martedì 18 febbraio 2014
A pesca di immondizia spaziale con la rete magnetica
Qual è il modo migliore per liberare lo spazio attorno alla Terra dai rifiuti spaziali? Secondo gli esperti dell’Agenzia Spaziale Giapponese JAXA potrebbe essere sufficiente pescarli con… un retino.
Molto grande, con caratteristiche fisiche speciali, ma pur sempre un retino.
Secondo quanto riportato qualche giorno fa dal quotidiano South China Morning Post la JAXA sarebbe infatti al lavoro per realizzare una grande rete magnetica da impiegare nella cattura dei frammenti metallici provenienti da satelliti in disuso e altre apparecchiature che giacciono abbandonate in orbita attorno al nostro pianeta. Per questo progetto gli ingegneri del Sol Levante si sarebbero appoggiati ai colleghi della Nitto Seimo, specializzata nella costruzione di reti da pesca.
La rete, lunga circa 300 metri, potrebbe essere testata già alla fine di questo mese: verrà portata nello spazio da un razzo e lasciata in orbita per un anno attorno al nostro pianeta. Giorno dopo giorno raccoglierà pezzi di metallo e altri detriti e si abbasserà progressivamente di quota, fino a quando il suo stesso peso non la farà cadere nell’atmosfera terrestre. Qui l’attrito la incenerirà insieme a tutto il suo contenuto.
Secondo gli scienziati i manufatti abbandonati in orbita attorno alla Terra e grandi più di 6 centimetri sono circa 29.000 e viaggiano a quasi 20.000 km/h di velocità: un vero e proprio sciame di proiettili pronti a mettere fuori gioco qualsiasi apparecchiatura lanciata nello spazio. Un pericolo e un costo non indifferenti.
Se questo e i prossimi test daranno risultati positivi la rete della JAXA diventerà completamente operativa entro il 2019.
“Per ora la cosa più importante e utile da fare è tenere sotto controllo questa grande massa di detriti” spiega ai media John Crassidis, esperto di detriti spaziali all’Università di Buffalo.
L a rete della JAXA non è comunque il primo progetto per la raccolta e lo smaltimento delle apparecchiature orbitanti fuori uso: l’ESA, l’ente spaziale Europeo, ha recentemente concluso con esito positivo i test del Gossamer Deorbiter Sail, una piccola vela di 5 metri quadri in grado di provocare la caduta nell’atmosfera di un satellite pesante fino a 700 kg.
Fonte : Focus.it
Il carciofo, uno dei vegetali più straordinari che la natura ci ha regalato
Conosciuto da tempi antichissimi , sull'origine del carciofo continuano a mancare solide certezze. In compenso, abbondano congetture ed ipotesi: c'è chi afferma che ad iniziarne la coltivazione furono gli Egizi, e chi invece nega che Egizi ed Ebrei lo conoscessero; alcuni lo ritengono originario dell'Asia, altri sostengono che è nato in Occidente. Chissà...!
Ecco la sua interessantissima storia partendo dalle più antiche notizie che lo riguardano.
Chiari accenni al carciofo si rintracciano già nella tradizione sia greca che romana.
Nella mitologia greca esso è l’incarnazione di Cynara, una ninfa cara a Zeus.
Cynara era bellissima e Zeus se ne invaghì. Era bella, ma anche volubile e capricciosa e perciò il dio geloso la trasformò in ortaggio, verde e spinoso.
Il colore ricorderebbe infatti gli occhi di Cynara e le sue spine le tante pene che il dio patì per la gelosia.
Quest’ortaggio ha però un cuore dolce come quello della fanciulla che inizialmente lo aveva incantato.
Passando alla storia romana troviamo che Teofrasto (300 a.C.) nella sua "Storia delle piante" descrive le caratteristiche e le virtù dei "cardi pineae", mentre Plinio il Vecchio (I° sec d. C.) nella "Naturalis Historia" ne documenta l'uso nella cucina romana; Decio Bruno Columella nel "De Re Rustica" asserisce che in quel tempo già era in auge la coltivazione del carciofo a scopo sia alimentare che medicinale.
Teofrasto e Galeno lo raccomandavano ai pazienti come diuretico e rilassante; Columella, invece, lo considerava caro a Bacco e Plinio il Vecchio ne decantava le sue virtù nella cucina romana.
Nel mondo egizio pare che al tempo di Tolomeo Everegete, re dell’Egitto dal 246 al 221 a.C. , ai soldati fosse ordinato di mangiare carciofi, per ricavarne una dose maggiore di forza e coraggio.
Vegetale perfettamente integrato e gradito sia nelle tavole greche che romane, del carciofo si perdono le tracce nelle epoche successive. In seguito all’arrivo dei barbari in Italia sparì la sua coltivazione, reintrodotta successivamente dagli spagnoli in Sicilia. L’oblio di questo vegetale durò a lungo, praticamente fino alla fine del Medio Evo.
Di questo periodo mancano notizie certe, mancano ricette e fonti letterarie, dal momento che la stampa non esisteva ed i manoscritti circolavano poco.
E’ nel rinascimento che si assiste alla riscoperta del carciofo: la sua coltivazione si estende in diverse regioni italiane. Pietro Mattioli, noto medico senese del '500, scrive cosi su un suo trattato sulle piante medicinali: «veggonsi ai giorni nostri in Italia carcioffi di diverse sorti: spinosi, sia serrati che aperti, non spinosi, rotondi, lunghi, aperti e chiusi, e di quelli che rassemblano alle pine dei pini».
Nel secolo XV il carciofo era dunque ben diffuso in Italia.
Venuto dalla Sicilia, approda in Toscana verso il 1466. In Francia si dice che fu introdotto da Caterina de' Medici, la quale gustava volentieri i cuori di carciofo.
Madrina d'eccezione, Caterina de' Medici (1519-1589), che dalla sua Toscana lo portò in Francia nel 1547, quando andò sposa ad Enrico II facendone il cibo più a la page della capitale francese. Le male lingue dell’epoca ne dissero ’di cotte e di crude’ a proposito di Caterina de’ Medici.
Educanda quattordicenne, tracagnotta e bruttina, con gli occhi a palla caratteristici della famiglia Medici, venne dai “cugini francesi” sdegnosamente definita la "grassa bottegaia fiorentina", quando arrivò a Marsiglia per sposare il bel coetaneo, delfino della corona, Henri de Valois, il futuro Enrico II d'Orléans.
Figurarsi cosa pensavano di lei quelle malelingue, circa il fatto che impiegò 10 anni per … fare un figlio! Anche per questo, si narra che la "bottegaia" ricorresse a molti alimenti che riteneva afrodisiaci. Entravano nell'elenco: cardo, scalogno, zucchine, sedano, funghi, fave, cipolle, e carciofi. (Afrodisiaci o meno, sappiamo che Caterina mise alla luce ben nove eredi!)
Le cronache del tempo riportano un pranzo di gala, con il carciofo protagonista, dato in suo onore dalla città di Parigi nel 1549.
L’avanzata del carciofo si estendeva nel nord Europa. Dall’Olanda i carciofi raggiunsero anche l’ Inghilterra: abbiamo notizie che nel 1530 venivano coltivati nel Newhall nell'orto di Enrico VIII.
Poi la coltivazione di questo straordinario ortaggio varcò l’oceano e raggiunse l’America.
Nel continente americano, il carciofo cominciò ad essere coltivato circa due secoli dopo (1700) da parte dei colonizzatori, in particolare dagli immigrati francesi, in Louisiana, verso gli inizi del 1800.
Ancora oggi, a New Orleans, in molti dei ristoranti del quartiere francese il carciofo viene servito come contorno per ostriche e altri frutti di mare.
Gli Spagnoli, invece, provvidero a trapiantarlo in California nell'area di Monterey, dove, favorito dalle ottime condizioni climatiche, attecchì al punto da divenire una vera "pianta invasiva", quasi una minaccia per l’habitat della zona. Ciò, però, non impedì alla cittadina costiera di Castroville (5000 abitanti) di auto-proclamarsi "Centro Mondiale dei Carciofi'' e di festeggiare, nel mese di maggio, questo titolo con un frequentatissimo "Festival del Carciofo", (Artichoke Festival) con tanto di elezione della "reginetta": la prima Artichoke Queen ad essere eletta, nel 1949, fu una certa Marylin Monroe!
Oggi la coltivazione del carciofo è diffusa in gran parte del mondo, con tecniche moderne. Se ne producono annualmente circa 13 milioni di quintali, dei quali il 46% in Italia. Il carciofo riveste, quindi, una notevole importanza nell'economia agricola italiana: è tra le specie ortive più coltivate, collocandosi al 3° posto.
Vediamo ora, insieme, le principali caratteristiche di questo straordinario vegetale
Il carciofo (Cynara cardunculus L. ssp. scolymus (L.) Hegi) è una pianta della famiglia delle Asteraceae.
Le Asteracee (Asteraceae Martynov, 1820), note anche come Compositae Giseke, (1792, nomen conservandum), sono una vasta famiglia di piante dicotiledoni dell'ordine Asterales. Il carciofo, perciò, è parente stretto sia del cardo sia (chi l'avrebbe sospettato?) dell'assai più romantica margherita!
L’attuale carciofo coltivato (Cynara scolymus), nelle sue ampie varietà, deriva con buona certezza dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus); la sua “domesticazione” pare sia avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa.
Il carciofo, abbastanza ricco di ferro, risulta di buon valore nutritivo e di basso apporto calorico.
Per la cultura popolare possiede virtù terapeutiche e salutari grazie alla ricchezza della sua composizione: sodio, potassio, calcio, fosforo, ferro, vitamine (A, B1, B2, C, PP), acido malico, acido citrico, tannini e zuccheri consentiti anche ai diabetici; È quindi per la tradizione: tonico, stimolatore del fegato, sedativo della tosse, contribuisce a purificare il sangue, fortifica il cuore, dissolve i calcoli e disintossica.
La medicina popolare ha attribuito al carciofo particolari virtù terapeutiche, forse a causa dell’aroma caratteristico.
Oggi il carciofo viene apprezzato come fonte di cellulosa e di fibra alimentare. Ha uno scarso contenuto vitaminico ma è piuttosto ricco, invece, di sali di potassio e di ferro (scarsamente utilizzabili); Il suo apporto calorico è trascurabile. Contiene, inoltre, la cinarina, sostanza particolarmente amara contenuta nelle foglie, nello stelo e nell'infiorescenza, che svolge nell’organismo un'azione benefica sulla secrezione biliare, favorisce la diuresi renale e regolarizza le funzioni intestinali. Altro principio attivo è la cinaropicrina.
I suoi contenuti vitaminici, infine, son utili per ridurre la permeabilità e la fragilità dei vasi capillari. Il carciofo è utilizzato anche in cosmesi. Il suo succo svolge un'azione bioattivante, vivificante e tonificante per la pelle devitalizzata e foruncolosa.
Per trarre beneficio di queste straordinarie qualità curative, bisognerebbe assumere una quantità di carciofo fresco pari a 100-300 g al dì, per un periodo abbastanza prolungato.
Il carciofo alla luce dei più recenti studi deve essere considerato un autentico toccasana. Il suo uso dovrebbe entrare nella quotidianità alimentare d’ogni individuo, e in particolar modo in quei soggetti che hanno o potrebbero avere, per ragioni ereditarie, un livello di colesterolo superiore alla media.
Alle sue straordinarie proprietà benefiche si associa inoltre una grande e sapida gradevolezza. Il suo uso in cucina è uno dei più vari, capace di accompagnare una straordinaria varietà di pietanze.