venerdì 26 aprile 2013
ORRORE IN INDONESIA: QUASI 4 MILA ANIMALI RISCHIANO LA VITA IN UNO ZOO LAGER
Questa petizione andrebbe firmata da tutti quelli che si considerano esseri umani
Più che uno zoo, quello di Surabaya, sull'isola di Giava, in Indonesia, sembra un lager.
Quindici tigri di Sumatra sono costrette a vivere in gabbie piccole e scure, abbandonate a se stesse.
Ma non sono solo loro, gli animali che vengono lasciati soffrire. In un mese, sono morti 15 dei quattromila animali ospitati nella struttura tanto da indurre il governo a decidere di assumere un team di esperti, per tentare di cambiare la situazione.
Il gruppo, guidato da Tony Sumampau, ha ridotto il tasso di mortalità.
Il lavoro, però, è appena iniziato. E, intanto, a marzo una giraffa è morta. Sapete perché? La povera bestiola aveva ingoiato 18 chili di plastica che gli sono rimasti nell'addome. "Gli animali sono troppo vicini ai visitatori, che possono tirare di tutto. Molti – racconta Sumampau – sono affamati e mangiano l'immondizia che la gente tira dentro i recinti".
I pellicani sono poi costretti a rimanere chiusi, ammassati, dentro le gabbie. Però non va meglio neanche alle scimmie. "Si pensa che la quantità sia più importante della qualità – continua Sumampau – ma la qualità della vita è veramente bassa. Bisognerebbe spostare gli animali in un altro zoo".
I guardiani non sanno come trattare gli animali e fanno fatica ad imparare quale sia l'approccio giusto, anche dopo l'arrivo degli esperti.
C'è, ad esempio, un elefantino con le zampe incatenate. "Perché impari a camminare", dice il sorvegliante.
PETIZIONE: Gli animali dello zoo di Surabaya, in Indonesia sono stati deliberatamente trascurati e maltrattati, e molti sono morti di fame. Questa è una situazione orribile creatasi anche per i contrasti sulla gestione tra il governo di Subaraya e i nuovi gestori,dei privati,dello zoo.
Per questo motivo,gli animali, tra cui alcuni appartenenti a specie in pericolo di estinzione,languiscono a causa dello stato d'abbandono estremo,della fame e dell' incuria, che portano molti di loro alla morte.
Questa situazione può essere interrotta, non appena gli umani cesseranno di essere egoisti e penseranno ai poveri animali li' reclusi. La tigre in questa foto è Melani. Ha sofferto gravi problemi allo stomaco,per essere stata nutrita con carne contaminata con sostanze chimiche e pesticidi nel corso degli anni.
Anche se il fornitore di carne è stato cambiato 3 anni fa, per lei nulla e' cambiato.Melani era un caso disperato, con il suo sistema digestivo interno distrutto. Lei ora è in fin di vita,non essendo in grado di digerire nessun cibo e si sta contemplando,l'eventualita',per lei,dell'eutanasia.
Prima di questa petizione, il governo Surabaya è stato invitato più volte a porre fine a questo conflitto umano, ma non si e' ottenuto nulla. Ora una volta per tutte, la storia orribile di questi animali che soffrono immensamente, deve finire.
PETIZIONE: http://www.thepetitionsite.com/330/792/006/stop-the-deliberate-cruelty-of-surabaya-zoo-animals/
Più che uno zoo, quello di Surabaya, sull'isola di Giava, in Indonesia, sembra un lager.
Quindici tigri di Sumatra sono costrette a vivere in gabbie piccole e scure, abbandonate a se stesse.
Ma non sono solo loro, gli animali che vengono lasciati soffrire. In un mese, sono morti 15 dei quattromila animali ospitati nella struttura tanto da indurre il governo a decidere di assumere un team di esperti, per tentare di cambiare la situazione.
Il gruppo, guidato da Tony Sumampau, ha ridotto il tasso di mortalità.
Il lavoro, però, è appena iniziato. E, intanto, a marzo una giraffa è morta. Sapete perché? La povera bestiola aveva ingoiato 18 chili di plastica che gli sono rimasti nell'addome. "Gli animali sono troppo vicini ai visitatori, che possono tirare di tutto. Molti – racconta Sumampau – sono affamati e mangiano l'immondizia che la gente tira dentro i recinti".
I pellicani sono poi costretti a rimanere chiusi, ammassati, dentro le gabbie. Però non va meglio neanche alle scimmie. "Si pensa che la quantità sia più importante della qualità – continua Sumampau – ma la qualità della vita è veramente bassa. Bisognerebbe spostare gli animali in un altro zoo".
I guardiani non sanno come trattare gli animali e fanno fatica ad imparare quale sia l'approccio giusto, anche dopo l'arrivo degli esperti.
C'è, ad esempio, un elefantino con le zampe incatenate. "Perché impari a camminare", dice il sorvegliante.
PETIZIONE: Gli animali dello zoo di Surabaya, in Indonesia sono stati deliberatamente trascurati e maltrattati, e molti sono morti di fame. Questa è una situazione orribile creatasi anche per i contrasti sulla gestione tra il governo di Subaraya e i nuovi gestori,dei privati,dello zoo.
Per questo motivo,gli animali, tra cui alcuni appartenenti a specie in pericolo di estinzione,languiscono a causa dello stato d'abbandono estremo,della fame e dell' incuria, che portano molti di loro alla morte.
Questa situazione può essere interrotta, non appena gli umani cesseranno di essere egoisti e penseranno ai poveri animali li' reclusi. La tigre in questa foto è Melani. Ha sofferto gravi problemi allo stomaco,per essere stata nutrita con carne contaminata con sostanze chimiche e pesticidi nel corso degli anni.
Anche se il fornitore di carne è stato cambiato 3 anni fa, per lei nulla e' cambiato.Melani era un caso disperato, con il suo sistema digestivo interno distrutto. Lei ora è in fin di vita,non essendo in grado di digerire nessun cibo e si sta contemplando,l'eventualita',per lei,dell'eutanasia.
Prima di questa petizione, il governo Surabaya è stato invitato più volte a porre fine a questo conflitto umano, ma non si e' ottenuto nulla. Ora una volta per tutte, la storia orribile di questi animali che soffrono immensamente, deve finire.
PETIZIONE: http://www.thepetitionsite.com/330/792/006/stop-the-deliberate-cruelty-of-surabaya-zoo-animals/
Il sesto senso dello squalo martello
Uno dei piccoli misteri della natura è sempre stato quello della forma assurda del cranio del pesce martello. Un'ipotesi in proposito è stata esposta recentemente da Stephen Kajiura dello Hawaii Institute of Marine Biology, dal quale appare che la forma a T della testa di questo squalo, oltre alla già nota funzione idrodinamica, è dovuta alla presenza di un particolare organo di senso, capace di captare il campo elettromagnetico emesso dalla preda. Si tratta di elettrorecettori la cui presenza era già stata riscontrata su altri squali ma presenti, nel martello, in quantità molto superiore.
Questi elettrorecettori sono le cosiddette ampolle di Lorenzini che formano una rete di canali con celle ripiene di gel conduttore di elettricità; da queste, si dipartono dei piccoli condotti che si aprono sulla superficie della pelle del capo degli elasmobranchi, mediante pori. Attraverso questi organi, scoperti già da Erasmo Lorenzini nel 18° Secolo, squali e razze percepiscono i campi elettromagnetici a bassa intensità prodotti dalle potenziali prede. Questi organi di senso possono contribuire anche all’orientamento poiché le correnti oceaniche creano dei campi elettrici che le ampolle di Lorenzini sono in grado di captare. Le ricerche compiute sugli squali hanno dimostrato che questo “sesto senso” è sollecitato da frequenze comprese tra 25 e 50 Hz.
I Masai
I Masai o Maasai è un popolo di pastori,
vivono negli spazi aperti della Great Rift Valley
sono sopravvissuti a un'epoca passata e vivono più o
meno come vivevano i loro antenati secoli fa.
Essi mettono come fondamento della propria vita il Ciclo Solare -Alba/Tramonto- e il mutare delle stagioni. I Masai appartengono alla famiglia di gruppi tribali dei Niloti.
Si pensa che siano migrati dalla valle del Nilo in Sudan in qualche momento storico successivamente al 1500 a.C., portando con sé il bestiame.
Da allora non hanno mai abbandonato lo stile di vita seminomade e l'allevamento come principale fonte di sostentamento. Hanno la fama di valorosi guerrieri ed un portamento fiero e nobile. Vivono nelle preterie del Kenya e della Tanzania. Sono circa 350 mila pastori semi-nomadi, allevano soprattutto bovini e di conseguenza la loro vita è molto condizionata dalla presenza di acqua e pascoli per gli animali.
Per i masai la terra è sacra al punto che non può essere profanata per coltivare o per scavare pozzi. E neppure per seppellire i defunti: i pastori preferiscono abbandonare i corpi dei morti in pasto agli animali della savana. La terra appartiene esclusivamente al dio Enkai.I masai sono circa 350 mila.
I maschi di questa tribù sono organizzati in rigide classi di età (ragazzi, guerrieri e anziani). Noti per la loro audacia e il loro coraggio, comunemente i masai non si vedono mai senza la loro lancia ben affilata.
FISIONOMIA e COSTUMI:
Alti belli e slanciati, i masai hanno un ottimo aspetto. Il loro abbigliamento è estremamente pittoresco. Si avvolgono intorno al corpo snello drappi sgargianti rossi e blu. Le donne di solito si adornano con larghi collari piatti ornati di perline e fermacapelli multicolori.
Attorno a braccia e caviglie portano massicce spirali di rame. Uomini e donne spesso si allungano i lobi degli orecchi modellandoli con pesanti orecchini e ornamenti di perline.
L'ocra, minerale rossiccio ridotto in polvere, viene spesso mischiato con grasso bovino e spalmato sul corpo a regola d'arte.
Per loro il rituale della Danza è propiziatorio e spesso esse si svolgono la sera illuminate dalla luce del fuoco. In piedi in cerchio, si muovono ritmicamente. Man mano che la velocità della danza aumenta, i pesanti collari battono ritmicamente su e giù sulle spalle delle ragazze.
Poi ad uno ad uno, i guerrieri masai entrano a turno al centro del cerchio, dove eseguono una serie di spettacolari salti verticali, lanciandosi in alto nell'aria. La danza continua finché tutti non sono esausti.
FEDE: Essi credono che il Dio della pioggia Ngai abbia donato a loro tutto il bestiame della terra, per cui chiunque altro ne possegga, lo deve aver rubato a loro.
Essa deriva dalla leggenda che nel principio Dio aveva tre figli, ai quali diede un dono ciascuno. Il primo figlio ricevette una freccia per cacciare, il secondo una zappa per coltivare e il terzo un bastone per radunare il bestiame. Quest'ultimo figlio sarebbe il padre dei Masai.
In alcuni dei loro riti sacri si beve sangue di mucca.
Ci sono numerose altre tradizioni e cerimonie ancora conservate dalla cultura Masai. Una delle più note è la danza "saltante" dei giovani guerrieri (o morani), che saltano da in piedi (senza piegare le ginocchia) per dimostrare la propria forza e agilità.
Fino a poco tempo fa, un moran (giovane maschio Masai) poteva prendere moglie solo dopo aver ucciso un leone; come si può immaginare, oggi questa pratica è vietata ed è stata ufficialmente abbandonata, sebbene ci siano motivi di ritenere che essa sia ancora praticata in alcune remote regioni del Kenya.
FAMIGLIA: Le donne hanno un notevole potere nella società Masai. Hanno la testa completamente rasata, abiti di colori vivaci con tipiche perline colorate, e viene loro tolto uno dei denti inferiori (questo avviene per entrambi i sessi). Gli anziani inoltre hanno un ruolo significativo nella società masai: l'educazione dei bambini. CERIMONIE DI INIZIAZIONE
Man mano che crescono i giovani imparano le usanze e le cerimonie che segnano il passaggio dall'infanzia all'età adulta.I genitori possono decidere il matrimonio di una figlia quando è ancora bambina.
La ragazza è contrattata con capi di bestiame.
Tra i passaggi di crescita, vi è la circoncisione, che viene applicata agli adolescenti di entrambi i sessi; gli anziani circoncidono i ragazzi (ai quali, durante la cerimonia, viene vietato di emettere alcun suono) e le donne anziane circoncidono le ragazze (a cui è permesso piangere).
BESTIAME: per i masai è simbolo di potere. Nelle loro comunità, la grandezza della mandria e il numero dei figli determinano la posizione e l'importanza di un uomo. Chi ha meno di 50 capi di bestiame è considerato povero.
ABITAZIONI: Le capanne dei Masai sono costruite con feci essiccate di bestiame.
Generalmente sono costruite dalle donne con rami e erba intrecciati e poi rivestite di letame.
Hanno forma ovoidale e sono disposte in un grande cerchio che serve per proteggere il "Kraal" interno, dove il bestiame dorme la notte.
L'intero perimetro è recintato con rami aguzzi e spinosi che proteggono sia i masai che il bestiame da iene, leopardi e leoni predatori.
Essi mettono come fondamento della propria vita il Ciclo Solare -Alba/Tramonto- e il mutare delle stagioni. I Masai appartengono alla famiglia di gruppi tribali dei Niloti.
Si pensa che siano migrati dalla valle del Nilo in Sudan in qualche momento storico successivamente al 1500 a.C., portando con sé il bestiame.
Da allora non hanno mai abbandonato lo stile di vita seminomade e l'allevamento come principale fonte di sostentamento. Hanno la fama di valorosi guerrieri ed un portamento fiero e nobile. Vivono nelle preterie del Kenya e della Tanzania. Sono circa 350 mila pastori semi-nomadi, allevano soprattutto bovini e di conseguenza la loro vita è molto condizionata dalla presenza di acqua e pascoli per gli animali.
Per i masai la terra è sacra al punto che non può essere profanata per coltivare o per scavare pozzi. E neppure per seppellire i defunti: i pastori preferiscono abbandonare i corpi dei morti in pasto agli animali della savana. La terra appartiene esclusivamente al dio Enkai.I masai sono circa 350 mila.
I maschi di questa tribù sono organizzati in rigide classi di età (ragazzi, guerrieri e anziani). Noti per la loro audacia e il loro coraggio, comunemente i masai non si vedono mai senza la loro lancia ben affilata.
FISIONOMIA e COSTUMI:
Alti belli e slanciati, i masai hanno un ottimo aspetto. Il loro abbigliamento è estremamente pittoresco. Si avvolgono intorno al corpo snello drappi sgargianti rossi e blu. Le donne di solito si adornano con larghi collari piatti ornati di perline e fermacapelli multicolori.
Attorno a braccia e caviglie portano massicce spirali di rame. Uomini e donne spesso si allungano i lobi degli orecchi modellandoli con pesanti orecchini e ornamenti di perline.
L'ocra, minerale rossiccio ridotto in polvere, viene spesso mischiato con grasso bovino e spalmato sul corpo a regola d'arte.
Per loro il rituale della Danza è propiziatorio e spesso esse si svolgono la sera illuminate dalla luce del fuoco. In piedi in cerchio, si muovono ritmicamente. Man mano che la velocità della danza aumenta, i pesanti collari battono ritmicamente su e giù sulle spalle delle ragazze.
Poi ad uno ad uno, i guerrieri masai entrano a turno al centro del cerchio, dove eseguono una serie di spettacolari salti verticali, lanciandosi in alto nell'aria. La danza continua finché tutti non sono esausti.
FEDE: Essi credono che il Dio della pioggia Ngai abbia donato a loro tutto il bestiame della terra, per cui chiunque altro ne possegga, lo deve aver rubato a loro.
Essa deriva dalla leggenda che nel principio Dio aveva tre figli, ai quali diede un dono ciascuno. Il primo figlio ricevette una freccia per cacciare, il secondo una zappa per coltivare e il terzo un bastone per radunare il bestiame. Quest'ultimo figlio sarebbe il padre dei Masai.
In alcuni dei loro riti sacri si beve sangue di mucca.
Ci sono numerose altre tradizioni e cerimonie ancora conservate dalla cultura Masai. Una delle più note è la danza "saltante" dei giovani guerrieri (o morani), che saltano da in piedi (senza piegare le ginocchia) per dimostrare la propria forza e agilità.
Fino a poco tempo fa, un moran (giovane maschio Masai) poteva prendere moglie solo dopo aver ucciso un leone; come si può immaginare, oggi questa pratica è vietata ed è stata ufficialmente abbandonata, sebbene ci siano motivi di ritenere che essa sia ancora praticata in alcune remote regioni del Kenya.
FAMIGLIA: Le donne hanno un notevole potere nella società Masai. Hanno la testa completamente rasata, abiti di colori vivaci con tipiche perline colorate, e viene loro tolto uno dei denti inferiori (questo avviene per entrambi i sessi). Gli anziani inoltre hanno un ruolo significativo nella società masai: l'educazione dei bambini. CERIMONIE DI INIZIAZIONE
Man mano che crescono i giovani imparano le usanze e le cerimonie che segnano il passaggio dall'infanzia all'età adulta.I genitori possono decidere il matrimonio di una figlia quando è ancora bambina.
La ragazza è contrattata con capi di bestiame.
Tra i passaggi di crescita, vi è la circoncisione, che viene applicata agli adolescenti di entrambi i sessi; gli anziani circoncidono i ragazzi (ai quali, durante la cerimonia, viene vietato di emettere alcun suono) e le donne anziane circoncidono le ragazze (a cui è permesso piangere).
BESTIAME: per i masai è simbolo di potere. Nelle loro comunità, la grandezza della mandria e il numero dei figli determinano la posizione e l'importanza di un uomo. Chi ha meno di 50 capi di bestiame è considerato povero.
ABITAZIONI: Le capanne dei Masai sono costruite con feci essiccate di bestiame.
Generalmente sono costruite dalle donne con rami e erba intrecciati e poi rivestite di letame.
Hanno forma ovoidale e sono disposte in un grande cerchio che serve per proteggere il "Kraal" interno, dove il bestiame dorme la notte.
L'intero perimetro è recintato con rami aguzzi e spinosi che proteggono sia i masai che il bestiame da iene, leopardi e leoni predatori.
Ritrovamenti archeologici in Israele
Gli archeologi che stanno scavando nei pressi di un centro termale nel sud di Israele, hanno riportato alla luce anche resti di epoca bizantina: un grande torchio ed una lanterna in argilla, decorati con delle croci.
Sono tornati alla luce i resti di un complesso in cui, con tutta probabilità, venivano lavorate le uve per ottenerne del vino. Sono state riconosciute anche le stanze per contenere l'uva, un piano di calpestio ed i pozzi per la raccolta del liquido.
Il tutto su una superficie di 100 metri quadrati, in uso, con tutta probabilità, 1500 anni fa.
Nelle vicinanze è stata ritrovata una lanterna, con, sui lati, aperture a forma di croce, a simulare una chiesa in miniatura. L'esistenza della lanterna ha suggerito agli archeologi che il proprietario del complesso emergente dal terreno potrebbe essere stato un cristiano. La scoperta, inoltre, di altri torchi emersi nelle vicinanze, fa pensare ad un fiorente commercio del vino che si dipanava sulle strade della Palestina antica fin verso l'Europa e il nord Africa. Gli scavi hanno interessato il centro termale di Hamei Yoav, tra Ashkelon e Kiryat Gat, durante uno scavo effettuato per la costruzione di un giardino per eventi.
Il tutto su una superficie di 100 metri quadrati, in uso, con tutta probabilità, 1500 anni fa.
Nelle vicinanze è stata ritrovata una lanterna, con, sui lati, aperture a forma di croce, a simulare una chiesa in miniatura. L'esistenza della lanterna ha suggerito agli archeologi che il proprietario del complesso emergente dal terreno potrebbe essere stato un cristiano. La scoperta, inoltre, di altri torchi emersi nelle vicinanze, fa pensare ad un fiorente commercio del vino che si dipanava sulle strade della Palestina antica fin verso l'Europa e il nord Africa. Gli scavi hanno interessato il centro termale di Hamei Yoav, tra Ashkelon e Kiryat Gat, durante uno scavo effettuato per la costruzione di un giardino per eventi.
L'arrivo dell'uomo nel Pacifico e l'estinzione degli uccelli
Furono fino a 2000 le specie di uccelli che scomparvero nelle isole del Pacifico tra 3500 e 700 anni fa per colpa della caccia e della deforestazione dei primi colonizzatori umani. Lo ha stabilito un nuovo studio che ha permesso di stimare i tassi di estinzione, in particolare tra i grandi uccelli non volatori tipici dell'emisfero australe, di cui restano alcune specie, come il kiwi e il takahe. A causa delle loro ampie dimensioni, questi uccelli furono i più cacciati come documenta l'analisi statistica dei reperti fossili ritrovati in 41 isole
Esemplare di takahe, uccello incapace di volare della Nuova Zelanda
A partire da 10.000 anni fa, nelle isole dell'Oceano Pacifico si verificò una massiccia estinzione di uccelli non volatori di grandi dimensioni.
A scatenare l'evento sarebbe stata la colonizzazione da parte dell'uomo, secondo un nuovo studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” a firma di Richard Duncan e colleghi dell'Istituto di Ecologia applicata dell'Università di Camberra, in Australia. Le isole più remote del Pacifico Orientale sono state le ultime regioni abitabili della Terra a essere colonizzate dall'uomo. Secondo la ricostruzione più attendibile, i primi gruppi di coloni si inoltrarono nel Pacifico, procedendo verso est, circa 3500 anni fa, raggiungendo prima le isole Samoa, Tonga, Vanuatu, Nuova Caledonia, Fiji e Marianne.
Un'ondata successiva di colonizzazione arrivò su isole ancora più lontane come le Hawaii, la Nuova Zelanda e l'Isola di Pasqua, soltanto 900-700 anni fa.
L'impatto umano sulle forme di vita delle isole del Pacifico è documentato dai reperti fossili del Tardo Quaternario che rivelano un'ampia e catastrofica “estinzione selettiva” che ha interessato soprattutto gli uccelli.
A causarla, secondo alcune ricerche recenti, sarebbero state la caccia intensiva e la deforestazione operata dagli uomini.
Se si considera questo periodo relativamente breve, le stime sul numero delle specie estinte oscillano tra 800 e 2000 specie. Dall'analisi dei reperti fossili il tasso di estinzione risulta particolarmente alto in tutte le isole per gli uccelli non volatori, un'ampia categoria che attualmente comprende circa 40 specie di specie tra cui i pinguini, gli struzzi e molte altri uccelli tipici dell'emisfero australe.
La Nuova Zelanda è la nazione in cui vive il maggior numero di specie di uccelli non volatori, tra cui i pinguini, i caratteristici kiwi, e il takahe. Quest'ultimo fu ritenuto estinto alla fine dell'Ottocento ma nel 1948 se ne scoprì l'esistenza nell'Isola del Sud (una delle tre maggiori che compongono la Nuova Zelanda). Come tutti gli uccelli non volatori del Pacifico, il takahe ha perso la capacità di volare nel corso dell'evoluzione a causa dell'assenza di predatori di grandi dimensioni; le sue caratteristiche l'hanno reso facilmente cacciabile e per questo la forte riduzione della sua popolazione può essere messa facilmente in relazione con la colonizzazione umana. Finora è però mancata una solida base sperimentale per definire il declino delle popolazioni degli uccelli non volatori in termini quantitativi rigorosi.
I fossili raccolti nella maggior parte delle isole studiate, infatti, sono pochi, e presumibilmente sono molte le specie di uccelli estinte che devono essere ancora scoperte. D'altra parte, la regione considerata è molto ampia: la topografia e le precipitazioni estremamente variabili tra un'isola e l'altra determinarono notevoli differenze nella possibilità di sfruttamento da parte dell'uomo e quindi anche nei tassi di estinzione delle diverse specie.
In questo studio Duncan e colleghi hanno utilizzato un modello di analisi statistica computerizzata per esaminare i dati relativi a 41 isole del Pacifico nelle quali sono stati raccolti fossili di ossa di uccelli, con particolare riferimento alle specie di uccelli non passeriformi di terraferma (che comprendono quindi tutti gli uccelli che hanno evoluto zampe diverse da quelle adattate alla prensione dei rami, e tutti i non volatori), per i quali i reperti fossili sono più abbondanti e di migliore qualità rispetto ai passeriformi. Inoltre, i non passeriformi erano più cacciati dall'uomo per le loro maggiori dimensioni.
Per ciascuna isola, i ricercatori hanno stimato il tasso di estinzione preistorica sulla base del numero stimato di specie nell'avifauna per il periodo precedente alla colonizzazione umana e che sono andate perdute prima dell'arrivo degli europei.
Secondo i risultati, in questo arco di tempo andarono perdute circa 1000 specie solo tra i non-passeriformi di terraferma. Al computo totale dell'estinzione vanno poi aggiunte le specie di non passeriformi di mare e quelle di passeriformi. Viene quindi confermato l'enorme impatto della colonizzazione umana delle isole del Pacifico, che determinò quella che viene ricordata come la più grande estinzione dell'Olocene, ovvero degli ultimi 12.000 anni.
Fonte : .lescienze.it
Esemplare di takahe, uccello incapace di volare della Nuova Zelanda
A partire da 10.000 anni fa, nelle isole dell'Oceano Pacifico si verificò una massiccia estinzione di uccelli non volatori di grandi dimensioni.
A scatenare l'evento sarebbe stata la colonizzazione da parte dell'uomo, secondo un nuovo studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” a firma di Richard Duncan e colleghi dell'Istituto di Ecologia applicata dell'Università di Camberra, in Australia. Le isole più remote del Pacifico Orientale sono state le ultime regioni abitabili della Terra a essere colonizzate dall'uomo. Secondo la ricostruzione più attendibile, i primi gruppi di coloni si inoltrarono nel Pacifico, procedendo verso est, circa 3500 anni fa, raggiungendo prima le isole Samoa, Tonga, Vanuatu, Nuova Caledonia, Fiji e Marianne.
Un'ondata successiva di colonizzazione arrivò su isole ancora più lontane come le Hawaii, la Nuova Zelanda e l'Isola di Pasqua, soltanto 900-700 anni fa.
L'impatto umano sulle forme di vita delle isole del Pacifico è documentato dai reperti fossili del Tardo Quaternario che rivelano un'ampia e catastrofica “estinzione selettiva” che ha interessato soprattutto gli uccelli.
A causarla, secondo alcune ricerche recenti, sarebbero state la caccia intensiva e la deforestazione operata dagli uomini.
Se si considera questo periodo relativamente breve, le stime sul numero delle specie estinte oscillano tra 800 e 2000 specie. Dall'analisi dei reperti fossili il tasso di estinzione risulta particolarmente alto in tutte le isole per gli uccelli non volatori, un'ampia categoria che attualmente comprende circa 40 specie di specie tra cui i pinguini, gli struzzi e molte altri uccelli tipici dell'emisfero australe.
La Nuova Zelanda è la nazione in cui vive il maggior numero di specie di uccelli non volatori, tra cui i pinguini, i caratteristici kiwi, e il takahe. Quest'ultimo fu ritenuto estinto alla fine dell'Ottocento ma nel 1948 se ne scoprì l'esistenza nell'Isola del Sud (una delle tre maggiori che compongono la Nuova Zelanda). Come tutti gli uccelli non volatori del Pacifico, il takahe ha perso la capacità di volare nel corso dell'evoluzione a causa dell'assenza di predatori di grandi dimensioni; le sue caratteristiche l'hanno reso facilmente cacciabile e per questo la forte riduzione della sua popolazione può essere messa facilmente in relazione con la colonizzazione umana. Finora è però mancata una solida base sperimentale per definire il declino delle popolazioni degli uccelli non volatori in termini quantitativi rigorosi.
I fossili raccolti nella maggior parte delle isole studiate, infatti, sono pochi, e presumibilmente sono molte le specie di uccelli estinte che devono essere ancora scoperte. D'altra parte, la regione considerata è molto ampia: la topografia e le precipitazioni estremamente variabili tra un'isola e l'altra determinarono notevoli differenze nella possibilità di sfruttamento da parte dell'uomo e quindi anche nei tassi di estinzione delle diverse specie.
In questo studio Duncan e colleghi hanno utilizzato un modello di analisi statistica computerizzata per esaminare i dati relativi a 41 isole del Pacifico nelle quali sono stati raccolti fossili di ossa di uccelli, con particolare riferimento alle specie di uccelli non passeriformi di terraferma (che comprendono quindi tutti gli uccelli che hanno evoluto zampe diverse da quelle adattate alla prensione dei rami, e tutti i non volatori), per i quali i reperti fossili sono più abbondanti e di migliore qualità rispetto ai passeriformi. Inoltre, i non passeriformi erano più cacciati dall'uomo per le loro maggiori dimensioni.
Per ciascuna isola, i ricercatori hanno stimato il tasso di estinzione preistorica sulla base del numero stimato di specie nell'avifauna per il periodo precedente alla colonizzazione umana e che sono andate perdute prima dell'arrivo degli europei.
Secondo i risultati, in questo arco di tempo andarono perdute circa 1000 specie solo tra i non-passeriformi di terraferma. Al computo totale dell'estinzione vanno poi aggiunte le specie di non passeriformi di mare e quelle di passeriformi. Viene quindi confermato l'enorme impatto della colonizzazione umana delle isole del Pacifico, che determinò quella che viene ricordata come la più grande estinzione dell'Olocene, ovvero degli ultimi 12.000 anni.
Fonte : .lescienze.it