giovedì 6 giugno 2013

Teoria degli Antichi Umani: i superstiti di Atlantide che ricostruirono il mondo postdiluviano?



Secondo uno studio recente, tra i 12 mila e i 13 mila anni fa, un gigantesco meteorite colpì la Terra causando, con l'impatto, lo spostamento dell'asse terrestre di ben 2000 chilometri, che nulla ha a che fare con la deriva dei continenti.
 Ne conseguì un vero e proprio cataclisma che sconvolse l'intero pianeta: a violenti terremoti e a terribili eruzioni vulcaniche, fecero seguito piogge torrenziali e l'innalzamento del livello dei mari. L'evento è stato documentato scientificamente. Una prova per tutte: in Antartide sono state scoperte intere foreste fossili di betulle, faggi e altri alberi che vivono in zone temperate, cosa che confermerebbe lo spostamento dell'asse di rotazione terrestre.
 Questa catastrofe terrestre è ancora oggi ricordata da molte popolazioni, da ben 70 leggende tramandate di generazione in generazione. In esse viene anche ricordata la scomparsa, a causa di questo cataclisma, di un continente chiamato Atlantide, abitato da una civiltà evoluta. 
 Di Atlantide, situata tra l'Africa e le Americhe, parla con dovizia di particolari anche Platone nei dialoghi Crizia e Timeo. Alcuni ricercatori sostengono che i pochi superstiti di quella civiltà perduta siano riusciti a raggiungere con altri messi le rimanenti terre emerse e a tentare di ricreare dal nulla nuovi insediamenti, valorizzando le esperienze vissute. 
 La simultaneità dell'avvento dell'agricoltura sul pianeta proverebbe questa teoria. Inoltre, testimoniano a favore di queste univoche realtà tramandate da millenni, anche alcuni reperti, strutture e manufatti in cui si possono trovare somiglianze di stili, di metodi lavorativi, di monumenti e tradizioni, in molti siti disseminati su tutto il globo.
 Alcune leggende, ricordano, anche sotto nomi diversi, la figura di Noè con la sua arca, come salvatore dell'umanità dal castigo divino.  

Molti punti non chiari esistono ancora nella storia dell'umanità, interrogativi che non hanno avuto ancora una risposta, manufatti che risalgono alla preistoria o monumenti che non ci hanno ancora svelato le loro tecniche di costruzione. Chi insegnò ai peruviani a costruire mura gigantesche come quelle di Cuzco, Machu Picchu o Sacsayhuamán, se non disponevano di attrezzi di metallo? Con quali mezzi trasportarono, innalzarono e fecero combaciare alla perfezione questi massi mastodontici?

A Tiahuanaco, in Bolivia, nei pressi del Lago Titicaca, a 3850 metri di altezza, si trovano i resti di un'antica civiltà. La porta del Sole della città, scolpita da un unico grande blocco di roccia pesante 18 tonnellate, è uno dei monumenti più importanti delle civiltà precolombiane.

Non meno importante della porta del Sole è il Grande Idolo, un blocco di arenaria rossa alto 8 metri, che come altri colossi ricoperti di simboli, rivela una buona conoscenza astronomica della sfericità della Terra. A Tiahuanaco è stato trovato un calendario con le posizioni della Luna di ogni giorno, tenendo conto della posizione della Terra Come hanno potuto gli abitanti di questa città, raggiungere una così ampia conoscenza scientifica? 
 Ovunque si volga lo sguardo sui grandi monumenti del passato, non troviamo una risposta adeguata su come fu possibile realizzare opere che hanno sfidato il tempo per millenni.

In tutto il mondo, dal Messico alla Colombia, dal Perù al Cile, dall'Africa al Nord Europa, si ergono opere maestose. Non sappiamo spiegare come siano stata fatte, sia per la loro mole, sia per la complessità delle strutture. Molte di quelle colossali costruzioni, distanti fra loro anche migliaia di chilometri, hanno tra loro una certa attinenza strutturale, ideologica e scientifica.
 Lo scrittore Peter Kolosimo, fece una sorprendente comparazione tra la Piramide del Sole messicana e la Grande Piramide di Cheope egizia: la base del monumento messicano ha la stesse misure di quelle di Cheope, 225 metri per 220 e l'altezza di 73 metri, corrisponde alla metà di quest'ultima. Tutto ciò, alimenta l'idea di strette relazioni tra la civiltà americana e quella egizia, concedendo la possibilità di ipotizzare che entrambi le culture discendano da una cultura superiore precedente. 

 Presso i romani e i greci, che erano considerevolmente più vicini agli antichi egizi di quanto siamo noi, era normale credere che i faraoni e i loro sacerdoti fossero custodi di precisi documenti riguardanti eventi profondamente significativi avvenuti molto, molto tempo fa. In realtà, questi documenti furono effettivamente visti e studiati, nella sacra città di Eliopoli, da insigni visitatori quali Erodoto (nel V secolo a.C.), dal legislatore greco Solone (640-560 a.C.) e dal suo seguace Pitagora (VI secolo a.C.). 
Dai loro resoconti ebbe origine l'opinione che i greci si fecero dell'Egitto, come riferisce Platone: 

 “Noi greci, in realtà, siamo bambini in confronto a questo popolo che ha tradizioni dieci volte più antiche delle nostre. E mentre nulla delle preziose rimembranze del passato sopravviverebbe a lungo nel nostro paese, l'Egitto ha registrato e conservato per sempre la saggezza dei tempi antichi”.

 Nei documenti egizi si parla dello Zep Tepi, un mitico “Primo Tempo” degli dèi, un'epoca remota a cui gli antichi egizi associavano le origini della propria civiltà. Le iscrizioni sul Tempio di Edfu contengono una serie di straordinari riferimenti al “Primo Tempo”, soprattutto ai cosiddetti “Libri della Fondazione”, nei quali si parla dei misteriosi “Seguaci di Horus”, descritti come esseri a volte dall'aspetto divino, a volte umano, identificati come coloro che detengono e preservano la conoscenza nel corso delle varie epoche, come una confraternita elitaria dedita alla trasmissione della sapienza e alla ricerca della resurrezione e della rinascita. Secondo i testi di Edfu, gli dèi provenivano originariamente da un'isola, la “Terra Nativa degli Esseri primordiali”. Nei testi, si fa chiaro riferimento riguardo al fatto che il cataclisma che distrusse quest'isola fu un'inondazione. Ci dicono che fu di breve durata e che la maggior parte dei suoi “divini abitanti” fu sommersa. Arrivando in Egitto, i pochi che sopravvissero divennero poi 
 “gli Dèi Costruttori che edificarono nel tempo primordiale, che gettarono i semi per gli dèi e per gli uomini, i Grandi Vecchi che esistevano fin dal principio, che illuminarono questa terra quando vi giunsero insieme”. 
 Si ritiene che questi esseri straordinari non fossero immortali. Al contrario, compiuta la loro opera morirono e i loro figli ne presero il posto, e riti funebri si svolsero in loro onore. In questo modo, la tradizione dello Zep Tepi poteva rinnovarsi costantemente, trasmettendo alle generazioni future la sapienza proveniente da un'epoca precedente della terra.

Tra gli studiosi moderni vige la convinzione che i miti non abbiano valore di prove storiche, convinzione particolarmente diffusa tra gli egittologi. Eppure, in archeologia ci sono molti casi ben noti in cui i miti accantonati come non-storici si rivelarono in seguito estremamente precisi. 

 Un esempio riguarda la celebre città di Troia dell'Iliade di Omero. Fino a non molto tempo fa la maggior parte degli studiosi era convinta che Troia fosse una “città mitica”, ossia interamente inventata dalla fertile immaginazione di Omero.

 Nel 1871, invece, l'avventuriero ed esploratore tedesco Heinrich Schliemann dimostrò che l'opinione ortodossa era sbagliata quando, seguendo gli indizi geografici contenuti nell'Iliade, scoprì Troia nella Turchia occidentale vicino ai Darndanelli. Schliemann e altri due ricercatori, lo studioso greco Kalokairinos e l'archeologo britannico Sir Arthur Evans, continuarono le proprie indagini esaminando a fondo miti concernenti la grande civiltà minoica che si diceva fosse esistita sull'isola di Creta. 
 Anche questi miti furono accantonati come non storici dall'opinione ortodossa, ma furono rivalutati quando Schliemann e la sua squadra portarono alla luce una cultura estremamente progredita ora identificata con certezza come quella “minoica”. 

 Analogamente, nel subcontinente indiano, la grande mole di antiche scritture sanscrite conosciute come Rig Veda contiene ripetuti riferimenti a una civiltà elevata che viveva in città fortificate e aveva preceduto le invasioni ariane più di 4 mila anni fa. 
 Anche in questo caso le fonti furono universalmente bollate come “mitiche”, finché, nel XX secolo, le rovine di grandi città della Valle dell'Indo come Harappa e Moenjodaro incominciarono a essere dissotterrate e si dimostrò che risalivano al 2500 a.C.

 In breve, i documenti mostrano che intere città e civiltà che un tempo erano classificate come mitiche (e di conseguenza prive di interesse storico) spesso hanno l'abitudine di materializzarsi improvvisamente dalle nebbie dell'oscurità per diventare realtà storiche.  

 Fonte : ilnavigatorecurioso.

Bali: Il tempio di Tanah Lot



Il tempio di Tanah Lot, a Bali, è uno di quegli spettacoli che durante un viaggio entrano dentro e rimangono lì, impressi come in fotografia: perchè unico nel suo genere, molto scenografico. Per fare un paragone azzardato, potrebbe essere il corrispettivo orientale di Mont St Michel, in Francia. Tanah Lot è un tempio indù, particolare che già di per sè è un’eccezione visto che l’Indonesia è un Paese a prevalenza musulmana: ma a Bali, lungo le coste dell’isola, ci sono molti templi indù, per lo più risalenti al XV e XVI secolo.

Una gita al tempio di Tanah Lot è un classico per tutti i turisti che vanno a Bali: se siete appassionati di fotografia, la cosa migliore è cercare di organizzare il vostro arrivo al tempio durante il tramonto, in modo da riprendere la costruzione con i colori del sole che cala sullo sfondo e, ovviamente, il mare.

Il tempio in realtà è famoso più per la location nella quale si trova che per la sua architettura: la costruzione, infatti, non è nulla di particolare. Ma il fatto che si trovi su uno scoglio staccato dalla riva e che per arrivarci occorra tener conto degli orari delle maree, fanno del tempio di Tanah Lot una particolarità.

Tanto che, per visitarlo, tocca rassegnarsi al fatto che probabilmente non sarete soli, al contrario scoprirete che molti altri turisti hanno avuto la vostra stessa brillante idea: con la conseguenza che troverete anche molti venditori di souvenir che cercheranno di convincervi a fare acquisti. Poco male, perché lo spettacolo merita.

Tanah Lot significa ‘Terra del mare’ e in effetti mai nome fu più azzeccato: si trova vicino alla città di Tabanan, a 20 km da Denpasar, e la sua costruzione pare risalga al XV secolo da parte del monaco Nirartha. Secondo la leggenda, il monaco quando vide lo scoglio ne rimase incantato e ordinò ai pescatori di erigere un tempio in onore della divinità balinese del mare.

Il tempio divenne molto importante in passato e conserva tuttora un ruolo primario: fa parte dei Sette Templi del Mare che sorgono sulla costa balinese guardandosi l’un l’altro in una metaforica catena. Sempre secondo la leggenda, alla base del tempio di Tanah Lot ci sono dei serpenti marini che fanno la guardia.

Il mondo riflesso

La riflessione è un preciso fenomeno fisico che si verifica quando un'onda luminosa, meccanica o elettromagnetica colpisce una superficie che separa elementi con proprietà diverse. Tradotto in natura e nel caso della luce, il tutto si trasforma in laghi e pozzanghere che diventano specchi, vetri di futuristici palazzi che riflettono antiche costruzioni e finestre che diventano quadri impressionisti... E tanto altro ancora...  

 Il pavimento in questo caso si trasforma in un vero e proprio specchio e rimanda l'immagine di una ballerina che si esibisce al Chaillot Theatre di Parigi. Se il raggio di luce incontra una superficie a specchio, la riflessione è massima. Se invece la superficie è soltanto trasparente, parte del raggio l'attraversa e si crea la cosiddetta rifrazione.

Basta una scheggia di vetro per cogliere un riflesso e un'immagine lontana. Composto da una miscela fusa di ossidi, fatta raffreddare rapidamente fino allo stato solido, il vetro è noto per il suo basso coefficiente di assorbimento della luce. Pur essendo trasparente, insomma, ha un elevato potere riflettente, che varia in base agli strati di vetro che vengono sovrapposti su una lastra. L'uso del vetro è molto antico e già gli Egizi lo utilizzavano a partire dal 2500 a.C. per monili, gioielli e amuleti.

Ecco come appare sull'occhiale a specchio di uno spettatore uno snowboarder che si esibisce in un salto acrobatico nel corso delle finali del campionato del 2004, svoltesi a Bardonecchia. Lo specchio inverte il davanti con il dietro dell'immagine o, meglio, il dentro con il fuori. Per capire questo concetto, immaginate di tenere sul viso una maschera di Carnevale in gomma, di allontanarla dal viso e rivoltarla su se stessa, schiacciando in dentro naso e mento e tirando in fuori le orecchie. La maschera apparirà rivolta verso di noi, identica a prima, ma con tutto invertito. Insomma, il neo che prima era sulla guancia destra è finito sulla sinistra, il brufolo che era sulla sinistra della fronte, ora è sulla destra. Nello stesso modo lo specchio "modifica" le immagini.

Esiste lo specchio perfetto? Scientificamente no, perché non esiste una superficie che sia in grado di riflettere tutta la luce che la colpisce. Nel 1998, John D. Joannopoulos, un ricercatore del Massachussetts Institute of Technology di Boston (USA), è riuscito a produrre lo specchio perfetto usando lamine alternate di polistirene e tellurio. Oggi insieme ha fondato una società per le telecomunicazioni: lo specchio da lui inventato, infatti, è servito a progettare un rivoluzionario sistema di trasmissione ottica per telecomunicazioni. I messaggi, trasformati in segnali luminosi, sono trasmessi molto meglio e più velocemente che attraverso le fibre ottiche. Nella foto, un'antica chiesa si riflette su un moderno grattacielo a Boston.

L'effetto specchio a volte è talmente reale da ingannare l'occhio umano. Quanti di voi si sono accorti infatti che questa foto… è stata capovolta (vedila nel giusto verso, nel link sottostante)? Basterebbe solo qualche increspatura dell'acqua per far scomparire l'effetto. Quando una montagna si riflette nell'acqua si verifica il fenomeno della riflessione totale. I raggi solari visti da una certa angolazione colpiscono la superficie di striscio e rimbalzano senza penetrare nell'acqua: per questo motivo l'acqua sembra un vero specchio. 

In quest'immagine l'acqua in cui cammina un airone in cerca di cibo si colora dell'arancione del tramonto in corso. L'acqua pura è quasi incolore, ma tende al blu perché assorbe la luce rossa. Il colore di mari e laghi è comunque dovuto anche, come in questo caso, al colore del cielo.

In questa immagine, sembrano raddoppiati i denti di un cucciolo di coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus), uno dei più diffusi e conosciuti rettili africani, che può arrivare a 6 (o addirittura 10) metri di lunghezza. I denti gli servono di sera, durante le sue scorribande notturne in cerca di cibo, per afferrare le prede. Queste, dopo essere trascinate in acqua, vengono ingoiate a pezzi, senza però essere masticate.

Ecco come una finestra riflette il Teton Range, segmento settentrionale delle Montagne Roccose americane, facendolo sembrare parte di uno splendido quadro impressionista. La catena del Teton, formata da una serie spettacolare di guglie granitiche si trova nel Wyoming (USA) e la punta massima, il Grand Teton, 

è alta 4196 metri.

 I migliori specchi sono formati da sottili strati d'argento deposti su lastre di vetro, ma talvolta, per ridurre il costo, al posto dell'argento si usa stagno ben levigato. Il vetro dello specchio è composto da un miscuglio di sabbia silicea, calcare, solfato sodico e carbone. Ma da dove deriva l'espressione "specchietto per le allodole" per indicare un espediente usato per attirare e ingannare gli ingenui? Nelle battute di caccia, i cacciatori, nascosti nella boscaglia, agitano pezzetti di legno in cui sono incastrati frammenti di specchio per attirare questi uccelli. Da qui l'espressione.

 Riflessa su una pozzanghera è l'intera opera dell'artista tedesco Sergej Dott, installata su un muro della città di Berlino. Intitolata "Wild Nature" (in italiano, "Natura selvaggia"), questa scultura di luce è una delle tante opere pubbliche di questo artista che si possono osservare semplicemente passeggiando per Berlino e alzando il naso da terra…



Fonte : Focus.it