domenica 12 maggio 2013

Perché amiamo i gatti ?



Che li si ami o no, con i gatti c’è un forte legame. C’è chi sostiene che siano restii a mostrare affetto o che siano mossi da gesti di utilitarismo; c’è, al contrario, chi in loro vede eleganza e un vero e proprio stile di vita.
 Mark Twain, una volta, scrisse: “Semplicemente non posso resistere a un gatto, in particolare uno che fa le fusa. Essi sono puliti e tra gli esseri viventi più intelligenti che conosco, al di fuori della ragazza che ami, naturalmente“.
 E, comprensibilmente, le persone possono sentirsi intensamente legate ad ogni animale domestico che diventa un compagno a tutti gli effetti. Tuttavia, i gatti sembrano avere un modo unico di coinvolgere i nostri sentimenti.
 Perché, dunque, amiamo i nostri gatti così tanto? Per aiutarci a rispondere a tale quesito, è reperibile online una infografica che esamina gli aspetti di questi teneri pelosi che allietano le nostre giornate, analizzandone linguaggio ed abitudini con l’obiettivo di trovare una spiegazione esauriente del perché tra gatto e padrone si instauri una sorta di attaccamento quasi filiale.

Sarebbero tre gli aspetti che ci portano ad amarli intensamente. La fisicità pura dei gatti è un fattore incontestabile. I felini si accovacciano o gironzolano intorno a noi in modo diverso dal cane. Quando si rilassano sulle ginocchia o li abbiamo in braccio o, ancora, quando ce li ritroviamo sparsi per il nostro letto, la risposta alla loro presenza è un insito rilassamento. È considerato, questo, un grande vantaggio poiché il relax, come noto, porta ad un benessere duraturo.
 Ma c’è dell’altro, nei felini, a renderli molto attraenti. I gatti possiedono un vocabolario tutto loro e noi non possiamo far altro che “tradurlo”. Si potrebbe dire che i gatti, pur non parlando nel vero senso del termine, lo fanno però con i propri atteggiamenti. Tutti i felini, infatti, hanno un modo straordinario di comunicare attraverso la postura. 
Chiunque possieda un gatto è in grado di capire se è scontroso in un determinato momento o ha qualche dolore o se è infastidito da noi. E lo fa grazie al modo in cui ci guarda. Ci sono, insomma, dei modi più sottili per dirci come si sentono.
 Certo è che, a volte, reagiscono in modi più forti e più fastidiosi, ad esempio quando saltano su e giù mentre stiamo cercando di dormire. Ma per quanto irritanti possano essere, la qualità essenziale di tutti i proprietari di gatti è che sanno interpretarne il volere e li sanno perdonare.

 E poi, che lo si creda o meno, ci sono piccoli comportamenti che un gatto compie e con i quali comunica il suo amore. Ad esempio, spingendo la fronte contro la nostra; mettendo fuori la zampetta, accarezzandoci; mordendoci delicatamente; leccandoci le mani o insistendo sulla “condivisione” forzata dei nostri letti.
 I gatti, insomma, sono dei veri e propri miracoli di intimità.
 Tutte queste caratteristiche rispondono al perché amiamo il nostro gatto così tanto. È un animale che, per sua natura, è solitario e dovrebbe sapere esattamente come manipolarci per ottenere il nostro amore. Nel corso degli anni di vita comune con i gatti, si è giunti alla conclusione che, in realtà, sono molto più alla ricerca di calore ed affetto di quanto noi stessi immaginiamo.

La storia dell'alfabeto è solo una parte della storia della scrittura.

Il più antico utilizzo di segni scritti risale in Mesopotamia nel IV millennio a.C., utilizzati al fine della numerazione

Nel 2700 a.C. gli egizi svilupparono un insieme di circa 22 geroglifici per rappresentare ciascuna delle consonanti del loro linguaggio più una 23ª che sembra rappresentasse la vocale iniziale o finale in una parola.
Ciononostante il sistema non era usato per scopi puramente alfabetici.
Si pensa che la prima scrittura puramente alfabetica sia stata sviluppata intorno al 2000 a.C. per i lavoratori di origine semitica nell'Egitto centrale.[senza fonte]
Nei seguenti cinque secoli si diffuse in altre popolazioni
Oggi la gran parte degli alfabeti del mondo discendono, direttamente o meno, dal sistema egizio-mesopotamico.

Un eccezione gli alfabeti che derivano dal sistema cinese, che ha origine circa nel 1200 a.C.
A 阿 ā 
B 贝 bèi
C 尺 chǐ
D 德 dé
E 诶 ēi
F 诶非 ēi fēi
G 吉 jí
H 阿卡 ā kǎ
I 伊 yī
J 杰 jié
K 卡爬
kǎ pá
L 艾勒 ài lè
M 艾姆 ài mǔ
N 恩 ēn
O 哦 ó
P 佩 pèi
Q 酷 kù
R 艾和 ài hé
S 艾丝 ài sī
T 特 tè
U 乌 wū
V 维 wéi
W 豆票维 dòu piào wéi
X 伊克斯 yī kè sī
Y 伊戈雷卡 yī gē léi kǎ
Z 贼大 zéi dà
Si suppone che l'alfabeto sia stato inventato in maniera indipendente in tre posti diversi:
Egitto (2700 a.C.),
Cina (1200 a.C.)
Mesoamerica (600 a.C.).
Discussa è invece l'origine indipendente in Mesopotamia e nella valle dell'Indo. Gli alfabeti della età del bronzo dell'Egitto devono essere tuttora decifrati. Comunque sembra che siano per lo meno parzialmente, e forse completamente, alfabetici.
I più antichi esempi ci sono giunti sotto forma di graffiti dell'Egitto centrale datati attorno al 1800 a.C.
Storia dell'alfabeto Media età del bronzo XIX secolo a.C.
Ugaritico XV secolo a.C. Proto-cananeo XV secolo a.C. Fenicio XIV–XI secolo a.C. Paleo-ebraico X secolo a.C. Samaritano VI secolo a.C. Aramaico VIII secolo a.C. Brāhmī VI secolo a.C. Tibetano VII secolo d.C. Khmer/Alfabeto di Java IX secolo d.C. Ebraico III secolo a.C. Siriaco II secolo a.C. Arabo IV secolo d.C. Pahlavi III secolo a.C. Avestico IV secolo d.C. Greco IX secolo a.C. Etrusco VIII secolo a.C. Latino VII secolo a.C. Runico II secolo d.C. Gotico III secolo d.C. Armeno 405 d.C. Glagolitico 862 d.C. Cirillico X secolo d.C. Paleoispanico VII secolo a.C. Sudarabico IX secolo a.C. Ge'ez V–VI secolo a.C. Meroitico III secolo a.C. Ogham IV secolo d.C. Hangŭl 1443 d.C. Sillabico canadese 1840 d.C. Zhuyin 1913 d.C.

Rea (Cibele)



Rea, nella mitologia greca, è una titanide, figlia di Urano e di Gea, sorella e moglie di Crono e madre di Ade, Demetra, Era, Estia, Poseidone e Zeus. Rea, detta "grande madre", o madre degli dei, è assimilata dai Romani a Opi , dea dell'abbondanza, ed a Cibele, un'antica divinità anatolica. 
 Personificazione delle forze della natura, dea della terra e degli animali, veniva rappresentata accompagnata da sacerdoti (coribanti), da leoni e da altri animali selvaggi 
Rea sposò suo fratello Crono che, per evitare di perdere il potere così come era capitato a suo padre Urano (spodestato da Crono stesso), prese a divorare i figli via via che Rea li partoriva. Inizialmente divorò Estia quindi Demetra, Era, Ade e Poseidone. Rea era furiosa. Mise al mondo Zeus, il suo terzo figlio maschio, sul Monte Liceo, in Arcadia (o secondo altre versioni a Creta, dove era fuggita precedentemente) e dopo aver tuffato Zeus nel fiume Neda lo affidò alla madre Terra.
 A Crono invece era stata recapitata una pietra avvolta in fasce al posto di suo figlio Zeus.

 Rea aveva molti santuari in tutta la parte occidentale della Asia minore, in particolare sul monte Ida e a Pessinonte, dove vi era un famoso oracolo. 
Il suo culto si diffuse in gran parte nella Grecia continentale in cui si dava ai propri santuari il nome di metroon (Olimpia, Atene, il Pireo, ecc.),
 A Roma, questo culto fu introdotto, in 204 a.C. 
Consultati i libri Sibillini, i Romani fecero venire da Pessinonte, in Asia Minore, la Pietra Nera che rappresentava Cibele, la madre degli Dei. Per riceverla, si costruì un tempio sul palatino e si commemorò ogni anno quest'evento con la festa di megalesia, accompagnata da giochi megalesiani (4-10 aprile). La grande festa annuale di Cibele comprendeva cerimonie simboliche dove si rappresentava la storia degli amori della dea, il dolore, la mutilazione, la morte ed il resurrezione di Atys; processioni di sacerdoti (coribanti), che camminavano con la statua in legno della dea; corse, danze, ecc., tutto ciò evocando l'agonia della morte della vegetazione e, quindi, il suo grande risveglio. 
 Gli strumenti del culto erano il coltello incoronato, il corno, il flauto di Frigia, i cembali, le castagnette, il timpano.
 Le rappresentazioni dell'immagine di Cibele sono numerose, soprattutto nell' Asia minore. All'origine, un semplice meteorite simbolizzava la dea: tale era la pietra nera di Pessinonte.
 Poco a poco, sotto l'influenza dello antropomorfismo greco, si rappresentò Cibele sotto le caratteristiche di una donna seduta che tiene un leone sulle proprie ginocchia, o affiancata da due leoni.