che avevo vinto alla lotteria 10 milioni di euro, mi sono licenziato e ho comprato due biglietti per la Giamaica.
Ma quando sono tornato tu te ne eri andata.
Penso che ogni cosa succeda per una precisa ragione.
Spero tu abbia la vita piena che hai sempre voluto.
Il mio avvocato ha detto, vista la lettera che hai scritto, che non avrai un centesimo da me.
Abbi cura di te!
Firmato: ricco come il demonio e libero

P.s.: non so se te l’ho mai detto ma mio fratello, prima di chiamarsi Carlo.. Si chiamava Carla: spero che questo non sia un problema.