domenica 19 maggio 2013

l'elettromotore perpetuo di Zamboni



 Giuseppe Zamboni (1776-1846) è stato un abate e fisico italiano. 

Nel 1812 inventò la pila a secco. Nonostante questo il suo nome oggi è praticamente sconosciuto presso il pubblico. Dai suoi carteggi con altri ricercatori risulta che aveva fatto i primi esperimenti con la pila di Volta (inventata da Alessandro Volta nel 1799) già nell’anno 1800. 
Uno dei suoi principali intenti era rendere più efficiente, durevole e maneggevole la pila appena inventata dal suo conterraneo. Tale fonte di energia aveva infatti diversi difetti, tra cui il fatto che lo zinco si consumava per effetto dell’acido solforico anche quando la pila non era in uso; inoltre vi era il problema della “polarizzazione”: dopo un certo periodo di funzionamento, quantificabile in ore o minuti, la pila cessava di funzionare; ciò rendeva necessario mescolare l’elettrolita e ripulire accuratamente gli elettrodi. 

 Attorno al 1812 Zamboni mandò alcune lettere ad Alessandro Volta, da cui ricevette tra l’altro alcuni suggerimenti sui materiali da utilizzare. Zamboni fece diversi esperimenti, realizzando pile composte da 2000 e più dischetti fatti una carta speciale, chiamata “carta d’argento”, carta su un lato della quale era stesa una sottile lamina di stagno o di una lega di rame e zinco detta tombacco. Tali dischetti venivano spalmati sull’altro lato con una pasta di carbone di legno dolce polverizzato, impastato con acqua o lavorato con acido nitrico. 
Come consigliatogli da Volta, Zamboni sperimentò successivamente con successo l’ossido di manganese sciolto in acqua insieme a colla d’amido. I dischi venivano infilati in un tubo di vetro verniciato dentro e fuori con un prodotto isolante. La poca umidità dell’aria che riusciva a penetrare il sistema era sufficiente a scatenare la forza elettromotrice.
 Le tensioni raggiungibili con questo sistema potevano andare dal centinaio di volt a qualche migliaio, anche se con un amperaggio bassissimo, sull’ordine dei microampere.

Tali pile, risolvendo i problemi della corrosione degli elettrodi avevano una durata lunghissima, anche se le loro applicazioni sono limitate a causa delle correnti in gioco che sono estremamente basse. 
 Nonostante questo, le pile di Zamboni hanno trovato alcune applicazioni, tra le quali la realizzazione di dispositivi per la misurazione della corrente; Zamboni stesso, considerata la sensibilità delle sue pile all’umidità pensò fosse possibile il loro impiego per farne degli igrometri. 
 All’inizio del 1900 pile simili sono state impiegate nell'ambito delle ricerche sulla radioattività e la radiazione cosmica. 

Nella Seconda Guerra Mondiale e nella guerra del Vietnam sono state utilizzate come fonte di energia per visori a raggi infrarossi. Ma l’impiego che ha reso famose queste pile sono stati certamente i celebri “orologi perpetui di Zamboni”, esposti in vari musei in Italia e nel mondo. Non servono a molto, ma funzionano. 
A Modena ne è esposto un esemplare, realizzato su progetto di Zamboni nel 1817 circa da Carlo Streizig e avviato nel 1839. Funzionò quasi ininterrottamente per circa un secolo.
 Il pendolo, costituito da un filo di platino leggerissimo e da due anelli concentrici in metallo, compieva inizialmente 95 oscillazioni al minuto. 
Nel 1932 lo stesso pendolo oscillava ancora, anche se 46 volte al minuto. Dopo alcuni mesi di riposo la pila riuscì a riprendersi, riportando le oscillazioni a 60 al minuto.

Ferdinand Cheval - il palazzo ideale



 Joseph Ferdinand Cheval (1836 – 1924), conosciuto più semplicemente come Ferdinand Cheval o “facteur Cheval” (“postino Cheval”) nacque in Francia a Châteauneuf-de-Galaure. Figlio di contadini iniziò lavorando come panettiere, finché nel 1867 fu assunto come postino nella vicina cittadina di Hauterives.
 Nel 1879 trovò un sasso di forma singolare in un fiume e gli venne l’ispirazione. Iniziò a raccogliere tonnellate di sassi nel tempo libero, con i quali prese a lavorare sul suo progetto di “Palais idéal” ovvero “palazzo ideale”. Progetto per modo di dire, perché Cheval ha sempre lavorato a braccio, improvvisando. 
Da completo autodidatta, ispirandosi alle cartoline illustrate che consegnava, plasmò imitazioni di monumenti e architetture di ogni parte del mondo, inglobandole in un’unica struttura. Un lavoro molto simile a quanto fece Gaudì in Spagna con opere come la “Sagrada Familia”, che però Cheval, che non si era mai mosso dal suo paese, non conosceva. 

 Il suo “palazzo ideale” in realtà non contiene stanze, ma solo un labirinto di grotte e cripte, che servono esclusivamente a dare corpo e a sostenere la struttura. L’insieme è lungo 26 metri, largo 14 e alto più di dieci, e Cheval lo costruì interamente da solo , lavorandoci anche di notte alla luce di una lampada a petrolio e dedicandoci, come dice un’iscrizione da lui stesso lasciata, 33 anni della sua vita, qualcosa come 93000 ore di lavoro. Fra i materiali vanno annoverati 1000 metri cubi di mattoni, 3500 sacchi di calce, una quantità imprecisata di sabbia e circa 100000 pietre: già le nude cifre fanno impressione.
 A vedere la struttura, sembra impossibile che l’abbia realizzata un uomo solo, a forza di braccia, carriola e cazzuola, senza studi d’arte né di architettura alle spalle. 
 "Nulla e' impossibile al volenteroso” era il motto di questo strano personaggio. 
 Il “palazzo ideale” è un guazzabuglio delle architetture più varie, dai templi indù alle pagode cinesi, dal tempio di Angkor-Vat all’antico Egitto, il tutto fitto fitto di guglie, colonne, statue, archi e decorazioni. Inoltre si possono leggere un po’ ovunque motti, scritte e proverbi. 
 A guardia del suo palazzo vi sono tre colossi alti dieci metri: Vercingetorige (difensore della Gallia), Cesare (conquistatore della Gallia) e Archimede, l’inventore siracusano. 
In una nicchia Cheval ha murato la carriola usata per realizzare quest’opera colossale.

Il nostro postino avrebbe voluto essere seppellito in una cripta del suo palazzo, ma le autorità non acconsentirono. Per questo trascorse altri otto anni per costruirsi un mausoleo nel cimitero di Hauterives, mausoleo cui diede il nome di “Tombeau du silence et du repos sans fin” (“Tomba del silenzio e del riposo senza fine”). 

Finché era in vita fu perlopiù incompreso e preso per pazzo, salvo ricevere poco prima della sua morte il plauso da parte di personaggi del calibro di Pablo Picasso e di surrealisti come André Breton e Max Ernst.

Oggi la Francia ha riconosciuto la sua abilità e l’unicità della sua costruzione, dandole ufficialmente lo status di “unico esempio di architettura naïf” e dopo un restauro avvenuto negli anni Ottanta il “Palais idéal” è divenuto una meta turistica e un luogo dove vengono eseguiti concerti musicali e performance artistiche.
 André Breton ha scritto perfino un poema in omaggio a Cheval e al suo “palazzo ideale”, mentre Michael Fugain ne ha tratto una canzone. In anni recenti (1997) il gruppo “L'Affaire Louis Trio” ha scritto la canzone “Le Palais idéal”.
 In Francia esiste perfino il modo di dire "fare come il postino Cheval", ovvero "fare una fatica inutile, arrabattarsi freneticamente per niente". 

 Se tutti noi “perdessimo tempo” come ha fatto Cheval, il mondo sarebbe un paese da favola.

Il circo della vita



Che baraccone da circo, la vita: saltimbanchi, pagliacci, giocolieri, equilibristi, domatori, contorsionisti ed illusionisti... e poi ci sono i trapezisti, i migliori, perché sono quelli che osano, quelli che sfidano l'impossibile, quelli che vedono il mondo dall'alto e che ammutoliscono di meraviglia chi dal basso li sta a guardare.
 
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/destino/frase-134728>

La famosa ‘Testa di cavallo’ nella Nebulosa di Orione.



Il telescopio europeo all’infrarosso Herschel Space Telescope e l’Hubble Space Observatory, della NASA, hanno catturato le immagini più impressionanti raccolti finora di uno dei fenomeni più sorprendenti nel cosmo,
la famosa ‘Testa di cavallo’ nella Nebulosa di Orione.

La nebulosa, una grande massa di idrogeno mescolato con polvere di stelle che assume la forma di una testa di cavallo, fa parte del ‘Orion Molecular Cloud’, situato a circa 1.300 anni luce di distanza dalla Terra, nella costellazione di Orione,
una regione di spazio sotto formazione stellare e a lungo studiato dagli scienziati.
Le immagini sono state catturate dalla osservatorio spaziale Hubble della NASA e dall’Herschel Space Observatory Infrared dell’Agenzia Spaziale Europea, che in un comune hanno permesso di vedere il bagliore che proviene direttamente dai gas e dalla polvere stellare, che sotto pressione gravitazionale, stanno per formare una nuova generazione di stelle.

Secondo Matt Griffin, ricercatore presso l’Università di Cardiff, ha detto alla BBC News che ” nell’immagine scattata da Herschel si può vedere che la nebulosa a ‘Testa di cavallo’ si trova all’interno di un complesso molecolare ancora più grande, in cui vi è una grande quantità di materiale e una varietà di condizioni favorevole per la formazione di stelle.
Gli scienziati degli enti spaziali NASA e ESA sono particolarmente interessati a comprendere i meccanismi che portano alla produzione delle grandi stelle.
Si tratta di oggetti molto più massicci del nostro Sole, formati in tempi relativamente brevi, hanno una vita breve e influenzano notevolmente la formazione di altre stelle“.

DISCORSO DI GIORDANO BRUNO A SAGREDO (febbraio 1600)

Il simbolo dell'infinito
La svolta della modernità filosofica appare, attraverso il pensiero di Nicola Cusano (De docta ignorantia, 1440), come la ricerca di una conciliazione tra finito e infinito, tra uomo e Dio: la teoria della coincidentia oppositorum consiste infatti nella trasformazione dell'infinito in una dimensione assoluta che fa da sfondo all'indeterminata possibilità dell'uomo di accrescere la sua conoscenza.
L'uomo non raggiungerà mai la comprensione dell'assoluto, ma la sua dignità (e in questo valore si rifletterà tutta la cultura rinascimentale) consiste proprio nel potenzialmente infinito progredire dello spirito.
Sulla stessa lunghezza d'onda si muove Giordano Bruno; ma la novità del filosofo italiano consiste nel radicalizzare in senso naturalistico-panteista gli sviluppi metafisici e matematici del concetto di infinito.
Nei suoi celebri dialoghi cosmologici, Bruno elabora una concezione dell'infinito come Universo che può essere considerata - in parallelo alla nascita della teoria copernicana - "l'atto di nascita" dell'astronomia moderna.

Nel febbraio del 1600, il giovane amico Sagredo gli fece visita nella cella della sua prigionia.
“Un giorno non lontano una nuova era giungerà finalmente sulla terra. La morte non esiste.
La miseria, il dolore e le sue tante tragedie, sono il frutto della paura e dell’ignoranza di ciò che è la vera realtà.”
“Ma quanto tempo ancora sarà necessario?”
“Il tempo dipende da noi, Sagredo.
Il tempo è l’intervallo tra il concepimento di un’idea e la sua manifestazione. L’umanità ha concepito il germe dell’utopia e la gestazione procede verso il suo concepimento inevitabile: il secolo passato è una tappa importante, che precede la nascita.
Gli Esseri divini vegliano sulla gestazione della terra e alcuni nascono qui per aiutare gli umani a comprendere che la trasformazione dipende dal loro risveglio.”
“Anche voi Maestro siete sceso qui per questo scopo?”
“ Anch’io Sagredo, ma non sono solo. C’è un folto gruppo di Esseri, che sono scesi più volte nel corso della storia e si riconoscono nel grande Ermete, Socrate, Pitagora, Platone, Empedocle… In questo secolo Leonardo, Michelangelo…
“Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà inattesa, improvvisa proprio quando il potere si illuderà di aver vinto.”
Rumori di fondo indicano che la visita volge al termine
“Maestro quando potrò ritrovarvi?”
“Guarda dentro di te, Sagredo ascolta la tua voce interiore e ricorda che l’unico vero maestro è l’Essere che sussurra al tuo interno. Ascoltala: è la verità che è dentro di te.
Sei divino, non lo dimenticare mai!”
La porta si apre e compare il guardiano… “Non ci stiamo separando Sagredo, la separazione non esiste, siamo tutti Uno, in eterno contatto con l’Anima Unica…”

Mandala

Mandala (sanscrito maṇḍala (मण्डल), letteralmente: «essenza» (maṇḍa) + «possedere» o «contenere» (la); tradotto anche come «cerchio-circonferenza» o «ciclo», entrambi i significati derivanti dal termine tibetano dkyil khor) è un termine simbolico associato alla cultura veda ed in particolar modo alla raccolta di inni o libri chiamata Rig Veda.
La parola è utilizzata, anche, per indicare un diagramma circolare costituito, di base, dall'associazione di diverse figure geometriche, le più usate delle quali sono il punto, il triangolo, il cerchio ed il quadrato.
Il disegno riveste un significato spirituale e rituale sia nel Buddhismo che nell'Hinduismo.

Il Mandala rappresenta, secondo i buddhisti, il processo mediante il quale il cosmo si è formato dal suo centro; attraverso un articolato simbolismo consente una sorta di viaggio iniziatico che permette di crescere interiormente.

I buddhisti riconoscono, però, che i veri Mandala possono essere solamente mentali, le immagini fisiche servono per costruire il vero Mandala che si forma nella mente della gente e vengono consacrate solo per il periodo durante il quale è utilizzato per il servizio religioso.
Al termine del lavoro, dopo un certo periodo di tempo, il mandala viene semplicemente "distrutto", spazzando via la sabbia di cui è composto.
Questo gesto vuole ricordare la caducità delle cose e la rinascita, essendo la forza distruttrice, anche una forza che dà la vita.
Il termine Mandala (lett. cerchio) si ritrova in varie culture, tra cui quella buddhista, mentre il corrispettivo induista è lo Yantra (lett. "strumento"). Lo Yantra è simile al Mandala, tuttavia le due tecniche si differenziano per la complessità: lo Yantra è molto più schematico, limitandosi ad usare figure geometriche e lettere in sanscrito, mentre nel Mandala sono rappresentati anche - in maniera talvolta particolareggiata - luoghi, figure ed oggetti.

Non vi è al mondo un altro disegno simbolico così universale come il mandala; compare in tempi diversi e in ogni cultura visto che il più antico mandala sin qui conosciuto è una "ruota solare" paleolitica scoperta nell’Africa del sud.
Ma mirabili esempi di mandala cristiani si trovano già nel primo Medioevo, mostrando perlopiù Cristo nel centro ed i quattro evangelisti o i loro simboli ai quattro punti cardinali. Inoltre possiamo osservare figure mandaliche nei rosoni delle nostre chiese, nei labirinti, nelle forme di certi templi, come pure nei siti etruschi e romani.
Anche la natura attorno a noi spesso si presenta sotto forme mandaliche: nella frutta, nelle pietre, nei fiori, tra gli alberi, su nel cielo.

Oltre ad essere disegnati i mandala vengono anche "vissuti": in India esiste la danza del mandala, tra gli indiani Navaho la persona da curare viene collocata al centro del cerchio disegnato sul terreno mentre in occidente l’idea del centro e del cerchio protettivo si ritrova in numerose danze popolari oltre che nel girotondo dei bambini.
I Mandala hanno una tradizione antichissima e, nello scorso secolo, anche un grande studioso della psicologia occidentale ne ha fatto uno strumento di studio delle personalità dell'uomo.
Si parla dello psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung (26 luglio 1875 Kesswil - 6 giugno 1961 Küsnacht), che sull'argomento ha scritto quattro saggi dopo averli studiati per oltre venti anni. Secondo Jung, durante i periodi di tensione psichica, figure mandaliche possono apparire spontaneamente nei sogni per portare o indicare la possibilità di un ordine interiore.
Il simbolo del mandala, quindi, non è solo solco intorno al centro, un recinto sacro della personalità più intima, un cerchio protettivo che evita la "dispersione" e tiene lontane le preoccupazioni provocate dall’esterno.
Ma c’è di più: oltre ad operare al fine di restaurare un ordinamento precedentemente in vigore, un mandala persegue anche la finalità creativa di dare espressione e forma a qualche cosa che tuttora non esiste, a qualcosa di nuovo e di unico.
Come afferma Marie-Louise Von Franz (allieva di Jung), il secondo aspetto è ancora più importante del primo ma non lo contraddice poiché, nella maggior parte dei casi, ciò che vale a restaurare il vecchio ordine, comporta simultaneamente qualche nuovo elemento creativo.

Documentario



Kalachakra, la ruota del tempo (Wheel of Time) è un film del 2003 diretto dal regista tedesco Werner Herzog.
È un documentario su un importante rito di iniziazione buddhista chiamato Kalachakra, che significa letteralmente "la ruota del tempo", e consiste in un insieme di preghiere, insegnamenti e riti finalizzati ad attivare il seme dell'illuminazione che è presente allo stato dormiente in tutti gli esseri viventi.
Il rito principale consiste nella creazione di un mandala di sabbia colorata, una composizione geometrica circolare rappresentante la ruota del tempo, nella quale il Buddha compare in oltre 700 manifestazioni della sua natura.
I fedeli ruotano attorno ad esso, cercando di trarne ispirazione per raggiungere il loro equilibrio interiore.
Alla fine del rito il mandala viene distrutto per dimostrare la provvisorietà di tutti le cose terrestri.

Navi fantasma : la Mary Celeste



La Mary Celeste era un brigantino canadese di 31 metri, varato in Nuova Scozia, nel 1860, con il nome di Amazon (Il nome Mary Celeste le fu dato nel 1969, a seguito di un ennesimo cambio di prorietà). Scomparve nel mare delle Azzorre nel 1872 senza nessuno a bordo, del capitano Benjamin Briggs, e del resto dell’equipaggio non si sono avute mai notizie. 
La Mary Celeste può essere considerata l'archetipo della nave fantasma. Finalmente nell’agosto del 2011 il mistero della nave fantasma, cessò di essere un mistero, infatti furono ritrovati i resti della nave, durante una spedizione, un gruppo della NUMA con a capo Clive Cussler ed il produttore John Davis localizzarono la zona dove si trovava la nave: sul fondale vicino alla barriera corallina di Rochelais poco fuori il litorale di Haiti. 
 L’ultimo avvistamento della nave, senza equipaggio fu vicino allo stretto di Gibliterra, poi la nave scomparve definitivamente nel mare delle Azzorre nel 1872 senza nessuno a bordo, del capitano, di sua moglie e della figlia di due anni non si sono avute mai notizie.
 I dettagli della scoperta verranno in seguito forniti dai diretti interessati, infatti Cussler scrisse della Mary Celeste nel libro Navi Fantasma. 
Si vide subito che il fondale era disseminato di tanti oggetti, tra questi manufatti di ogni foggia, che erano completamente racchiusi in una fitta rete di coralli che, come una mano, tenevano stretti i tesori.

Costruita nel 1860 in Scozia la 'Mary Celeste' di una lunghezza di 31 metri e 7 di larghezza, nei dodici anni seguenti il varo ha avuto una serie di incidenti: il suo primo capitano morì di polmonite, il secondo capitano, durante il viaggio inaugurale, andò a speronare un peschereccio e mentre veniva riparata scoppiò un incendio, venduta a un terzo, il nuovo capitano si scontrò con un altro brigantino che affondò… Tutto questo fino al 1872.
 Nel novembre del 1872 infatti la nave salpa dal New York con un carico di 1700 barili di alcool etilico e destinazione Genova, ma all’altezza di Gibilterra fu avvistata intatta e senza nessuno a bordo. 

In seguito solcò ancora i mari fino a che nel 1884, a seguito di altre tragedie, la nave partì da Boston con il nuovo proprietario Gilman Parker che, fece registrare un carico di scarso valore come fosse prezioso, assicurandolo per una cifra esorbitante, per poi farla naufragare deliberatamente vicino ad Haiti. 
 La nave fantasma, resa famosa da Arthur Conan Doyle, ha così racchiuso e portato sui fondali ogni suo segreto che solo lo scrittore Clive Cussler capo della spedizione ha rivelato nel libro. E finalmente col ritrovamento della Mary Celeste, la nave fantasma non sarà più un fantasma , ma un relitto in fondo mare che dopo secoli metterà fine alle storie che si andavano raccontando a riguardo.
 L’ultimo segreto rimane comunque la sorte del capitano Briggs, della sua famiglia e dell’intero equipaggio scomparsi nell’oblio nel 1872…