venerdì 15 febbraio 2013
Le giare di Qumran
Nel primo secolo dopo Cristo, le grotte di Qumran, diventate famose nel 1947 per il ritrovamento degli importantissimi rotoli del Mar Morto, erano un importante centro spirituale e di culto degli Esseni, una specie di monastero ebraico non soltanto maschile ma aperto anche alle donne, come comproverebbe l’ultimo studio su una serie di contenitori usati per conservare i profumi e gli unguenti e anche brocche e piatti. Benché negli ultimi anni i rotoli siano stati studiati approfonditamente, fino ad oggi nessuno aveva mai compiuto una ricerca sulle ceramiche di Qumran, tra cui le diverse decine di giare che contenevano proprio quei codici.
Questa indagine è stata compiuto adesso da una squadra di ricercatori italiani coordinata dai professori Riccardo Lufrani e Marcello Fidanzio nei sotterranei del Museo Rockfeller di Gerusalemme. La Facoltà Teologica dell’Italia Centrale ha collaborato a questo progetto con l’Ecole Biblique et Archeologique Française di Gerusalemme, accogliendo nella propria sede fiorentina due sessioni preparatorie e inviando due studenti di teologia biblica, don Bledar Xhuli e Diletta Rigoli, che hanno riferito dei risultati emersi dal ”Qumran Seminar”.
Le ”giare-manoscritto” sono cilindri di ceramica, di fattura molto raffinata, alti circa un metro, collocabili cronologicamente tra il secondo secolo avanti Cristo e il 70 dopo Cristo, anno in cui i romani distrussero il Tempio di Gerusalemme. Secondo i ricercatori, lo studio delle giare e del restante materiale ceramico nell’area archeologica (numerosi piatti, che presumibilmente servivano per le offerte votive, ma anche vasi, brocche e unguentari) potrebbe avvalorare che la misteriosa e controversa Qumran sia stata un centro spirituale e di culto esseno, di cui le caverne rappresentavano una sorta di biblioteca, dove conservare il testo sacro e difenderlo dai saccheggi perpetuati dai soldato romani.
I nuovi esami sulle giare sembrerebbero rafforzare le ipotesi proposte dal domenica Roland De Vaux, dell’Ecole Biblique di Gerusalemme, che diresse i lavori di scavo delle grotte di Qumran e dell’abitato adiacente e formulò la teoria che interpreta il sito come un ‘monastero esseno’ nel 1959. Qumran corrisponderebbe al sito comunitario degli Esseni, un gruppo che attorno al 150 avanti Cristo si era scissa da Gerusalemme, per opporsi all’ellenizzazione dell’ebraismo e praticare invece la preghiera e osservare la purità rituale. I rotoli costituirebbero la loro biblioteca, occultata nelle caverne per proteggerla, al tempo della ribellione antiromana conclusasi nel 70 dopo Cristo con la distruzione del Tempio.
Le cascate di Gullfoss
Gullfoss (dall'islandese: gull "dorato" e foss "cascata") è una delle più note cascate dell'Islanda sud-occidentale, lungo il percorso del fiume Hvítá nel Haukadalur.
La portata media è di circa 140 m³/s in estate e 80 m³/s in inverno. Le acque tumultuose del fiume Hvítá compiono due salti di 11m e 21m di altezza, con orientazione relativa di circa 45°, e proseguono poi in una stretta e profonda gola che si apre nell'altipiano.
Gullfoss, soprannominata spesso "la regina di tutte le cascate islandesi" per la teatralità, la bellezza e i giochi di luce del suo doppio salto, è situata relativamente vicino alla capitale Reykjavík (120 km circa) e fa parte assieme al Þingvellir e i vicini geyser (Geysir e Strokkur) al cosiddetto Golden Circle (Circolo d'Oro), ovvero l'insieme di attrazioni naturalistiche più note e visitate d'Islanda.
Grazie ad una rete di sentieri la cascata è raggiungibile con la massima sicurezza nella parte superiore e in quella frontale.
All'inizio del XX secolo una società inglese era intenzionata all'acquisto della cascata per costruirvi una diga per alimentare una centrale idroelettrica. Una contadina del posto (Sigríður Tómasdóttir) della fattoria Brattholt, alla quale apparteneva la cascata, si oppose con successo a tale operazione industriale (a tale causa lavorò l'allora giovane avvocato e poi primo presidente della repubblica Sveinn Björnsson). Infatti ella minacciò di buttarsi nella cascata nel caso il governo islandese approvasse il progetto della diga. In realtà la causa fu vinta dalla società inglese, ma la diga non venne mai costruita per rinuncia da parte della società stessa. Nelle vicinanze della cascata è stato costruito un monumento per ricordo della coraggiosa contadina.
Il fidanzatino d'Italia
(non potendo postare il video qui una spiegazione) il video si trova in Libero TV comunque già condiviso con voi (cerchie estese e twitter) Mario Monti ormai non sa più che fare per sedurre gli italiani.
Anzi le italiane.
Il Prof con un nuovo spot, pubblicato online da Scelta Civica, si erge a "fidanzatino d'Italia".
Il Prof ora fa il piacione.
Nello spot tre donne parlano delle loro relazioni sentimentali.
In un gioco di allusioni e metafore, il risultato è uno solo:
l'uomo con cui passare i prossimi cinque anni è il Prof in Loden.
Nello spot c'è chi dice:
-"Era simpatico, divertente. Mi diceva che era cambiato. Ma non era vero.
-Io non stavo bene con lui (l'allusione è a Silvio Berlusconi), prometteva tanto a tutti e poi si scordava di me, non posso vedermi ancora con lui per altri cinque anni.
-Voleva distrarmi dai problemi".
Un'altra invece dichiara senza problemi di aver cambiato partner:
-"Ho una nuova relazione da qualche mese. Ora le cose vanno meglio.
-Con lui sto bene.
-Adesso per la prima volta sono certa di aver fatto la scelta giusta".
Insomma questo partner da sogno è proprio Mario Monti.
Di sicuro alle sue donne che ha fatto "salire" in campo proprio nel giorno di San Valentino, il Prof porterà un bouquet di scontrini fiscali che hanno le sembianze di rose bianche.
Lui ha un solo chiodo fisso: fisco, fisco, fisco.
Il nuovo "cupido in Loden" nei baci perugina metterà le ricevute fiscali. Insomma Monti non è proprio il corteggiatore ideale per un' Italia che avrà anche perso l'illusione di un sorriso, ma ha ancora un cuore che batte.
E un "professore" come lui di certo non ha scaldato nemmeno un'unghia delle donne di casa nostra.
La pioggia di meteoriti in Russia . Scene da apocalisse e fine del mondo.
Premettiamo subito che ciò che è accaduto in Russia non ha niente a che vedere con il passaggio ravvicinato dell’asteroide 2012 DA 14, il cui massimo avvicinamento è previsto questa sera alle 21 circa.
Dai filmati e dai resoconti dei testimoni, sembra spuntare l’ipotesi, secondo gli esperti, che la pioggia di rocce che ha colpito gli Urali sia stata causata dall’impatto di un altro asteroide, esploso in quota a causa dell’attrito incontrato penetrando nell’atmosfera terrestre. Ma per saperne di più, anche sulle dimensioni del corpo che ha impattato col nostro pianeta, bisognerà aspettare le analisi dei frammenti caduti al suolo.
La dinamica di quanto successo è infatti molto simile all’evento di Tunguska, occorso nel 1908 quasi lì vicino, in Siberia: la mattina del 30 giugno nel cielo limpido apparve, fulminea, una palla di fuoco che in una manciata di secondi attraversò il cielo da sudest a nordovest, lasciando dietro di sé una lunga scia infuocata di gas e polveri, dando, a chi la osservava dal basso, la stupefacente sensazione di "un cielo che si divide in due".
Poi il corpo infuocato si abbassò verso il suolo, e pochi istanti dopo un boato assordante spezzò il silenzio del luogo: una tremenda esplosione abbatté 60 milioni di alberi, in un’area di oltre 2.000 km quadrati. In quel caso l’asteroide, come determinato in seguito, era di appena 40 metri di diametro. Ma con una potenza devastante, pari a mille bombe atomiche.
La scia luminosa filmata stamattina sui cieli della Russia ricorda proprio quanto occorso cento anni fa: si tratta probabilmente, anche in questo caso, di un asteroide disintegratosi nella bassa atmosfera, i cui frammenti sono poi caduti a pioggia sulle zone sottostanti. Ben diverso dai “sassi piovuti dal cielo” che colpirono Siena nel 1794: allora si trattò proprio di una pioggia di meteoriti.
Come succede per esempio a S. Lorenzo: la Terra attraversa una regione di spazio densa di residui lasciati dal passaggio di una cometa. Quando entrano nell’atmosfera, s’incendiano dando origine al fenomeno delle stelle cadenti, ma raramente questi detriti arrivano integri al suolo, perché si bruciano completamente in alta quota. Un fenomeno completamente diverso dall’evento di oggi. Ecco perché si fa sempre più strada l’ipotesi di una collisione con un piccolo asteroide.
Ansa/Alessandro Di Meo
L'isola di malta
Situata al centro del mar Mediterraneo, tanto che gli antichi cartografi erano soliti centrare su di essa la figura della Rosa dei Venti nelle rappresentazioni delle mappe, l'isola di Malta racchiude in un territorio di circa 246 km² un patrimonio storico e culturale di eccezionale ricchezza. La sua particolare posizione, infatti, ne ha fatto il crocevia delle principali rotte commerciali del Mediterraneo, segnandone in modo indelebile la storia e l'evoluzione.
L'attestazione più antica della presenza umana sull'isola è rappresentata dai templi megalitici fatti risalire a circa 3800 anni prima di Cristo. L'isola venne poi colonizzata dai Fenici intorno all'800 a.C., ed essi mantennero il dominio fino alla successiva conquista da parte dei Romani. Si tramanda che l'apostolo Paolo, in viaggio verso Roma da Gerusalemme, fece naufragio in seguito ad una tempesta sull'isola di Malta (60 d.C.): questa tradizione è ancora oggi molto diffusa e radicata in tutta l'isola, a partire dal toponimo di St. Paul's Bay, dove si ritiene fosse avvenuto l'approdo.
Dopo alcuni secoli di isolamento, nell'870 al dominio dell'isola si avvicendarono gli Arabi, che esercitarono una notevole influenza sulla cultura maltese, che ancora oggi si nota marcatamente nella lingua ed in alcune preparazioni culinarie maltesi. Alla dominazione araba subentrò, nell'XI secolo, quella normanna di re Ruggero, e i siciliani mantennero l'isola per i successivi quattro secoli.
Nel 1530 l'isola venne donata dall'imperatore Carlo V di Spagna all'Ordine dei Cavalieri Ospitalieri, allora transfughi da Rodi, al prezzo simbolico di un falcone maltese all'anno. Quest'ordine cavalleresco, che da allora prese l'appellativo di Cavalieri di Malta, si era formato al tempo delle Crociate per la cura e la difesa dei pellegrini. I Cavalieri fortificarono l'isola giusto in tempo per reprimere un terribile assedio da parte dei Turchi, nel 1565, che durò tre mesi e che è conosciuto come il Grande Assedio. I Turchi, nonostante la netta superiorità numerica, non riuscirono a vincere la strenue resistenza dei Maltesi, tra i quali c'erano circa 700 Cavalieri. Tutta l'Europa riconobbe ad essi il merito della vittoria, e a ricompensa per il loro sacrificio ottennero i contributi per l'edificazione di una capitale tutta nuova, per rimpiazzare quella vecchia che era stata devastata durante l'assedio: così nacque La Valletta.
L'Ordine di Malta mantenne l'isola fino al 1798, quando, ormai indebolito dagli agi e dalla corruzione, venne sopraffatta dall'invasione delle truppe di Napoleone, che intendeva utilizzare l'isola come avamposto nel corso della campagna d'Egitto. A liberare l'isola dai Francesi, intervennero nel 1814 gli Inglesi, che trasformarono Malta in una base militare.
Ormai divenuta colonia britannica, l'isola di Malta mantenne il suo ruolo strategico fino in tempi recenti, quando fu oggetto di ripetuti bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale. Malta ottenne l'indipendenza dall'Inghilterra nel 1964, divenendo repubblica autonoma. Nel 2004 è entrata a far parte dell'Unione Europea e dal 1° Gennaio del 2008 ha adottato l'euro come moneta nazionale.
I radicali liberi forse sono un beneficio
I radicali liberi sono da sempre considerati pericolosi per la salute: la loro elevata reattività li rende infatti uno dei principali fattori di danno cellulare. Ma queste molecole potrebbero celare anche un lato “buono”: a suggerirlo è uno studio pubblicato sulle pagine di Nature Cell Biology, in cui ricercatori dell’Università di Manchester dimostrano come le specie reattive dell’ossigeno (chiamate anche ROS, dall’inglese Reactive Oxygen Species) siano fondamentali per la rigenerazione dei tessuti nei girini e permettano loro di far ricrescere la coda quando questa viene amputata.
La capacità di anfibi, salamandre e lucertole di far ricrescere tessuti amputati è da sempre oggetto di curiosità (e forse anche invidia) da parte degli scienziati.
Se, ad esempio, un girino perde la coda, una nuova crescerà nel giro di appena una settimana: una capacità rigenerativa che noi uomini nemmeno ci sogniamo! Con lo studio pubblicato su Nature Cell Biology, il team di Enrique Amaya hanno scoperto che nei girini tra le molecole più importanti per la riparazione di un tessuto danneggiato vi sono proprio le temutissime ROS. Già in passato lo stesso gruppo di ricercatori aveva fatto una scoperta curiosa: studiando il processo di rigenerazione a livello genetico, gli scienziati avevano scoperto che tra i geni più attivati vi sono quelli coinvolti nella produzione di specie reattive dell’ossigeno.
Come indica il nome stesso, le ROS sono molecole molto attive dal punto di vista chimico: una caratteristica che permette loro di reagire facilmente con altre componenti cellulari (come ad esempio le proteine): un’interazione pericolosa, che spesso si traduce con l’ossidazione delle molecole che malauguratamente hanno interagito con le ROS. Il risultato è, il più delle volte, un danno alla molecola e, nei casi più estesi, a tutta la cellula. Radicali liberi: non tutto il male viene per nuocere
Ma se queste ROS sono così pericolose, perché verrebbero prodotte in grandi quantità quando un tessuto cerca di rigenerarsi?
Per assicurarsi che questo fosse vero (e per confermare i dati ottenuti a livello genetico), il gruppo guidato da Enrique Amaya ha misurato nei tessuti i livelli di perossido di idrogeno (una comune specie reattiva dell’ossigeno presente all’interno delle cellule) utilizzando una sonda fluorescente: con questo stratagemma gli scienziati hanno dimostrato che i livelli di ROS aumentano in modo significativo quando la coda dei girini viene amputata.
Fatto ancora più interessante, le ROS rimangono presenti ad alte concentrazioni per tutta la durata della rigenerazione del tessuto.
Per dimostrare che la presenza di ROS è fondamentale al processo di rigenerazione, i ricercatori hanno poi svolto gli esperimenti in condizioni che limitano la formazione di specie reattive dell’ossigeno.
In presenza di anti-ossidanti, ad esempio, il processo di rigenerazione è fallito e la coda del girino non è ricresciuta: la prova del nove di come la presenza di ROS sia indispensabile per iniziare e sostenere la rigenerazione dei tessuti danneggiati.
«É stato sorprendente vedere come gli antiossidanti avessero nel nostro studio un effetto tanto negativo sulla ricrescita dei tessuti», commenta Enrique Amaya.
Tanto più sorprendente quanto più pensiamo al fatto che, ad oggi, gli anti-ossidanti si ritiene abbiano un impatto positivo sulla salute.
Questo studio sembra quindi spingere verso un cambiamento radicale nel modo in cui guardiamo a ROS e anti-ossidanti: come accade spesso in biologia, non è più una semplice questione di “buoni” (gli anti-ossidanti) contro i “cattivi” (le specie reattive dell’ossigeno).
Il quadro sembrerebbe più complesso e in futuro dovremo forse abituarci a pensare, anche nel caso degli anti-ossidanti, al rapporto tra aspetti benefici e negativi.
Il lato buono dei radicali liberi
Ma questo è solo il primo passo per comprendere il “lato buono” dei radicali liberi. Perché la scoperta possa avere una ricaduta sulla medicina rigenerativa, i risultati del gruppo di Amaya dovranno prima essere verificati nell’uomo. Impresa non facile, visto che i nostri tessuti hanno capacità rigenerative molto più limitate rispetto a quelle degli anfibi.
Indipendentemente dall’impatto che questi esperimenti avranno sulla salute umana, lo studio condotto allo Healing Foundation Centre rappresenta però un importate prova di principio e dimostra che in natura non esistono “buoni” e “cattivi”, ma esistono – questo sì – forze o processi che possono, a seconda dei casi, spingere in direzioni diverse. Il processo finale allora non è che il rapporto tra le due forze e se il risultato netto sarà positivo o negativo dipende in gran parte dal contesto in cui si attua.
di Lara Rossi
La capacità di anfibi, salamandre e lucertole di far ricrescere tessuti amputati è da sempre oggetto di curiosità (e forse anche invidia) da parte degli scienziati.
Se, ad esempio, un girino perde la coda, una nuova crescerà nel giro di appena una settimana: una capacità rigenerativa che noi uomini nemmeno ci sogniamo! Con lo studio pubblicato su Nature Cell Biology, il team di Enrique Amaya hanno scoperto che nei girini tra le molecole più importanti per la riparazione di un tessuto danneggiato vi sono proprio le temutissime ROS. Già in passato lo stesso gruppo di ricercatori aveva fatto una scoperta curiosa: studiando il processo di rigenerazione a livello genetico, gli scienziati avevano scoperto che tra i geni più attivati vi sono quelli coinvolti nella produzione di specie reattive dell’ossigeno.
Come indica il nome stesso, le ROS sono molecole molto attive dal punto di vista chimico: una caratteristica che permette loro di reagire facilmente con altre componenti cellulari (come ad esempio le proteine): un’interazione pericolosa, che spesso si traduce con l’ossidazione delle molecole che malauguratamente hanno interagito con le ROS. Il risultato è, il più delle volte, un danno alla molecola e, nei casi più estesi, a tutta la cellula. Radicali liberi: non tutto il male viene per nuocere
Ma se queste ROS sono così pericolose, perché verrebbero prodotte in grandi quantità quando un tessuto cerca di rigenerarsi?
Per assicurarsi che questo fosse vero (e per confermare i dati ottenuti a livello genetico), il gruppo guidato da Enrique Amaya ha misurato nei tessuti i livelli di perossido di idrogeno (una comune specie reattiva dell’ossigeno presente all’interno delle cellule) utilizzando una sonda fluorescente: con questo stratagemma gli scienziati hanno dimostrato che i livelli di ROS aumentano in modo significativo quando la coda dei girini viene amputata.
Fatto ancora più interessante, le ROS rimangono presenti ad alte concentrazioni per tutta la durata della rigenerazione del tessuto.
Per dimostrare che la presenza di ROS è fondamentale al processo di rigenerazione, i ricercatori hanno poi svolto gli esperimenti in condizioni che limitano la formazione di specie reattive dell’ossigeno.
In presenza di anti-ossidanti, ad esempio, il processo di rigenerazione è fallito e la coda del girino non è ricresciuta: la prova del nove di come la presenza di ROS sia indispensabile per iniziare e sostenere la rigenerazione dei tessuti danneggiati.
«É stato sorprendente vedere come gli antiossidanti avessero nel nostro studio un effetto tanto negativo sulla ricrescita dei tessuti», commenta Enrique Amaya.
Tanto più sorprendente quanto più pensiamo al fatto che, ad oggi, gli anti-ossidanti si ritiene abbiano un impatto positivo sulla salute.
Questo studio sembra quindi spingere verso un cambiamento radicale nel modo in cui guardiamo a ROS e anti-ossidanti: come accade spesso in biologia, non è più una semplice questione di “buoni” (gli anti-ossidanti) contro i “cattivi” (le specie reattive dell’ossigeno).
Il quadro sembrerebbe più complesso e in futuro dovremo forse abituarci a pensare, anche nel caso degli anti-ossidanti, al rapporto tra aspetti benefici e negativi.
Il lato buono dei radicali liberi
Ma questo è solo il primo passo per comprendere il “lato buono” dei radicali liberi. Perché la scoperta possa avere una ricaduta sulla medicina rigenerativa, i risultati del gruppo di Amaya dovranno prima essere verificati nell’uomo. Impresa non facile, visto che i nostri tessuti hanno capacità rigenerative molto più limitate rispetto a quelle degli anfibi.
Indipendentemente dall’impatto che questi esperimenti avranno sulla salute umana, lo studio condotto allo Healing Foundation Centre rappresenta però un importate prova di principio e dimostra che in natura non esistono “buoni” e “cattivi”, ma esistono – questo sì – forze o processi che possono, a seconda dei casi, spingere in direzioni diverse. Il processo finale allora non è che il rapporto tra le due forze e se il risultato netto sarà positivo o negativo dipende in gran parte dal contesto in cui si attua.
di Lara Rossi
Euro si....Euro no Conviene si o no... non lo sa nessuno
Euro o non euro that is the question.
Se poi nemmeno i responsabili delle più importanti istituzioni europee dimostrano di non conoscere a fondo i meccanismi che, teoricamente, dovrebbero regolare la moneta unica.
Il dilemma sussiste eccome.
-Il governatore della BCE, Mario Draghi, afferma che l’ingresso di un paese nella moneta unica sarebbe un atto irreversibile.
-Il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, di contro lo definisce invece tecnicamente possibile.
-La Commissione europea, che definisce irrevocabile l’euro, citando (a sproposito) l’articolo 140, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Dimenticando che il suddetto articolo si riferisca solo alla «fissazione irrevocabile del tasso al quale l’euro subentra alla moneta di uno Stato membro».
Ciò significa semplicemente che un euro varrà sempre 1.936,27 lire, tasso di cambio definito all'ingresso del nostro paese nella moneta unica, non cita minimamente che sia vietato abbandonarla.
Di fatto,della decisione di un paese di uscire o no dall’euro per tornare al vecchio conio, non v'è citazione in nessun trattato,in nessun accordo se poi ci sono stati accordi verbali come si dice "Verba volant, scripta manent"
Alla luce di ciò,l’UE dovrebbe responsabilmente ammettere che l’attuale crisi economica è figlia dei fallimentari trattati, che fanno acqua da tutte le parti.(Anche il Titanic era definito L'inaffondabile).
Vi è un vuoto normativo di portata abnorme .
La confusione regni sovrana quando si parla di euro.
Ad aprile Morganti (Deputato europeo) fa un'interrogazione alla Commissione Europea "come mai dice l’ipotesi di uscita dall’euro di uno stato non è contemplata nei trattati di adesione?".
"I trattati europei prevedono che gli Stati membri possano uscire dall’Unione, ma non specificano nulla in merito alla possibilità che un paese UE abbandoni la moneta unica".
Dopo mesi,arriva finalmente la risposta.
Delirante, spocchiosa e sopratutto non consona
"L’irrevocabilità dell’adesione alla zona euro è parte integrante del trattato e la Commissione, in qualità di custode dei trattati dell’UE, intende rispettare pienamente questo principio".
L’europarlamentare del Carroccio Morganti rimane basito (questa risposta non chiarisce la domanda) e presenta un’altra interrogazione urgente alla Commissione, chiedendo
"dove si faccia riferimento a tale irrevocabilità, e inoltre cosa accadrebbe se uno dei paesi dell’Eurozona decidesse di uscire dall’Ue, secondo l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea?
Sarebbe comunque costretto a mantenere l’euro, pur non facendo più parte dell’Unione?".
Risposta del vicepresidente della Commissione Europea, Olli Rehn: "L’irrevocabilità della partecipazione all’area dell’euro è parte integrante dei trattati ed è sancita dall’articolo 140, paragrafo 3, del Tfue.
I trattati non indicano alcuna procedura di abbandono dell’euro.
Viste queste premesse, l’adozione della moneta unica va intesa come una decisione irrevocabile.
Nella sua veste di custode dei trattati, la Commissione rispetta appieno tale principio e non ipotizza pertanto scenari in cui è messa in dubbio l’adesione all’area dell’euro.
Se uno Stato membro dell’area dell’euro decidesse di uscire dall’Unione europea in virtù delle disposizioni dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea - prosegue Rehn - porrebbe termine anche alla partecipazione alla moneta unica».
Parrebbe una risposta esaustiva e chiarificatrice . E invece no. perché il vicepresidente della Commissione europea o non sa leggere o non capisce ciò che legge. Il famoso articolo 140/3, repetita juvant, dice semplicemente che "...il Consiglio, deliberando all’unanimità degli Stati membri la cui moneta è l’euro e dello Stato membro in questione, su proposta della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, fissa irrevocabilmente il tasso al quale l’euro subentra alla moneta dello Stato membro in questione e prende le altre misure necessarie per l’introduzione dell’euro come moneta unica nello Stato membro interessato». Insomma, l’unica cosa irrevocabile, come ripetuto più volte, è il tasso di cambio tra l’euro e la moneta originaria dello stato aderente.
(TASSO DI CAMBIO Sig Rehn non euro)
Mario Draghi interpellato non ha citato articoli dei trattati (che tra l'altro non hanno alcuna attinenza con l’irreversibilità della moneta unica) ma si è limitato a dichiarare che “i trattati non dicono quello che uno Stato può o non può fare”, e che a lui “non interessa speculare su ciò che essi dicono o non dicono”».
Dalle affermazioni di Rehn si deduce invece che, se uno Stato membro decidesse di uscire dall’Eurozona, dovrebbe recedere necessariamente anche dall’Unione.
La non chiarezza dei trattati europei, interpretabili (a seconda dei casi)l'inadeguatezza di certi articoli a rappresentare i bisogni dei singoli stati la scarsa democraticità di questa zavorra chiamata Europa porterà tutti alla deriva.
Conclusione Come funziona questo meccanismo dell’euro? quelli che lo hanno inventato non lo sanno.
A tal proposito nel 2011 l'inglese Simon Wolfson, barone di Aspley Guise,(da notare che l'Inghilterra è fuori dall’Eurozona) ha messo in palio 250mila sterline a chi avesse scovato opzioni praticabili per mollare la moneta unica.(ha ancora i suoi soldi in tasca)
Uscire si può, ma parrebbe non convenire. Perché l’euro è una specie di contratto capestro.
Questo è quanto affermano alcuni economisti (collusi?)
Altri dicono esattamente il contrario (ottimisti?)
Posteris iudicabo ai posteri l'ardua sentenza
Se poi nemmeno i responsabili delle più importanti istituzioni europee dimostrano di non conoscere a fondo i meccanismi che, teoricamente, dovrebbero regolare la moneta unica.
Il dilemma sussiste eccome.
-Il governatore della BCE, Mario Draghi, afferma che l’ingresso di un paese nella moneta unica sarebbe un atto irreversibile.
-Il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, di contro lo definisce invece tecnicamente possibile.
-La Commissione europea, che definisce irrevocabile l’euro, citando (a sproposito) l’articolo 140, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Dimenticando che il suddetto articolo si riferisca solo alla «fissazione irrevocabile del tasso al quale l’euro subentra alla moneta di uno Stato membro».
Ciò significa semplicemente che un euro varrà sempre 1.936,27 lire, tasso di cambio definito all'ingresso del nostro paese nella moneta unica, non cita minimamente che sia vietato abbandonarla.
Di fatto,della decisione di un paese di uscire o no dall’euro per tornare al vecchio conio, non v'è citazione in nessun trattato,in nessun accordo se poi ci sono stati accordi verbali come si dice "Verba volant, scripta manent"
Alla luce di ciò,l’UE dovrebbe responsabilmente ammettere che l’attuale crisi economica è figlia dei fallimentari trattati, che fanno acqua da tutte le parti.(Anche il Titanic era definito L'inaffondabile).
Vi è un vuoto normativo di portata abnorme .
La confusione regni sovrana quando si parla di euro.
Ad aprile Morganti (Deputato europeo) fa un'interrogazione alla Commissione Europea "come mai dice l’ipotesi di uscita dall’euro di uno stato non è contemplata nei trattati di adesione?".
"I trattati europei prevedono che gli Stati membri possano uscire dall’Unione, ma non specificano nulla in merito alla possibilità che un paese UE abbandoni la moneta unica".
Dopo mesi,arriva finalmente la risposta.
Delirante, spocchiosa e sopratutto non consona
"L’irrevocabilità dell’adesione alla zona euro è parte integrante del trattato e la Commissione, in qualità di custode dei trattati dell’UE, intende rispettare pienamente questo principio".
L’europarlamentare del Carroccio Morganti rimane basito (questa risposta non chiarisce la domanda) e presenta un’altra interrogazione urgente alla Commissione, chiedendo
"dove si faccia riferimento a tale irrevocabilità, e inoltre cosa accadrebbe se uno dei paesi dell’Eurozona decidesse di uscire dall’Ue, secondo l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea?
Sarebbe comunque costretto a mantenere l’euro, pur non facendo più parte dell’Unione?".
Risposta del vicepresidente della Commissione Europea, Olli Rehn: "L’irrevocabilità della partecipazione all’area dell’euro è parte integrante dei trattati ed è sancita dall’articolo 140, paragrafo 3, del Tfue.
I trattati non indicano alcuna procedura di abbandono dell’euro.
Viste queste premesse, l’adozione della moneta unica va intesa come una decisione irrevocabile.
Nella sua veste di custode dei trattati, la Commissione rispetta appieno tale principio e non ipotizza pertanto scenari in cui è messa in dubbio l’adesione all’area dell’euro.
Se uno Stato membro dell’area dell’euro decidesse di uscire dall’Unione europea in virtù delle disposizioni dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea - prosegue Rehn - porrebbe termine anche alla partecipazione alla moneta unica».
Parrebbe una risposta esaustiva e chiarificatrice . E invece no. perché il vicepresidente della Commissione europea o non sa leggere o non capisce ciò che legge. Il famoso articolo 140/3, repetita juvant, dice semplicemente che "...il Consiglio, deliberando all’unanimità degli Stati membri la cui moneta è l’euro e dello Stato membro in questione, su proposta della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, fissa irrevocabilmente il tasso al quale l’euro subentra alla moneta dello Stato membro in questione e prende le altre misure necessarie per l’introduzione dell’euro come moneta unica nello Stato membro interessato». Insomma, l’unica cosa irrevocabile, come ripetuto più volte, è il tasso di cambio tra l’euro e la moneta originaria dello stato aderente.
(TASSO DI CAMBIO Sig Rehn non euro)
Mario Draghi interpellato non ha citato articoli dei trattati (che tra l'altro non hanno alcuna attinenza con l’irreversibilità della moneta unica) ma si è limitato a dichiarare che “i trattati non dicono quello che uno Stato può o non può fare”, e che a lui “non interessa speculare su ciò che essi dicono o non dicono”».
Dalle affermazioni di Rehn si deduce invece che, se uno Stato membro decidesse di uscire dall’Eurozona, dovrebbe recedere necessariamente anche dall’Unione.
La non chiarezza dei trattati europei, interpretabili (a seconda dei casi)l'inadeguatezza di certi articoli a rappresentare i bisogni dei singoli stati la scarsa democraticità di questa zavorra chiamata Europa porterà tutti alla deriva.
Conclusione Come funziona questo meccanismo dell’euro? quelli che lo hanno inventato non lo sanno.
A tal proposito nel 2011 l'inglese Simon Wolfson, barone di Aspley Guise,(da notare che l'Inghilterra è fuori dall’Eurozona) ha messo in palio 250mila sterline a chi avesse scovato opzioni praticabili per mollare la moneta unica.(ha ancora i suoi soldi in tasca)
Uscire si può, ma parrebbe non convenire. Perché l’euro è una specie di contratto capestro.
Questo è quanto affermano alcuni economisti (collusi?)
Altri dicono esattamente il contrario (ottimisti?)
Posteris iudicabo ai posteri l'ardua sentenza