giovedì 18 aprile 2013
Il miracolo dei coralli dell’Hurican Hole, tra le mangrovie delle Isole Vergini Americane
Caroline Rogers, una scienziata del Geological Survey Usa (Usgs) probabilmente non pensava affatto di fare una simile scoperta facendo snorkeling tra le mangrovie rosse dell'Hurricane Hole del Virgin Islands Coral Reef national monument, invece si è trovata davanti alla sorprendente scoperta di 30 diverse specie di coralli nascoste e fiorenti fra le radici delle mangrovie.
La Rogers, un'ecologa che si occupa proprio di barriere coralline ha detto «Ero davvero stupita di quello che ho trovato. Per quanto ne so attualmente, l'abbondanza e la diversità dei coralli e il numero di specie diverse che ho trovato qui dentro, sono uniche nei Caraibi». La scoperta in realtà è stata fatta nel marzo 2009 ed ha rivelato un vero e proprio arcobaleno di colori e un complesso ecosistema che pullula di animali, ma su questo nascondiglio apparentemente intatto di biodiversità è stato mantenuto uno stretto riserbo perché la sua importanza è veramente eccezionale, visto che nel 2005 le temperature elevate dell'acqua marina nelle Isole Vergini avevano provocato un vasto sbiancamento dei coralli che aveva indebolito fortemente le colonie nell'area. L'innalzamento delle temperature marine non è il solo fattore di stress che provoca lo sbiancamento dei coralli, concorrono anche l'acidificazione degli oceani, la maggiore esposizione alla luce, malattie conseguenti all'indebolimento delle colonie di polipi e altri disturbi di origine antropica come la pesca eccessiva.
Alla fine lo sbiancamento aveva distrutto molte colonie di coralli intorno alle isole Vergini britanniche e statunitensi, diminuendo del 60% la copertura di corallo dell'area. E' quindi molto strano che i coralli di Hurricane Hole siano stati completamente risparmiati da questa minaccia e non è pensabile che i coralli siano più recenti dello sbiancamento: «Alcuni di questi coralli sono talmente grandi che sarebbero già dovuti essere molto cresciuti prima del 2005» ha spiegato Rogers ad OurAmazingPlanet.
Tra l'altro in solo un metro di acqua sono stati trovati coralli rari come il Mycetophyllia aliciae, un "corallo cervello" che vive solitamente a profondità di oltre 12 metri.
Secondo i ricercatori dell'Usgs le spiegazioni per la sopravvivenza e la ricchezza di specie dei coralli di Hurricane Hole in mezzo alla devastazione subita dalle barriere coralline delle Isole Vergini sarebbero diverse: le mangrovie che hanno fatto da scudo e fornito ombra con le loro fronde, ma anche il divieto di pesca e di sci nautico garantito dall'area marina protetta del Virgin Islands Coral Reef national monument.
E' evidente che la barriera qui si è salvata perché è stata garantita la complessità e l'intreccio di un vasto ecosistema, capire come questo complesso sistema vivente possa essere preservato in salute potrebbe aiutare gli scienziati a salvaguardare gli altri sistemi corallini in pericolo nel resto dei Caraibi, ma anche la Grande Barriera Corallina Australiana, minacciati dal global warming e da altri impatti.
Intanto la scoperta della Roger nelle Isole Vergini Americane ha prodotto un finanziamento da parte dell'Usgs per finanziare una ricerca più estesa che rende così possibile esplorare le peculiarità degli ecosistemi delle mangrovie di Hurricane Hole, dove si spera di scoprire il segreto della sopravvivenza dei coralli.
Gli ultimi scavi hanno rivelato la vita quotidiana a Petra
La parola ‘Petra’ porta alla mente immagini di templi e tombe finemente scolpiti nella roccia, che caratterizzano questo famosissimo sito nel sud-est della Giordania, votato anche come una delle ‘sette meraviglie del mondo moderno’.
Ma, come hanno rivelato i più antichi centri monumentali grazie all’attento lavoro di ricerca da parte di archeologi e ambientalisti, a Petra ciò che colpisce la vista è solo una parte del quadro complessivo: essa infatti rappresenta un antico popolo che costituiva una minoranza elitaria. La restante parte dei suoi abitanti rimane avvolta nel mistero, essendo sempre stata trascurata. Almeno finora.
Guidati dal dott. Tom Parker della North Carolina State University e dalla collega dott.ssa Megan Perry della East Carolina University, un gruppo di archeologi, studenti e volontari stanno studiando la vita della gente comune di Petra, i Nabatei che rendevano viva la città. Gli scavi vengono condotti lungo la cresta settentrionale di Petra, e stanno restituendo prove che forniscono indizi sulla vita comune in questo regno nel deserto. La cresta settentrionale presenta 50 tombe scavate nella roccia: fori stretti e tagliati verticalmente nella terra e nella roccia, utilizzati tipicamente dalla popolazione comune. La maggior parte delle tombe, che risalgono al I secolo a.C. e d.C., sono state saccheggiate nel corso degli anni, ma gli scavi di tre tombe durante l’estate del 2012 hanno comunque restituito reperti, tra cui ossa umane e manufatti come resti di ceramica, vetro, gioielli, e recipienti integri di ceramica, lucerne e bottiglie di profumo.
Gli scavi di diverse strutture domestiche di età romana (dal II al IV secolo d.C.) hanno rivelato muri crollati e manufatti. Gli archeologi ipotizzano che le case possano essere state distrutte da un terremoto che colpì Petra nel 363 d.C., e suggeriscono che i resti di materiali, strutturali e umani recuperati finora e che saranno recuperati in futuro ci daranno non solo uno scorcio della vita socio-economica della popolazione non elitaria, ma anche informazioni sulla demografia della popolazione, compresa la sua storia sanitaria e, forse, le origini geografiche del popolo.
Inoltre, per la prima volta gli scavi delle mura della città di Petra hanno rivelato frammenti di ceramica che fanno risalire le mura al II secolo d.C., collocando la loro costruzione al tempo in cui l’impero romano annetté Petra come provincia. Ancora non è chiaro agli archeologi se le mura siano state costruite dalle legioni romane dopo l’annessione o dagli stessi abitanti nabatei come misura difensiva prima dell’arrivo dei Romani.
Petra è meglio conosciuta storicamente come la capitale di un regno nabateo del deserto (forse creato intorno al 312 a.C.), che si arricchì grazie alla sua posizione strategica, in un punto nodale lungo un importante percorso carovaniero, diventando quindi uno dei principali attori nel commercio dei beni aromatici, in particolare incenso e mirra. Gli straordinari resti vennero scoperti nel 1812 dall’esploratore svizzero Johann Burckhardt, mentre gli scavi furono condotti nel sito a partire dall’inizio del XX secolo. Questi scavi si sono concentrati principalmente sulle strutture monumentali, come templi, tombe elitarie, teatri, e molte chiese bizantine.
Petra è l’attrazione turistica più visitata del Regno di Giordania.
Il libro nell'antichità
La sua storia passa necessariamente per quella della scrittura e quella dei supporti su cui si scriveva.
Le prime forme di scrittura furono di tipo pittografico, per poi diventare scritture ideografiche dove il segno non rappresentava più solamente un oggetto, ma un concetto. Nacquero così le scritture sillabiche, nelle quali ogni segno corrispondeva ad una sillaba e infine quelle alfabetiche, in cui ogni segno corrispondeva ad un suono.
La prima scrittura ad abbandonare gli ideogrammi fu probabilmente quella fenicia, dalla quale derivarono l’alfabeto greco, così come quella cirillica o quella latina.
Nel mondo antico le materie scrittorie più usate furono il papiro e la pergamena: questi due materiali permettevano, infatti, una maggiore flessibilità rispetto alla pietra, alle tavolette d’argilla o di legno. Al papiro, ricavato dallo stelo della pianta omonima, veniva dato la forma del “volumen”, i fogli venivano arrotolatoli attorno un’asticella, mentre veniva utilizzato solitamente solamente un lato, disponendo la scrittura in colonne.
La pergamena, invece, veniva ottenuta mediate la conciatura di pelli di animali messe a macerate nella calce, poi raschiate e fatte seccare. Essendo possibile scrivere su entrambi i lati della pergamena ad essa veniva data la forma del codice, quella del nostro attuale libro.
Tale forma facilitava la consultazione del libro, permettendo una maggiore estensione del testo, dispensando dall'avvolgimento e dallo svolgimento del rotolo, prestandosi, in oltre, alla decorazione e all'illustrazione.
Il codice gradatamente sostituì il volumen papiraceo, mentre verso la fine del Medioevo la pergamena utilizzata venne sostituita dalla carta.
Quest’ultima si ritiene essere stata inventata dai cinesi nel II secolo a.C. ma solo VIII secolo d.C. fu introdotta in Europa dagli arabi, che ne avevano appreso i procedimenti di fabbricazione dai cinesi e li avevano perfezionati. Così dalla Spagna, dove nel XII secolo sorse la prima cartiera, l’uso della carta si diffuse nel resto del continente europeo.
I testi passarono così dai rotoli, ai codici di pergamena ai manoscritti cartacei che nell’Umanesimo conobbero un’eccezionale fioritura grazie la rinnovato interesse per i testi antichi e alla loro ricopiatura.
Le prime forme di scrittura furono di tipo pittografico, per poi diventare scritture ideografiche dove il segno non rappresentava più solamente un oggetto, ma un concetto. Nacquero così le scritture sillabiche, nelle quali ogni segno corrispondeva ad una sillaba e infine quelle alfabetiche, in cui ogni segno corrispondeva ad un suono.
La prima scrittura ad abbandonare gli ideogrammi fu probabilmente quella fenicia, dalla quale derivarono l’alfabeto greco, così come quella cirillica o quella latina.
Nel mondo antico le materie scrittorie più usate furono il papiro e la pergamena: questi due materiali permettevano, infatti, una maggiore flessibilità rispetto alla pietra, alle tavolette d’argilla o di legno. Al papiro, ricavato dallo stelo della pianta omonima, veniva dato la forma del “volumen”, i fogli venivano arrotolatoli attorno un’asticella, mentre veniva utilizzato solitamente solamente un lato, disponendo la scrittura in colonne.
La pergamena, invece, veniva ottenuta mediate la conciatura di pelli di animali messe a macerate nella calce, poi raschiate e fatte seccare. Essendo possibile scrivere su entrambi i lati della pergamena ad essa veniva data la forma del codice, quella del nostro attuale libro.
Tale forma facilitava la consultazione del libro, permettendo una maggiore estensione del testo, dispensando dall'avvolgimento e dallo svolgimento del rotolo, prestandosi, in oltre, alla decorazione e all'illustrazione.
Il codice gradatamente sostituì il volumen papiraceo, mentre verso la fine del Medioevo la pergamena utilizzata venne sostituita dalla carta.
Quest’ultima si ritiene essere stata inventata dai cinesi nel II secolo a.C. ma solo VIII secolo d.C. fu introdotta in Europa dagli arabi, che ne avevano appreso i procedimenti di fabbricazione dai cinesi e li avevano perfezionati. Così dalla Spagna, dove nel XII secolo sorse la prima cartiera, l’uso della carta si diffuse nel resto del continente europeo.
I testi passarono così dai rotoli, ai codici di pergamena ai manoscritti cartacei che nell’Umanesimo conobbero un’eccezionale fioritura grazie la rinnovato interesse per i testi antichi e alla loro ricopiatura.
Il Re Antioco e il regno perduto di Commagene.
Il mistero di Nemrut Dagi, re Antioco I e i tre Magi
Turchia Sud-Orientale.
Sulla cima di un'arida montagna chiamata Nemrut Dagi, alta circa 2.100 metri, giacciono le rovine del regno perduto di Commagene. Qui, nel 62 a.C., re Antioco I costruisce un misterioso santuario reale.
Vengono costruite colossali statue aquile e leoni, dei greci e persiani,
oltre a due enormi sculture rappresentanti lo stesso re.
Il picco a forma conica è il punto più elevato del regno di re Antioco.
Alto più di 45 metri e largo più di 150, viene creato dall'uomo con l'uso di innumerevoli pietre calcaree e si dice sia il luogo dove è sepolta la tomba del re.
I ricercatori credono che il monumento in origine venga costruito con due grandi spiazzi.
Quello sul lato orientale è usato per celebrare il compleanno di re Antioco, quello sul lato occidentale viene utilizzato per commemorare nel 62 a.C. il giorno in cui Antioco diventa capo di una società segreta.
"Credo volesse simbolizzare il monte Olimpo, la casa degli dei. Perché ci sono molte divinità e una vetta sopra di loro.
E' simbolico, un palcoscenico per compiere determinati rituali e celebrazioni" di Adrian Gilbert
Misteriosamente, sia il cantiere che il regno vengono abbandonati nel I secolo d.C. e ad oggi la leggendaria camera funeraria non è stata ritrovata.
Rimane però un'altra domanda: perché re Antioco costruisce questo enorme e misterioso santuario monumentale?
Secondo i ricercatori le prove che si trovano a Nemrut Dagi suggeriscono che il re conosca e nutra un profondo interesse per l'astrologia.
"Inoltre nella stele in rilievo rappresenta se stesso nell'atto di stringere la mano a tutti gli dei, come se lo riconoscessero come uno di loro e gli dessero il benvenuto nell'aldilà."
Un esempio dell'avanzata conoscenza dell'astronomia che possedevano è ad esempio l'oroscopo del Leone,
che ci fornisce una data molto precisa.
Sappiamo che, in una delle sculture, la posizione delle stelle sul corpo dell'animale corrisponde alla posizione della costellazione del Leone
Descritta in un libro di Eratostene, un astronomo greco di Alessandria
che scrisse un libro sulle stelle." Adrian Gilbert
La disposizione delle stelle sull'oroscopo del Leone rappresenta la costellazione del Leone visibile in cielo nel luglio del 62 a.C.
Una configurazione che non si presenterà più per 25.000 anni. Un'ulteriore prova di questa eccezionale conoscenza delle stelle si trova in un condotto che Antioco scava nella montagna.
Il condotto passa lungo il versante della montagna, fa un angolo di 35° in orizzontale ed è lungo circa 150 metri.
Non c'è nulla in fondo.
di" Adrian Gilbert "
Le analisi effettuate dai computer rivelano che in 2 giorni dell'anno i raggi del sole illuminano il fondo del condotto, una volta quando si allinea con la costellazione del Leone, e una volta quando si allinea con Orione.
"Ora, questo punto nel cielo è molto interessante perché è quello in cui il Sole incrocia la Via Lattea, la nostra galassia.
Per il mondo antico era considerata una delle porte che conducevano in cielo, che si trovano nel punto in cui le stelle si intersecano a nord e a sud.
C'erano due porte per il cielo, perciò quel passaggio sarebbe stato il luogo per cui l'anima del re sarebbe ritornata nell'aldilà attraverso l'accesso al cielo
" Dal momento che non vengono ritrovati né la tomba di re Antioco né i suoi resti, è possibile che il re viaggi davvero verso le stelle attraverso una porta celeste, come sostengono i teorici degli Antichi Astronauti?
I ricercatori ritengono che re Antioco studi insieme a una setta sacerdotale di astrologi orientali, chiamati i Magi, che si dice che siano in grado di predire e addirittura manipolare gli eventi, grazie alla loro conoscenza delle stelle.
"I Magi erano dei famosi sacerdoti del lontano Oriente che possedevano un'avanzata conoscenza astronomica.
E' risaputo che la maggior parte degli astronomi del vicino Oriente, soprattutto dell'antico Iraq, i Sumeri, registrarono eventi che ebbero luogo nei cieli per centinaia di migliaia di anni.
Queste informazioni erano conservate su tavolette di pietra, custodite come se fossero sacre e passate esclusivamente al sommo sacerdote
" Jason Martell"
Secondo il Vangelo di Matteo nel Nuovo Testamento, sono tre i Magi che seguono i segni celesti e le stelle fino al luogo in cui nasce Gesù a Betlemme.
Una coincidenza?
"La cosa interessante di questa storia è che la stella di Betlemme non fu usata come punto di navigazione.
Si afferma chiaramente che guidò i saggi verso il luogo di Cristo. Una stella non può guidare qualcuno, può soltanto essere usata come punto di navigazione,
"Oggi pensiamo che i Magi fossero dei maghi, ed è proprio per questo che ora abbiamo la parola "magia", ma la magia di per sé non esiste. Quindi, questi Magi erano di fatto in possesso di qualche tipo di tecnologia
"La testa di Antioco, che era un sacerdote, è posizionata sulla statua associata a Mercurio, questo perché Mercurio è il pianeta dell'iniziazione dei sacerdoti
Perciò si crede che sia stata modellata a sua immagine e che sia lui quello che se ne sta seduto fiero fra gli dei, ma in realtà è un codice per dire che lui è un sacerdote
" Adrian Gilbert "
Annessi dai Romani nel I secolo d.C., re Antioco e la sua corte iniziano a disperdersi in tutta la regione, o vennero dispersi...
Turchia Sud-Orientale.
Sulla cima di un'arida montagna chiamata Nemrut Dagi, alta circa 2.100 metri, giacciono le rovine del regno perduto di Commagene. Qui, nel 62 a.C., re Antioco I costruisce un misterioso santuario reale.
Vengono costruite colossali statue aquile e leoni, dei greci e persiani,
oltre a due enormi sculture rappresentanti lo stesso re.
Il picco a forma conica è il punto più elevato del regno di re Antioco.
Alto più di 45 metri e largo più di 150, viene creato dall'uomo con l'uso di innumerevoli pietre calcaree e si dice sia il luogo dove è sepolta la tomba del re.
I ricercatori credono che il monumento in origine venga costruito con due grandi spiazzi.
Quello sul lato orientale è usato per celebrare il compleanno di re Antioco, quello sul lato occidentale viene utilizzato per commemorare nel 62 a.C. il giorno in cui Antioco diventa capo di una società segreta.
"Credo volesse simbolizzare il monte Olimpo, la casa degli dei. Perché ci sono molte divinità e una vetta sopra di loro.
E' simbolico, un palcoscenico per compiere determinati rituali e celebrazioni" di Adrian Gilbert
Misteriosamente, sia il cantiere che il regno vengono abbandonati nel I secolo d.C. e ad oggi la leggendaria camera funeraria non è stata ritrovata.
Rimane però un'altra domanda: perché re Antioco costruisce questo enorme e misterioso santuario monumentale?
Secondo i ricercatori le prove che si trovano a Nemrut Dagi suggeriscono che il re conosca e nutra un profondo interesse per l'astrologia.
"Inoltre nella stele in rilievo rappresenta se stesso nell'atto di stringere la mano a tutti gli dei, come se lo riconoscessero come uno di loro e gli dessero il benvenuto nell'aldilà."
Un esempio dell'avanzata conoscenza dell'astronomia che possedevano è ad esempio l'oroscopo del Leone,
che ci fornisce una data molto precisa.
Sappiamo che, in una delle sculture, la posizione delle stelle sul corpo dell'animale corrisponde alla posizione della costellazione del Leone
Descritta in un libro di Eratostene, un astronomo greco di Alessandria
che scrisse un libro sulle stelle." Adrian Gilbert
La disposizione delle stelle sull'oroscopo del Leone rappresenta la costellazione del Leone visibile in cielo nel luglio del 62 a.C.
Una configurazione che non si presenterà più per 25.000 anni. Un'ulteriore prova di questa eccezionale conoscenza delle stelle si trova in un condotto che Antioco scava nella montagna.
Il condotto passa lungo il versante della montagna, fa un angolo di 35° in orizzontale ed è lungo circa 150 metri.
Non c'è nulla in fondo.
di" Adrian Gilbert "
Le analisi effettuate dai computer rivelano che in 2 giorni dell'anno i raggi del sole illuminano il fondo del condotto, una volta quando si allinea con la costellazione del Leone, e una volta quando si allinea con Orione.
"Ora, questo punto nel cielo è molto interessante perché è quello in cui il Sole incrocia la Via Lattea, la nostra galassia.
Per il mondo antico era considerata una delle porte che conducevano in cielo, che si trovano nel punto in cui le stelle si intersecano a nord e a sud.
C'erano due porte per il cielo, perciò quel passaggio sarebbe stato il luogo per cui l'anima del re sarebbe ritornata nell'aldilà attraverso l'accesso al cielo
" Dal momento che non vengono ritrovati né la tomba di re Antioco né i suoi resti, è possibile che il re viaggi davvero verso le stelle attraverso una porta celeste, come sostengono i teorici degli Antichi Astronauti?
I ricercatori ritengono che re Antioco studi insieme a una setta sacerdotale di astrologi orientali, chiamati i Magi, che si dice che siano in grado di predire e addirittura manipolare gli eventi, grazie alla loro conoscenza delle stelle.
"I Magi erano dei famosi sacerdoti del lontano Oriente che possedevano un'avanzata conoscenza astronomica.
E' risaputo che la maggior parte degli astronomi del vicino Oriente, soprattutto dell'antico Iraq, i Sumeri, registrarono eventi che ebbero luogo nei cieli per centinaia di migliaia di anni.
Queste informazioni erano conservate su tavolette di pietra, custodite come se fossero sacre e passate esclusivamente al sommo sacerdote
" Jason Martell"
Secondo il Vangelo di Matteo nel Nuovo Testamento, sono tre i Magi che seguono i segni celesti e le stelle fino al luogo in cui nasce Gesù a Betlemme.
Una coincidenza?
"La cosa interessante di questa storia è che la stella di Betlemme non fu usata come punto di navigazione.
Si afferma chiaramente che guidò i saggi verso il luogo di Cristo. Una stella non può guidare qualcuno, può soltanto essere usata come punto di navigazione,
"Oggi pensiamo che i Magi fossero dei maghi, ed è proprio per questo che ora abbiamo la parola "magia", ma la magia di per sé non esiste. Quindi, questi Magi erano di fatto in possesso di qualche tipo di tecnologia
"La testa di Antioco, che era un sacerdote, è posizionata sulla statua associata a Mercurio, questo perché Mercurio è il pianeta dell'iniziazione dei sacerdoti
Perciò si crede che sia stata modellata a sua immagine e che sia lui quello che se ne sta seduto fiero fra gli dei, ma in realtà è un codice per dire che lui è un sacerdote
" Adrian Gilbert "
Annessi dai Romani nel I secolo d.C., re Antioco e la sua corte iniziano a disperdersi in tutta la regione, o vennero dispersi...
Il gatto nella storia
Un rapido excursus storico, dalle origini ai nostri giorni, mette subito in luce l’antica dignità del nostro felino domestico, che in alcuni casi è arrivata persino alla “divina venerazione”.
Il primo rinvenimento di un gatto è avvenuto recentemente sotto forma di scheletro, accanto a quello del suo probabile padrone, in una tomba di Cipro datata tra l’8300 e l’8000 a.C. Il gatto era stato sepolto insieme al suo padrone per accompagnarlo anche nella vita ultraterrena, a testimonianza del rapporto stretto ed intenso esistente tra i due.
In realtà le più importanti testimonianze di felini addomesticati del mondo antico risalgono all’Egitto, sotto forma di affreschi, dipinti su papiro e bassorilievi.
Inizialmente apprezzato per le grosse capacità nel difendere granai dai roditori, e l’uomo da serpenti e scorpioni, successivamente fu amato per le stesse qualità che tutti conosciamo: la bellezza, la grazia, l’agilità, la dignità, la pulizia. E gli Egiziani lo amarono a tal punto da sviluppare un vero e proprio culto della personalità di questo animale, venerandolo come sacro. Fu associato inizialmente a Ra, la più potente divinità egizia, e più tardi alla dea Bastet, la cui testa di gatto ed il corpo dalle sembianze umane, avevano il ruolo di difendere la maternità, la fertilità, la gravidanza e l’allevamento dei bambini.
Le leggi e le abitudini vennero di conseguenza a questa sacralità: l’uccisione di un gatto era considerato delitto passibile della pena di morte e se il gatto di famiglia veniva a mancare i componenti si tagliavano le sopracciglia in segno di lutto.
Al di fuori dei confini dell’Egitto la diffusione del gatto avvenne, sembra, ad opera dei mercanti micenei, i quali ospitando i gatti sulle proprie navi, ne permisero la diffusione in tutta l’area dell’Egeo e da qui nelle colonie della Magna Grecia, viatico alla definitiva diffusione in Europa. Testimonianze di ciò sono monete del 500 a.C. in cui i fondatori di importanti colonie come Taras e Rhegion (le attuali Taranto e Reggio Calabria) erano raffigurati con un gatto. Giungere da qui alla Roma Imperiale, nella quale il gatto domestico ebbe la definitiva affermazione e consacrazione, il passo è breve, passando anche dal periodo etrusco, da cui ci giungono un bel dipinto dalla Tomba del Triclinio di Tarquinia e numerose raffigurazioni su vasi.
Nella Roma Antica il gatto rappresenta un compagno di vita e nell’aldilà. Sorprendenti sono di questo periodo storico i numerosi nomi propri o cognomi con etimologia derivante dalla parola “gatto”. Ne citiamo solo alcuni: Felicula, Felicla (gattina o micina), Cattus, Cattulus (gatto, gattino). Anche alcuni reparti dell’esercito romano avevano come simbolo sugli scudi gatti di diverso colore, e la sesta centuria della prima corte di guardia era detta Catti, cioè “i gatti”.
I Greci poi identificarono la dea Bastet con la loro dea più popolare, Artemide, anch’essa protettrice di partorienti ed infanti ma nota soprattutto come Signora degli Animali.
Lo stesso fecero i romani con la dea Diana, ma fu l’introduzione nell’Impero Romano del culto di Bastet, poi identificata con la dea Iside, a rafforzare a Roma il culto egizio del gatto sacro. In ogni città infatti vi era un tempio dedicato alla dea, detto Serapeum.
A Roma ad esempio il tempio sorgeva nell’attuale chiesa di Santo Stefano del Cacco, dove venne rinvenuta la piccola statua della gatta che ancora oggi si può ammirare su un cornicione di Palazzo Grazioli, in Via della Gatta appunto (vedi foto).
Nel Medioevo la connotazione sacra lascia il posto agli aspetti negativi quali le abitudini notturne, il carattere lunare, irrazionale e, soprattutto la sfrenata sessualità che varrà da sola l’associazione con gli eretici, le streghe ed il maligno. Per lungo tempo il gatto fu bruciato sul rogo delle streghe, ritualmente sacrificato e generalmente torturato.
Da Papa Gregorio IX il gatto nero è indicato nel 1233 come la reincarnazione di Satana e più tardi nel 1484 Papa Innocenzo VIII scomunicò tutti i gatti e decretò che fossero dati alle fiamme quelli trovati in compagnia delle streghe.
Solo nel Rinascimento il felino domestico venne rivalutato in seno alla Chiesa: il cardinale Richelieu aveva ed accudiva decine di gatti, e fece scandalo il fatto che avesse lasciato parte della sua cospicua eredità ai suoi amati felini.
Nelle corti di tutta Europa divenne ben presto l’ornamento dei salotti e si guadagnò la benevolenza di dame altolocate e di potenti ammiratori che si facevano dipingere in loro compagnia ed alla morte erigevano tombe e commissionavano epitaffi o sonetti.
Nell’Ottocento il gatto torna finalmente a riconquistare gli spazi persi durante il Medioevo in tutta Europa, ne sono testimonianze opere di artisti famosi come Pinelli o Diofebi. Alla fine dell’Ottocento la passione è tale che si organizzano le prime mostre ed esposizioni feline, nascono istituzioni che favoriscono la selezione e definiscono gli standard delle diverse razze. E’ l’alba del gatto come inteso ai nostri giorni, amato come in un lontano passato, un po’ meno sacro ma molto aristocratico e soprattutto rispettato.
Nel Novecento emblematici sono i gatti di Roma: furono alimentati a spese del Comune con razioni di trippa fino a quando la scarsezza delle risorse erariali consigliò dei tagli di bilancio da cui il celeberrimo detto “nun c’è trippa pé gatti”! Oggi i gatti di Roma sono divenuti un’istituzione, amati come quelli egizi, accuditi in colonie feline con devozione dalle famose “gattare”, che ogni giorno mettono a disposizione il loro tempo e la loro passione per la rituale offerta di cibo.
La stessa affettuosa devozione che il gatto merita e riceve da milioni di persone nel mondo, in quanto incarnazione di nuovi valori, simbolo di libertà ed autonomia.