lunedì 28 ottobre 2013

Maharajas’ Express: un viaggio da “grande re”


India: un immenso contenitore di storia, culture, religioni, tradizioni antichissime e ricchissime biodiversità naturali, il cui nome evoca alla mente fantastici scenari di giungle e tigri; templi e divinità; fortezze e monumenti; deserti, fiumi sacri, palazzi e….”maharaja”. 

Maharaja – che significa “grande re” – è l’antico titolo che veniva dato ai sovrani indiani, che non erano solo una razza a parte, ma, un “mondo a parte” da tutti gli altri. 
Da quando nascevano, infatti, venivano adornati d’oro e pietre preziose, con una tale disponibilità di denaro da poter soddisfare ogni più piccolo desiderio o fantasia e, fra le altre cose, nel tempo cominciarono a dedicarsi ai treni ed alla ferrovia, secondo l’impronta lussuosa della loro vita.

 Affascinati da tutto ciò che si muoveva o volava, i maharajas manifestarono in molti modi la loro passione per il motore a vapore e la ferrovia lasciando una storia ricca di aneddoti e curiosità: dal modellino in argento del sovrano di Gwalior che funzionava sul tavolo dei banchetti per servire bevande e tabacchi ai reali commensali, alla ferrovia giocattolo lunga 2 miglia su cui il principino Madhav Rao Scindia giocava con gli amichetti intorno al palazzo fino alla ferrovia privata con la prima stazione in India del signore di Jodhpur, nel 1880 e la linea statale costruita nel 1936 dal maharaja di Indore con le carrozze più grandi, lussuose e riccamente rifinite all’interno mai realizzate prima.
 Non è un caso quindi – né da tutti – se un treno di lusso si è guadagnato il diritto di essere chiamato: Il Maharajas’ Express.


Nato dall’accordo fra prestigiose compagnie, il treno, operante dal 2010, è davvero l’ultima novità in fatto di “luxury”su rotaia e, grazie all’eleganza, raffinatezza ed eccellenza dei suoi servizi, è stato inserito fra i 25 migliori treni di lusso al mondo (World’s Top25 Trains).
 Le sue 23 carrozze sono equipaggiate di ogni comfort e ritrovato tecnologico che il denaro possa comprare e la scienza offrire. 
I passeggeri sono ospitati in cabine suddivise in “suite de-luxe”, “junior suite”, “suite” ed una “presidential suite” – le più spaziose in questa categoria – tutte con ampi finestrini per non perdere un attimo dei magnifici paesaggi dell’India attraversati dall’Express. 
Dal maxi schermo televisivo dell’ultima generazione al telefono diretto, al collegamento internet e controllo individuale della temperatura, fino ai bagni compatibili con l’ambiente: ogni cosa è curata nel minimo dettaglio.


Personale gentile ed altamente competente, fra cui studiosi dell’India e relatori che aiutano i viaggiatori ad apprenderne storia, usanze e cultura; due ristoranti di alto livello, un bar esotico e un lounge bar; tavoli gioco, zona leaving e boutique. 
Consumazioni tutte comprese nella quota viaggio e curatissimi servizi di trasporto per le escursioni a terra, con refrigeratori per bevande, fornitura di sovrascarpe e copricapi quando occorre e… ogni altra attenzione per un viaggio degno di un maharaja!
 Un vero e proprio hotel di lusso per un suggestivo tour da 10 ed 11 giorni altamente competitivo per gli itinerari offerti -che diversamente ne impiegherebbe almeno 14 – senza la fatica di fare e disfare valigie o continui check-in e check-out.


Tre itinerari del Maharajas’ Express nel cuore dell’India, per offrire in ognuno l’essenza del suo fascino: 

- l’India “dei principi”: partendo dall’ affollata Mumbay (Bombay), un viaggio fra architetture dalla bellezza immortale e monumenti ricchi di storia, alla scoperta delle tradizioni e degli usi locali, con un incontro ravvicinato con la tigre di Ranthambore; 

- l’India “dei re”: partendo da Delhi, addentrandosi nel loro immenso patrimonio culturale, fra partite a polo sugli elefanti e palazzi dei Maharajas; il “monumento all’amore“ e le tigri del Parco Nazionale Ranthambore; 

- l’India “classica”: partendo da Delhi, alla scoperta del lato mistico e dei tesori nascosti, passando nella città sacra Varanasi e navigando sul fiume Gange osservando gli antichi riti religiosi; i templi misteriosi di Khajuraho e la vita selvaggia del Parco Nazionale Banhavgarth. Delhi vecchia e nuova; Jaipur “la città rosa” e Jodphur “ la città blu” , gioielli del deserto; Khajuraho, la città Patrimonio Mondiale dell’Unesco, sede dei templi al Dio Shiva e all’arte erotica; Agra “gioiello dell’India”, col mausoleo Taj Mahal e le colorate tende “khemal”; Varanasi, la città sacra bagnata dal fiume Gange, dove Buddha fondò la sua religione: queste alcune delle mete del viaggio fantastico, fra escursioni sui cammelli con musicisti nel Deserto del Thar, cene in sontuosi palazzi e cortili di forti; barbecues sulle dune del deserto e champagne al tramonto; safari e brunch in mezzo alle tigri e navigazioni sul Gange fra canti, rituali sacri e profumo di incenso e sandalo.
 E fra una tappa e l’altra, riposando in un atmosfera d’altri tempi delle accoglienti carrozze, fra cene raffinate ed incontri al club, si continua ad ammirare l’India, che scorre davanti, dal tramonto all’alba: il Maharajas’ Express è un’esperienza come nessun’altra, in una terra come nessun’altra al mondo.

 Maria lucia Ceretto

“Se questo posto non è il paradiso, è certamente qualcosa che ci si avvicina molto”.

Il Danum River, immerso in una foresta spettacolare. Alberi alti, altissimi, sembra essere catapultati su un altro pianeta, dove i rumori vengono emessi dalla giungla, non dall'uomo; qui ci si sente piccoli, la natura è travolgente e non ci sono dubbi che è lei a dominare lo scenario.
La regione della Danum Vally è un luogo di ricerca sulla straordinaria biodiversità di quest'area dell'isola del Borneo che attira visitatori e naturalisti da tutto il mondo.

La foresta della Danum è abitata da tutti i mammiferi del Sabah, compresi quelli più rari come il rinoceronte di Sumatra, elefanti, orsi, orangutan, varie specie di scimmie e molti altri esemplari.

Quando, durante la passeggiata notturna si spengono le torce, ci si trova dentro un film di fantascienza; i funghi fluorescentii si illuminano facendo in modo che il suolo delle foresta sembri un tappeto luminoso.

Il villaggio dei cobra


Ban Kok Sa-Nga è un villaggio nel nordest della Thailandia che conta poche centinaia di abitanti ma è diventato molto famoso: è  “Il Villaggio dei Cobra”.
Il villaggio infatti ha una caratteristica insolita: tutti gli abitanti allevano come animali domestici… dei serpenti. 
Si tratta di una curiosa idea che un dottore del luogo ha avuto circa 60 anni fa, per risollevare le sorti dell’economia del villaggio. 
Alla fine l’illuminazione: cercare di convincere tutti i concittadini ad allevare serpenti, e organizzare spettacoli con protagonisti gli animali e guadagnarsi, così, un posto come meta turistica. 
Per quanto possa apparire strano, l’idea ha funzionato, ed il villaggio è diventato davvero una meta turistica, che oggi colpisce anche per la familiarità che gli abitanti hanno con i serpenti: del resto, è ormai da un paio di generazioni che questi crescono fin da piccoli circondati dagli animali.

Il Ponte Shahara, Shahara District, Yemen

Questo ponte è stato costruito nel 16 ° secolo e servito allo scopo di collegare il villaggio di Shahara a quello di Shaharat al-Fays attraverso una gola di 300 metri di profondità, così le persone possono facilmente spostarsi da una città all'altra.
Il ponte era  stato costruito per la lotta contro gli invasori turchi, una leggenda diceva che il ponte poteva essere rimosso quando il pericolo incombeva, Progettato e costruito da Salah Al-Yemen agli ordini di Al-Asta Saleh Al-Suaidi, la sua costruzione costò più di 100.000 rial d'argento.

Il ponte è usato dalla gente del posto su base giornaliera, ed è ampiamente considerato un capolavoro architettonico.
Essa attira anche visitatori da tutto il mondo, ma la zona è inospitale e non facilmente accessibile.
Shaharah e Shaharat al-Fays sono accessibili solo in auto, che deve essere sia di proprietà di persona o un affitto. Le misure di sicurezza non consentono ai visitatori di prendere un taxi, se non accompagnati da una guida ufficiale del tour.

Forse risolto l'enigma dei pini feriti della foresta di Dividalen in Norvegia

C’è un mistero nella foresta del Ovre Dividalen National Park, vicino Troms in Norvegia
Un mistero che ha fatto nascere le più incredibili storie. Molte piante hanno la loro corteccia tagliata e asportata su di un fianco.
Il taglio e l’asportazione riguardavano sempre il lato nord dell’albero.
Una realtà difficile da spiegare, anche dal punto di vista scientifico. E così sono stati tirati in ballo extraterrestri, nani, elfi e chi più ne ha più ne metta.

Ma negli ultimi mesi Arve Elvebakk della University of Tromso con la collaborazione di Andreas Kirchhefer, un esperto nella datazione degli alberi, hanno voluto trovare la soluzione del fenomeno, ad ogni costo.
Per prima cosa i ricercatori hanno datato le cicatrici: esse risalgono al 17mo e 18mo secolo.
Una datazione che ha permesso di ottenere quasi immediatamente la risposta al mistero: “In quel periodo era pratica presso gli Sami la raccolta di cortecce di pino per ottenerne cibo.
Un processo estremamente laborioso che trasformava la corteccia in farina”, spiega Elvebakk.

I Sami chiamati anche impropriamente Lapponi, costituiscono una popolazione indigena della parte settentrionale della Fennoscandia che si estende dalla Penisola di Kola fino alla Norvegia e che oggi è composta da circa 75.000 persone.

Ma perché non si è arrivati ad avanzare prima questa ipotesi se è bastata la datazione per arrivarci? “Perché la tradizione dell’asportazione della corteccia di pino per farne cibo si era persa in Norvegia, mentre negli ultimi anni era diventata oggetto di studio nella vicina Svezia dove la cognizione di quel che avveniva nel passato a tal proposito si era conservata nel tempo.
Così, solo facendo riferimento a queste ricerche, si è arrivati alla risposta del mistero della foresta di Dividalen”.
Forse pochi sanno che presso tutti i popoli del Grande Nord la corteccia di pino è stata ampiamente utilizzata come cibo in tempi di carestia.
Era d’uso abbattere interi alberi per togliere la corteccia o creare degli anelli che comunque facevano morire la pianta.
Nella foresta di Dividalen invece, il taglio della corteccia avveniva solo su un lato della pianta (a nord, per rispetto del lato sud verso il quale il dio Sole faceva sentire il suo effetto), permettendo ad essa di sopravvivere al danno.
Ed in effetti le piante hanno continuato a vivere per oltre 200-300 anni senza particolari problemi.
L’asportazione della corteccia richiedeva comunque una certa forza e strumenti affilati
Trovati gli attrezzi del mestiere Durante le ricerche gli studiosi hanno anche portato alla luce cinque diversi punteruoli e coltelli che servivano per tagliare la corteccia.
Per trasformarla in farina essa veniva racchiusa in corteccia di betulla e sepolta.
Al di sopra del luogo di sepoltura veniva acceso un falò per 4 o 5 giorni, il tempo necessario per tostare la corteccia di pino e farle perdere il sapore amaro.
Quindi si trasformava il risultato in farina che veniva considerata un cibo prelibato soprattutto se stufata con grasso animale.
L’utilizzo della corteccia per ottenere farina è andato in disuso attorno al 1860, quando altri tipi di farine e di zuccheri si sono resi disponibili e la necessità di farina di corteccia fatta in casa non fu più indispensabile.

[focus.it]

Non ci resta che piangere .....perchè a ridere ci pensa il resto del mondo!!!!

Qualcuno mi spiega il perché??? 
Non credo che si debba essere laureati alla Bocconi per per fare quattro calcoli matematici.
Grazie miracoloso governo del fare (niente).

Non passa giorno che il prezzo dei carburanti segni nuovi record. sul prezzo in Italia pesano “tasse misteriose” che resistono da oltre 70 anni e che il nostro cari governanti continuano a farci pagare. Vediamo quali sono questi costi che gravano sugli automobilisti e su tutti i trasporti aumentando i prezzi di tutti i prodotti (senza contare che i trasporti su gomma sono la maggior parte)
Il prezzo complessivo è composto da varie voci: dal costo del prodotto raffinato, il trasporto primario, il costo di stoccaggio, le varie spese di ufficio e punto vendita, fino al margine per il gestore. Sembrerebbero molte, ma tutte queste voci - che contemplano spese e guadagni per diversi soggetti - ammontano solo al 30% del costo del carburante.
La vera “vergogna” arriva dalle famose accise che pesano per il 52% sul costo totale.
TUTTE LE TASSE SULLA BENZINA
L' elenco dei rincari che gravano su questa imposta è lungo e risale al 1935. 1,90 lire (0,000981 euro) per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935-1936 
14 lire (0,00723 euro) per il finanziamento della crisi di Suez del 1956
10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963
10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo l'alluvione di Firenze del 1966
10 lire (0,00516 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968
99 lire (0,0511 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976
75 lire (0,0387 euro) per la ricostruzione dopo il terremoto dell'Irpinia del 1980
205 lire (0,106 euro) per il finanziamento della guerra del Libano del 1983
22 lire (0,0114 euro) per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996
0,02 euro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004
0,005 euro per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005
da 0,0071 a 0,0055 euro per il finanziamento alla cultura nel 2011 (per la salvaguardia dei beni culturali)
0,04 euro per far fronte all'arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011
0,0089 euro per far fronte all'alluvione che ha colpito la Liguria e la Toscana nel novembre 2011
0,082 euro per il decreto "Salva Italia" nel dicembre 2011
0,02 euro per far fronte al terremoto dell'Emilia del 2012 Inoltre, dal 1999, le Regioni hanno la facoltà di imporre tasse regionali sui carburanti.
ATTENZIONE A ciò si somma l'imposta di fabbricazione sui carburanti, per un totale finale di 70,42 cent per la benzina e 59,32 cent per il gasolio.
Su queste imposte viene applicata anche l'IVA al 22%. tassa su tassa
0,112 Euro sul diesel e 0,082 Euro per la benzina in seguito al Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201 «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» del governo Monti.

Statue di fiabe famose


Le fiabe sono state usate come storie per andare a dormire dai genitori per generazioni. Esse hanno intrattenuto i bambini, scrittori ispirati, e hanno trovato risalto nella cultura pop contemporanea. Molti personaggi delle fiabe sono state immortalate in statue che si ergono sulle pubbliche piazze, nei giardini o sulle rive dei fiumi. 

 La statua della Sirenetta 

 La statua della Sirenetta è una scultura bronzea alta 1,25 m e dal peso di 175 kg, situata all'ingresso del porto di Copenaghen, di cui è uno dei simboli. 
Raffigura la protagonista di una delle più celebri fiabe di Hans Christian Andersen, La Sirenetta ("Den lille Havfrue" in danese).
 La statua fu commissionata nel 1909 da Carl Jacobsen, figlio del fondatore di Carlsberg, il quale era rimasto affascinato da un adattamento della fiaba come balletto. 
Fu realizzata dallo scultore Edward Eriksen e mostrata per la prima volta al pubblico il 23 agosto 1913. Eriksen usò sua moglie Eline come modella.


Fremont Troll a Seattle

 Passeggiate per Fremont, un quartiere periferico di Seattle. 
Vi trovate a passare sotto a un ponte, ma ecco che accade qualcosa che non vi aspettereste: un enorme mostro emerge dal sottosuolo. Dopo l’iniziale sbigottimento, una domanda vi balza in testa: che ci fa un troll in America? 
Sulla base delle fiabe scandinave Tre Billy Goats Gruff, la statua è stata costruita da quattro artisti ( Steve Badanes, Will Martin, Donna Walter, Ross Whitehead) voluta dal comune per riqualificare l’area sotto al ponte, diventata col tempo una discarica e luogo di incontro di spacciatori.
 Come un’orripilante creatura scandinava possa servire allo scopo è un mistero.Ma la scultura è diventata un’icona del quartiere, e una grossa attrazione turistica: soprattutto perché i visitatori sono incoraggiati a interagire con essa, salirvi sopra, e persino divertirsi a toccare l’"occhio buono" del mostro, costituito da una borchia d’auto. Probabilmente derivata dal Maggiolino Volswaken che il troll sta schiacciando con la sua mano.


Peter Pan nei Giardini di Kensington 

 Peter Pan nei Giardini di Kensington (Peter Pan in Kensington Gardens) è un'opera letteraria pubblicata nel 1906 dall'autore James Matthew Barrie. 
E' importante dire che, nonostante il titolo porti a pensare ad un prequel delle avventure di Peter Pan, il più celebre personaggio di Barrie, questo lavoro è in realtà completamente autonomo rispetto ai successivi: pur presentando un personaggio con lo stesso nome e con la peculiarità di non voler crescere, i temi e il tono adoperati nelle due opere sono decisamente differenti.Inoltre, il Peter Pan dei Giardini è un neonato, mentre quello dell'opera teatrale è un ragazzino preadolescente. Tuttavia, si può ipotizzare che si tratti della stessa figura in quanto anche questo Peter Pan sa volare, e anche nel vero e proprio romanzo Peter Pan, l'omonimo protagonista racconta di una visita a sua madre in cui egli osserva da una finestra sua madre e si accorge che questa ha avuto un altro figlio che l'ha rimpiazzato.


Alice in Wonderland in Central Park, New York

 Probabilmente la scultura più amata di Central Park, a New York, è una rappresentazione in bronzo di un gruppo di personaggi dal 1865 di Lewis Carroll dal classico racconto le avventure di Alice nel paese delle meraviglie .
 La scultura è stata modellata al di fuori delle illustrazioni originali di John Tenniel che sono state utilizzate nella prima edizione pubblicata del libro. 
Il fulcro evidente del lavoro di Alice, raffigura il volto della figlia di Creeft, seduta su un fungo gigante, che guarda verso un orologio da tasca in possesso di Bianconiglio.
 Scrutando oltre la spalla c'è il gatto del Cheshire, circondato dal ghiro, e il Cappellaio Matto - una caricatura di George Delacorte. La statua si trova a 11 metri di altezza e bambini sono invitati a salire, toccare e strisciare per tutta la statua.


Musicanti di Brema a Brema, Germania

 I musicanti di Brema (in tedesco Die Bremer Stadtmusikanten) è una fiaba pubblicata dai fratelli Grimm. 
 Un asino, un cane, un gatto e un gallo, tutti e quattro vissuti in diverse fattorie, una volta invecchiati, vengono cacciati via e trattati male dai loro padroni. 
Ad uno ad uno abbandonano il proprio territorio e scappano via insieme incontrandosi, decidendo di andare a Brema per vivere senza padroni e diventare musicisti. 
Sulla strada per Brema i quattro animali scorgono una casa abitata da alcuni ladri. Essendo affamati, pensano di mandarli in fuga per poter ottenere del cibo. Perciò, dopo essersi posizionati l'uno sopra la schiena dell'altro, intonano uno strano concerto emettendo i propri versi che, messi assieme, formano un ruggito. 
I ladri, non sapendo da dove provengano quei rumori e credendo che ci siano dei fantasmi, fuggono via a gambe levate, liberando così la casa agli animali, che si rifocillano e riposano lì per la notte. Durante la notte, i ladri ritornano sul posto e mandano un volontario a controllare la casa. 
Non essendoci luce, il ladro volontario va in cucina per accendere una candela e vede gli occhi del gatto brillare nell'oscurità, scambiandoli per carboni ardenti. Allora avvicina la candela verso il gatto che però gli salta addosso e gli graffia la faccia, dopodiché l'asino gli tira un calcio, il cane gli morde una gamba e il gallo lo becca spingendolo verso la porta e strillando.
Tornato indietro dai suoi compagni, il brigante volontario racconta a loro di essere stato malmenato da un'orribile strega che lo ha graffiato (il gatto), da un vampiro che lo aveva morso (il cane), da un centauro che lo ha calciato (l'asino), e da un diavolo sopra il tetto (il gallo) che urlava "Chi corre qui!". 
Alla fine i ladri abbandonano definitivamente la casa senza mai più tornarci e i quattro animali vivranno felicemente lì per il resto della loro vita.


Il pifferaio di Hameln in Germania Hameln 

 Il pifferaio di Hamelin è una fiaba tradizionale tedesca, trascritta, fra gli altri, dai fratelli Grimm. È anche nota come Il Pifferaio Magico o con altri titoli simili.
 Si ritiene che essa sia stata ispirata da un evento accaduto nella città tedesca di Hameln in Bassa Sassonia, nel XIII secolo. La storia si svolge nel 1284 ad Hameln, in Bassa Sassonia. Un uomo con un piffero si presenta in città e propone di disinfestarla dai ratti; il borgomastro acconsente promettendo all'uomo un adeguato pagamento.
 Non appena il Pifferaio inizia a suonare, i ratti, incantati dalla sua musica, si mettono a seguirlo, lasciandosi condurre fino al fiume Weser, dove annegano.
 La gente di Hamelin, ormai liberata dai ratti, decide incautamente di non pagare il Pifferaio. Questi, per vendetta, riprende a suonare mentre gli adulti sono in chiesa, attirando dietro di sé tutti i bambini della città. Centotrenta bambini lo seguono in campagna e vengono rinchiusi dal Pifferaio in una caverna.
Nella maggior parte delle versioni, non sopravvive nessun bambino, oppure se ne salva uno che, zoppo, non era riuscito a tenere il passo dei compagni. 
Varianti più recenti della fiaba introducono un lieto fine in cui un bambino di Hamelin, sfuggito al rapimento da parte del Pifferaio, riesce a liberare i propri compagni. 
Una variante dice che i bambini entrano in questa caverna seguendo il pifferaio magico e fuoriescono da un'altra caverna, la grotta di Almas in Transilvania.
 Questa era una delle leggende che spiegava l'arrivo dei sassoni in Transilvania, che così sarebbero appunto i bambini portati dal pifferaio magico di Hamelin.

L'enigma dei Nok, una delle civiltà africane più avanzate del X secolo a.C

Nok è il nome di un piccolo villaggio nel centro della Nigeria, dove nel 1928 un gruppo di minatori ha portato alla luce una serie di reperti in terracotta, testimonianza di un'antica civiltà perduta.

I numerosi scavi archeologici hanno rivelato  che quella dei Nok può essere stata la prima civiltà complessa  apparsa in Africa occidentale, circa il 900 aC e misteriosamente scomparsa intorno al 200 dC
I risultati hanno mostrato una società altamente avanzata, con un sistema giudiziario tra i più complessi del tempo, sorsero in un momento in cui altre culture africane stavano entrando nel periodo neolitico.
Gli archeologi hanno trovato un certo numero di strumenti in pietra, pitture rupestri e strumenti di ferro, comprese le punte di lancia straordinarie, bracciali e piccoli coltelli.

Ma ciò che di questa  cultura  è molto più intrigante ed enigmatico sono le statue in terracotta Nok, descritte dal sito Memoire d'Afrique, che ospita una galleria di foto delle statue, come straordinarie , senza tempo e quasi "extraterrestre".
Nonostante il significativo patrimonio culturale che i Nok  si sono stati lasciati alle spalle, ci sono ancora molte domande senza risposta.

Prima di tutto, essendoci  prove scritte, il nome originale di questa civiltà rimane sconosciuto
Inoltre, rimane sconosciuta la ragione della loro improvvisa scomparsa e il vero scopo delle misteriose statue in terracotta a grandezza naturale.
Il progresso tecnologico di questa civiltà è testimoniato dalle loro straordinarie opere d'arte prodotte dagli artefatti Nok che esprimono una notevole padronanza del processo di produzione e cottura di argilla.
Le statue antropomorfe sono sempre caratterizzate da una cura quasi maniacale per i dettagli, raffigurato con acconciature complesse, grandi teste allungate, occhi a mandorla e labbra socchiuse.
Queste caratteristiche insolite sono particolarmente inquietante se si considera il fatto che le statue sono state fatte a grandezza naturale e rispettando le proporzioni tra la testa e il resto del corpo, portando alcuni a usare il termine "extraterrestre in apparenza" per descrivere quest'arte 
L'ispezione microscopica dell'argilla utilizzata  mostra un importante uniformità nella composizione, suggerendo che il materiale proveniva da un unico serbatoio non ancora scoperto.

Non si sa molto circa il vero scopo delle sculture, ma alcuni ricercatori hanno ipotizzato che le statue servono come amuleti per evitare il fallimento del raccolto, la malattia e la sterilità.
Altri studiosi, invece, ritengono che queste  rappresentino gli individui di alto rango, o dei 'celesti' da celebrare e adorare

Tuttavia, la realizzazione di statue a grandezza naturale non è l'unica indicazione della complessità della loro civiltà.
La ricerca ha dimostrato che i Nok abbiano  sviluppato un sistema amministrativo e giudiziario molto avanzato, al fine di garantire la giustizia sociale e l'ordine pubblico.
In maniera molto simile alla organizzazione del sistema giudiziario moderno occidentale, 
Questo popolo ha creato due tipi di tribunale, uno destinato a giudicare le cause civili, come ad esempio le dispute familiari o false accuse, l'altro creato per le accuse più gravi, come il furto 
l'omicidio e l'adulterio.
Inoltre, all'interno di un santuario chiuso al pubblico c'era una corte suprema, che  esaminava i casi che non potevano essere risolti dai tribunali.
La gente credeva che ogni crimine  attirava una maledizione che poteva distruggere l'intera famiglia e, quindi, il guasto doveva essere rilevato e punito, al fine di evitarne le conseguenze.
Prima di essere sottoposto al giudizio della Corte, l'indagatoveniva portato tra due monoliti posti di fronte al sole,  qui doveva giurare solennemente di fronte Nom, la divinità suprema dei Nok, di dire la verità.
La corte era presieduta dal sommo sacerdote e dei vari capi clan. Per chiunque fosse trovato colpevole veniva imposto un sacrificio agli dei in capre, oltre a una pletora di vino locale al sommo sacerdote.
Dopo di che, in città è veniva dichiarato un giorno di festa, per ringraziare gli dei che li avevano aiutarli a risolvere il caso e per lo scampato pericolo della maledizione.    
Che cosa è successo? Ad un certo punto, intorno al 200 dC, la cultura Nok fiorente scompare nelle pieghe della storia, causando confusione e domande tra gli studiosi circa la ragione della loro scomparsa.
Alcuni ricercatori hanno suggerito che l'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e una forte dipendenza dal carbone, potrebbe aver giocato un ruolo cruciale nella scomparsa dei Nok.
Rispetto a questo, altre ipotesi sono state avanzate, dai cambiamenti climatici alla invasione, alla migrazione per una epidemia devastante in altre aree geografiche.
Ma questa è la scomparsa non è l'unico mistero a rimanere senza risposta: quasi tutte le statue in terracotta sono rotte o gravemente danneggiate.
È danno intenzionale, o il semplice effetto del naturale processo di erosione?
Dove sono finiti i torsi di gran parte delle statue?
I ricercatori ipotizzano che le parti mancanti potrebbero essere nel terreno appena fuori gli antichi centri urbani.
I ricercatori sono pronti a chiarire questo e altri problemi ancora irrisolti, confidando che una nuova campagna di scavi potrebbe fornire nuove fonti per chiarire l'enigma dei Nok.

Sauri delle Dolomiti

Fino a trenta anni fa, nessun paleontologo avrebbe mai pensato di trovare tracce di dinosauri nell'area dolomitica.
L´apparente mancanza di dinosauri sul territorio fu spiegata con la ricostruzione paleoambientale che collocava l´area dell'odierna Italia in un vasto mare (la Tetide), in parte profondo, in cui crescevano barriere coralline e si depositarono marne e limi - però nessuna estesa terraferma che poteva ospitare dinosauri.

Ma nel 1941 il paleontologo tedesco Friedrich von Huene descrisse una piccola impronta tridattila (lunga 6-7cm) ritrovata in sedimenti di delta fluviale sui Monti Pisani presso Agnano (Toscana), datata a 230 milioni di anni.
Huene chiamo l´icnospecie appropriatamente Coelurosaurichnus toscanus e la attribuì a un ceratosauride di piccole dimensioni. L´icnofossile fu esposto nel Museo di Geologia e Paleontologia di Firenze e si dovette aspettare fino al 1985 per ampliare questa prima collezione di dinosauri italiani.

Ma negli ultimi decenni le rocce delle Dolomiti hanno restituito una incredibile varietà di resti di vertebrati - infatti sono state scoperte le più antiche orme di anfibi delle Alpi, le più lunghe camminate di dinosauri di tutta Europa ed i più antichi rettili volanti del mondo.

Nel 1985 il naturalista amatoriale Vittorino Cazzetta scopre su un masso di frana ai piedi del Monte Pelmetto - nelle Dolomiti orientali (Belluno) - 100 orme che formano 5 diverse piste di dinosauri. Tre piste presentano orme lunghe 6-7 centimetri attribuite a dei piccoli teropodi, una quarta pista di orme lunghe da 10-12 centimetri è stata attribuita a un ornitischio bipede e l´ultima pista, con le maggiori dimensioni fino a 15 centimetri, potrebbe essere stata lasciata da un pro sauropode di piccole dimensioni.
Una ricerca condotta nel detrito di frana e ghiaione del Monte Pelmetto ha restituito altri blocchi con delle impronte di dinosauri e tecodonti.
Anche uno dei siti di maggiori dimensioni nelle Dolomiti fu scoperto per caso in un pomeriggio di primavera del 1988 in un´area di frana caduta nel medioevo - paesaggio cosi impervio è strano che è citato perfino da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia.
Oggi i Lavini di Marco nei pressi di Rovereto comprendono diverse centinaia di orme visibile su un strato scoperto dalla frana, le più belle impronte possono essere trovate nel "Colatoio Chemini", dedicato al scopritore del sito Luciano Chemini.

Nel 1992 in un altro singolo blocco di frana ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo furono scoperte due grandi orme tridattile lunghe 30 centimetri e nel 1994 l´icnologo Giuseppe Leonardi segnala la presenza di orme tridattile presso Cima Puez (Bolzano).
Tra il 1994 e il 2000 altri naturalisti amatoriali continuano a scoprire impronte nei limiti del "Parco delle Dolomiti Friuliane", situato tra i paesi di Andreis, Claut e Cimolais (Pordenone).
Questi icnofossili comprendono tracce di teropodi, anche di dimensioni molto grandi, inoltre prosauropodi e tecodonti.
Ricerce piú o meno sistematico hanno rilevato siti negli Alti Lessini veronesi (Valle di Revolto), sul Monte Pasubio, Lessini settentrionali, Beco di Filadonna e Valle del Sarca.
Quasi tutte le piste e impronte di dinosauri conosciuti nelle Dolomiti sono state rinvenute nella formazione della Dolomia Principale (Triassico superiore) o nella formazione dei Calcari Grigi (Giurassico inferiore).
Entrambe le formazioni sono rocce carbonati massicce di colorazione grigia.
Esse si sono depositate in una vasta zona intra- e supratidale

Una eccezione particolare è una grande impronta tridattile (lunga 35 centimetri) notata per caso nel 1994 da un geologo su un grande blocco usato nella costruzione dei moli di Ravenna.
Ricerche successive sono riuscita a determinar la provenienza del blocco a una cava situata ai piedi dell´Altopiano del Cansiglio (Pordenone), dove vengono estratte rocce carbonatiche del Cretacico.
Le moderne ricostruzioni dell´antica regione delle Dolomiti
(e l´Italia) basate sulle impronte di animali vedono un ampio arcipelago d'isole anche di grandi dimensioni, con sufficiente biomassa per garantire la sopravivenza di popolazioni di dinosauri erbivori con tanto di predatori, collegati tra di loro da vaste zone tidali, che rendevano possibile una migrazione dei dinosauri tra le terre emerse e la conservazione delle loro piste nei fanghi e limi carbonatici depositati