venerdì 17 maggio 2013
Parliamo di Cuba: dittatura autoritaria o Paese libero?
Un docente di economia de La Sapienza - ed esperto di Cuba - risponde alle affermazioni fatte dalla blogger cubana - acerrima avversaria del governo castrista - con dati scientifici.
Il 28 aprile scorso Yoani Sanchez, blogger cubana anticastrista, è arrivata in Italia ed ha partecipato alla serata finale del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, dove è stata intervistata dal direttore de La Stampa Mario Calabresi davanti a una folta platea.
L'iniziativa è stata interrotta per qualche minuto da un gruppo di contestatori “filo-cubani”, che hanno srotolato uno striscione e lanciato in sala dei volantini.
L'organizzazione del Festival ha prontamente riportato la situazione alla calma, l'intervista è proseguita senza più intoppi e si è conclusa serenamente, fin quando non si è passati alle domande del pubblico: alcuni presenti, molto ben informati sulla situazione cubana, hanno messo alle corde sia Yoani Sanchez che il direttore de La Stampa con domande molto precise e fornendo dati dettagliati: l'organizzazione del festival, tuttavia, ha ritenuto che quella fosse “propaganda” e impedito che il dibattito continuasse.
Scriveva il professor Gennaro Carotenuto sul suo blog pochi giorni prima dell'evento: “Il tour mondiale di Yoani è organizzato secondo i canoni mainstream, un unico evento mediatico di propaganda, un format chiuso dove nessun contraddittorio è possibile, il che è bizzarro per chi proviene da un paese dove non c’è libertà di stampa.
Non m’interessano –anzi rifiuto con forza- le azioni di ripudio, forma stantia di protesta, che fanno solo piacere alla Sánchez. Considero non dirimente, anche se è difficile non coglierne la contraddizione che mina la credibilità di una ‘dissidente', il fatto che Yoani sia un brand di straordinario successo economico capace di farle guadagnare centinaia di migliaia di dollari (quasi 10.000 al mese, mi risulta, dalla SIP, la padronale della stampa latinoamericana di destra, e da El País di Madrid, senza contare le donazioni e altre prebende) in un paese dove un chirurgo di livello mondiale ne guadagna poche decine al mese.
Fatti suoi”. Yoani Sanchez ha di fatto duramente contestato la politica cubana, dando l'immagine di un Paese non libero, governato da una dittatura autoritaria e inoltre con difficoltà economiche rilevanti.
Ma quanto c'è di vero nelle sue affermazioni?
Ce lo spiega il professor Luciano Vasapollo, docente di economia all'Università La Sapienza di Roma ed esperto di America Latina, in particolare della questione cubana: isola nel quale si reca da oltre trent'anni regolarmente.
http://www.fanpage.it
Il 28 aprile scorso Yoani Sanchez, blogger cubana anticastrista, è arrivata in Italia ed ha partecipato alla serata finale del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, dove è stata intervistata dal direttore de La Stampa Mario Calabresi davanti a una folta platea.
L'iniziativa è stata interrotta per qualche minuto da un gruppo di contestatori “filo-cubani”, che hanno srotolato uno striscione e lanciato in sala dei volantini.
L'organizzazione del Festival ha prontamente riportato la situazione alla calma, l'intervista è proseguita senza più intoppi e si è conclusa serenamente, fin quando non si è passati alle domande del pubblico: alcuni presenti, molto ben informati sulla situazione cubana, hanno messo alle corde sia Yoani Sanchez che il direttore de La Stampa con domande molto precise e fornendo dati dettagliati: l'organizzazione del festival, tuttavia, ha ritenuto che quella fosse “propaganda” e impedito che il dibattito continuasse.
Scriveva il professor Gennaro Carotenuto sul suo blog pochi giorni prima dell'evento: “Il tour mondiale di Yoani è organizzato secondo i canoni mainstream, un unico evento mediatico di propaganda, un format chiuso dove nessun contraddittorio è possibile, il che è bizzarro per chi proviene da un paese dove non c’è libertà di stampa.
Non m’interessano –anzi rifiuto con forza- le azioni di ripudio, forma stantia di protesta, che fanno solo piacere alla Sánchez. Considero non dirimente, anche se è difficile non coglierne la contraddizione che mina la credibilità di una ‘dissidente', il fatto che Yoani sia un brand di straordinario successo economico capace di farle guadagnare centinaia di migliaia di dollari (quasi 10.000 al mese, mi risulta, dalla SIP, la padronale della stampa latinoamericana di destra, e da El País di Madrid, senza contare le donazioni e altre prebende) in un paese dove un chirurgo di livello mondiale ne guadagna poche decine al mese.
Fatti suoi”. Yoani Sanchez ha di fatto duramente contestato la politica cubana, dando l'immagine di un Paese non libero, governato da una dittatura autoritaria e inoltre con difficoltà economiche rilevanti.
Ma quanto c'è di vero nelle sue affermazioni?
Ce lo spiega il professor Luciano Vasapollo, docente di economia all'Università La Sapienza di Roma ed esperto di America Latina, in particolare della questione cubana: isola nel quale si reca da oltre trent'anni regolarmente.
http://www.fanpage.it
Gli sciacalli del cancro
Gli esperti accusano:
“Sciacalli” coloro che decidono il prezzo dei farmaci antitumorali 100 oncologi di fama internazionale pubblicano un report che inchioderebbe le industrie farmaceutiche alle proprie responsabilità morali.
Quando la malattia è mortale, curarsi costa oltre 100mila dollari all'anno. Particolare di un manifesto esposto a Ney York contro Novartis, una delle aziende accusate di “sciacallaggio”.
I pazienti sono vittime finanziarie costrette a pagare il prezzo ogni anno più caro per rimanere in vita
Se può costare la vita, il prezzo può essere alto, altissimo.
Alzare il prezzo dei farmaci antitumorali molto al di sopra della copertura dei costi è semplice “sciacallaggio” per i 100 illustri oncologi che hanno pubblicato sulla rivista di settore “Blood” un report che attribuisce alle industrie farmaceutiche un comportamento di eccezionale immoralità.
Dei 12 farmaci approvati nel 2012 dall’authority americana Food and Drug Administration (Fda), ben 11 comportano per il paziente una spesa annua che supera i 100mila dollari.
Per quelle medicine la cui efficacia è stata confermata dal tempo il prezzo è invece aumentato di tre volte, a evidente copertura non più solo dei costi e di un ragionevole profitto.
Novartis fa scuola.
In India il colosso svizzero del farmaco ha perso il ricorso contro un’impresa locale che commercializza a un decimo del prezzo il corrispettivo del Glivec.
Ma in Occidente il brevetto esclusivo non è stato messo in discussione, tanto che il Glivec in 10 anni è passato da un costo di 30mila dollari annui per paziente a 92mila negli States e da 18mila a 21mila sterline nel Regno Unito. Il fatturato della lobby elvetica relativo al Glivec è passato da 900 milioni di dollari annui una decade fa a 4,7 miliardi nel 2012.
Il Glivec ha ormai consolidato la propria posizione nel mercato, confermandosi un farmaco pienamente efficace nella terapia della leucemia mieloide cronica tanto da permettere alla Novartis di poter stabilire un prezzo che quantifica la terribile alternativa alla cura, piuttosto che i reali costi di produzione del medicinale.
Il gruppo degli oncologi che ha redatto la relazione sottolinea infatti che i costi di ricerca sono stati ampiamente coperti.
La valutazione di questi specialisti non può dunque che essere un preciso atto d’accusa:
Che cosa determina un moralmente giustificabile giusto prezzo per un farmaco contro il cancro?
Un prezzo ragionevole dovrebbe mantenere sani i profitti dell’industria farmaceutica, senza essere visto come una speculazione.
Il termine sciacallaggio può applicarsi alla tendenza dei prezzi elevati del farmaco in circostanze in cui la vita di un paziente è in condizioni mediche gravi.
E che ne provoca il disastro.
Per la stessa leucemia mieloide cronica curata dal Glivec, la Fda ha approvato l’anno scorso tre nuovi farmaci, ma i prezzi restano elevatissimi, tanto da arrivare negli Usa a punte di 138mila dollari l’anno per paziente. Anche chi gode della copertura sanitaria deve pagare il 20% del prezzo dei farmaci.
Nonostante ciò il ruolo dell’industria farmacologica non viene messo in discussione tout court, tanto che Jane Apperley, presidente del dipartimento di Ematologia presso l’Imperial College di Londra e autori, tra i 100 oncologi, del report ammette che, sì, “abbiamo bisogno dell’industria farmaceutica per inseguire lo sviluppo di nuovi farmaci.
E’ molto eccitante che un certo numero di tumori stiano diventando sensibili a questi nuovi farmaci. Il problema è che l’aumento dei costi è insostenibile”.
Anzi, laddove il successo del farmaco motiva la speculazione sullo stesso, come il gruppo di oncologi ritiene accada con il Glivec, sarebbe lecito affermare che “I pazienti sono diventati le vittime finanziarie del successo del trattamento, costretti a dover pagare il prezzo ogni anno più caro per rimanere in vita”.
http://scienze.fanpage.it
“Sciacalli” coloro che decidono il prezzo dei farmaci antitumorali 100 oncologi di fama internazionale pubblicano un report che inchioderebbe le industrie farmaceutiche alle proprie responsabilità morali.
Quando la malattia è mortale, curarsi costa oltre 100mila dollari all'anno. Particolare di un manifesto esposto a Ney York contro Novartis, una delle aziende accusate di “sciacallaggio”.
I pazienti sono vittime finanziarie costrette a pagare il prezzo ogni anno più caro per rimanere in vita
Se può costare la vita, il prezzo può essere alto, altissimo.
Alzare il prezzo dei farmaci antitumorali molto al di sopra della copertura dei costi è semplice “sciacallaggio” per i 100 illustri oncologi che hanno pubblicato sulla rivista di settore “Blood” un report che attribuisce alle industrie farmaceutiche un comportamento di eccezionale immoralità.
Dei 12 farmaci approvati nel 2012 dall’authority americana Food and Drug Administration (Fda), ben 11 comportano per il paziente una spesa annua che supera i 100mila dollari.
Per quelle medicine la cui efficacia è stata confermata dal tempo il prezzo è invece aumentato di tre volte, a evidente copertura non più solo dei costi e di un ragionevole profitto.
Novartis fa scuola.
In India il colosso svizzero del farmaco ha perso il ricorso contro un’impresa locale che commercializza a un decimo del prezzo il corrispettivo del Glivec.
Ma in Occidente il brevetto esclusivo non è stato messo in discussione, tanto che il Glivec in 10 anni è passato da un costo di 30mila dollari annui per paziente a 92mila negli States e da 18mila a 21mila sterline nel Regno Unito. Il fatturato della lobby elvetica relativo al Glivec è passato da 900 milioni di dollari annui una decade fa a 4,7 miliardi nel 2012.
Il Glivec ha ormai consolidato la propria posizione nel mercato, confermandosi un farmaco pienamente efficace nella terapia della leucemia mieloide cronica tanto da permettere alla Novartis di poter stabilire un prezzo che quantifica la terribile alternativa alla cura, piuttosto che i reali costi di produzione del medicinale.
Il gruppo degli oncologi che ha redatto la relazione sottolinea infatti che i costi di ricerca sono stati ampiamente coperti.
La valutazione di questi specialisti non può dunque che essere un preciso atto d’accusa:
Che cosa determina un moralmente giustificabile giusto prezzo per un farmaco contro il cancro?
Un prezzo ragionevole dovrebbe mantenere sani i profitti dell’industria farmaceutica, senza essere visto come una speculazione.
Il termine sciacallaggio può applicarsi alla tendenza dei prezzi elevati del farmaco in circostanze in cui la vita di un paziente è in condizioni mediche gravi.
E che ne provoca il disastro.
Per la stessa leucemia mieloide cronica curata dal Glivec, la Fda ha approvato l’anno scorso tre nuovi farmaci, ma i prezzi restano elevatissimi, tanto da arrivare negli Usa a punte di 138mila dollari l’anno per paziente. Anche chi gode della copertura sanitaria deve pagare il 20% del prezzo dei farmaci.
Nonostante ciò il ruolo dell’industria farmacologica non viene messo in discussione tout court, tanto che Jane Apperley, presidente del dipartimento di Ematologia presso l’Imperial College di Londra e autori, tra i 100 oncologi, del report ammette che, sì, “abbiamo bisogno dell’industria farmaceutica per inseguire lo sviluppo di nuovi farmaci.
E’ molto eccitante che un certo numero di tumori stiano diventando sensibili a questi nuovi farmaci. Il problema è che l’aumento dei costi è insostenibile”.
Anzi, laddove il successo del farmaco motiva la speculazione sullo stesso, come il gruppo di oncologi ritiene accada con il Glivec, sarebbe lecito affermare che “I pazienti sono diventati le vittime finanziarie del successo del trattamento, costretti a dover pagare il prezzo ogni anno più caro per rimanere in vita”.
http://scienze.fanpage.it
APPELLO AGLI ESSERI UMANI
NON AMO METTERE QUESTE IMMAGINI SONO STRAZIANTI VEDERLE E CONDIVIDERLE
Lo scopo è quello di sensibilizzare le persone a denunciare se vedono queste nefandezze.
Tacere rende corresponsabili di questi mostri
La legge punisce il maltrattamento degli animali e la denuncia è un atto dovuto che le persone che si definiscono esseri umani non possono esimersi dal fare
Questi ignobili individui vivono tra noi sono i vicini di casa i conoscenti è impossibile che nessuno sappia
Chi compie atti simili ha una pietra al posto del cuore e una mente deviata non hanno una coscienza e possono recare danni anche agli esseri umani specie se indifesi e vulnerabili.
Pensateci quando avete voglia di girare la testa ed andarvene Questa FECCIA VA FERMATA!!!!!!
Lo scopo è quello di sensibilizzare le persone a denunciare se vedono queste nefandezze.
Tacere rende corresponsabili di questi mostri
La legge punisce il maltrattamento degli animali e la denuncia è un atto dovuto che le persone che si definiscono esseri umani non possono esimersi dal fare
Questi ignobili individui vivono tra noi sono i vicini di casa i conoscenti è impossibile che nessuno sappia
Chi compie atti simili ha una pietra al posto del cuore e una mente deviata non hanno una coscienza e possono recare danni anche agli esseri umani specie se indifesi e vulnerabili.
Pensateci quando avete voglia di girare la testa ed andarvene Questa FECCIA VA FERMATA!!!!!!
I green roof , i tetti verdi
Oggi, i tetti verdi rappresentano un must della creativa e spesso stravagante architettura residenziale, commerciale e pubblica di numerosi paesi, i contemporanei architetti ecologisti li hanno riproposti in chiave urbana, ma questi originali tetti verdi esistevano già da tempo nelle case di campagna del nord Europa, come quelle raffigurate nell’immagine sopra.
Oggi vengono considerati validi strumenti nella progettazione di moderni grattacieli ed edifici ecosostenibili nelle metropoli di tutto il mondo. Impiegati soprattutto negli USA ed in Germania, i green roof sono un valido aiuto per il verde urbano e contro lo smog cittadino, ma non solo.
Tra i molteplici benefici dei green roof nelle grandi città:
• Isolamento acustico dell’edificio: il green roof combatte l’inquinamento acustico.
• Isolamento termico: i green roof non solo in estate rinfrescano gli edifici sui quali si trovano in estate (permettendoci di risparmiare sul condizionatore), ma contribuiscono a non disperdere calore in inverno. Ottimo modo per favorire il risparmio energetico.
• Biodiversità: i tetti verdi aumentano gli spazi verdi cittadini e soprattutto rappresentano un habitat ospitale per uccelli e diverse specie animali.
• Smog: le piante si sa, producono ossigeno, ma soprattutto in città catturano la Co2 e alcuni agenti inquinanti, aiutandoci a combattere in modo naturale l’inquinamento atmosferico
• Contro l’isola di calore: in città le temperature sono sempre più alte rispetto alle campagne; ebbene i green roof rinfrescano l’aria e ci aiutano a limitare il fenomeno.
Non a caso predisporre un green roof su un edificio, può contribuire all’ottenimento della certificazione Leed, certificazione ambita da tutti gli architetti più sensibili al tema dell’architettura sostenibile.
Ecologici, trendy e belli a vedersi, vivi, che respirano e fanno respirare, i “tetti verdi” decorano e proteggono centinaia di edifici hanno scatenato la fantasia dei bio-architetti
Morte della Democrazia
Riporto alcuni brani tratti da un libro di Barnard perchè trattano di come il potere oligarchico utilizzi la "crisi perenne" come strumento per la neutralizzazione del potenziale partecipativo dei "subordinati", in sostanza di come si fa a rendere le persone complici del proprio impoverimento economico, sociale, politico, culturale con la "strategia della tensione", ovvero con la paura della Crisi con la C maiuscola.
Il credere alle leggende che ci propinano, la crisi, la crisi, la crisi, ci rende tutti vacche portate al macello.
SULLA DEMOCRAZIA DA IL PIU GRANDE CRIMINE
UN ESTRATTO.
Huntington, Crozier e Watanuki stilarono un rapporto con ancora idee, strategie e dettami, ma questa volta la sofisticatezza delle 227 pagine del loro The Crisis of Democracy dà i brividi.
Vi si legge letteralmente tutto ciò che ci hanno fatto accadere per disabilitarci.
Il titolo stesso è ingannevole, poiché non si tratta di riparare le democrazie partecipative, come sembrerebbe suggerire, ma di distruggerle.
Infatti il rapporto dichiara senza mezzi termini che “alcuni dei problemi di governo negli Stati Uniti di oggi derivano da un ‘eccesso di democrazia’
C’è bisogno invece di un grado superiore di moderazione nella quantità di democrazia”.
E naturalmente il diritto ‘divino’ delle elite di governare noi gente comune trova in queste pagine una giustificazione immediata quando Huntington scrive:
“La democrazia è solo una delle fonti dell’autorità e non è neppure sempre applicabile. In diverse istanze chi è più esperto, o più anziano nella gerarchia, o più bravo, può mettere da parte la legittimazione democratica nel reclamare per sé l’autorità”.
Parole che si congiungono in modo perfetto al piano di Schuman, Monnet e Perroux, e che hanno prestato le fondamenta all’Europa unita dell’Euro già ora governata da una elite di burocrati super specializzati che nessuno di noi elegge.
I tre autori scrissero le loro istruzioni su come le elite avrebbero dovuto procedere in termini chiarissimi, e con una premonizione straordinaria:
“Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato (prima degli anni ’60, nda) ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti- democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene”.
Ed è stata proprio questa apatia che fu indotta sulle masse dell’Occidente per mezzo di una operazione massmediatica enorme e dell’esplosione del consumismo, deviandole dall’attivismo democratico, drogandole così che non vedessero più i loro reali bisogni e i loro diritti. Come ha scritto David Bollier
“Potrà una società che si è così gettata su una eccessiva commercializzazione funzionare ancora come una democrazia deliberativa? Potrà il pubblico ancora trovare e sviluppare la sua voce sovrana? O, viceversa, il suo carattere è stato così profondamente trasformato dai media commerciali da stroncarne per sempre l’abilità di partecipare alla vita pubblica?”
Qui The Crisis of Democracy mostra la medesima mentalità che portò Lippmann a chiamare i cittadini “gli outsider rompicoglioni”, prova ulteriore del gemellaggio ideologico degli attori di questo piano.
Essi infatti proclamarono che: “la storia del successo della democrazia… sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media”.
Cosa vuol dire? Significa che se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle elites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori. L’involucro della democrazia fu salvato, il suo contenuto, cioè noi cittadini partecipativi, fu annientato. Ora attenzione a quanto segue: ogni idea di Stato Sociale che “avrebbe dato ai lavoratori garanzie e avrebbe alleviato la disoccupazione” veniva tacciata dai tre autori di essere “una deriva disastrosa… poiché avrebbe dato origine a un periodo di caos sociale”.
Queste parole devono essere ben impresse nella memoria, poiché esse detteranno una delle più criminose decisioni politiche della Storia occidentale moderna voluta dalle elitè, quella di creare artificiosamente grandi sacche di disoccupati, sottoccupati, e precari – con le immense sofferenze che ne conseguivano – solo per poterci controllare meglio, e sfruttare meglio.
La gabbia di Orwelliana memoria
Questa parodia è un agghiacciante realtà che ogni giorno i popoli della terra subiscono senza a volte nemmeno rendersene conto.
Il gioco é appunto , contare sui pavidi , per esercitare il potere
Dividi et impera.
Se i pavidi saranno la maggioranza , gli arditi prenderanno legnate. Il gioco del potere é appunto mantenere il livello dei pavidi o dei complici piú alto del livello degli arditi.
I padroni osservano fintanto che rimani dentro la gabbia, fintanto che sei inconsapevole della gabbia ma appena cerchi di USCIRE, smettono di OSSERVARE e bollano le scimmie che vogliono uscire come antisociali e terroristi oppure "anarchici-insurrezionalisti".
In questo modo le scimmie all'INTERNO della gabbia si sentiranno tanto buone e intelligenti e quelle che cercano di uscire saranno "educate" a ritornare dentro.
Come si schiacciano milioni di persone sotto il volere e gli interessi di potenti oligarchie?
Con una psicosi di massa, semplice.
Con la paura e con LA CRISI Mondial
Questi oligarchi IGNOTI alla massa mai votati dal popolo lo penalizzano a favore di se stessi e di pochi privilegiati amici di merende