martedì 15 gennaio 2013
Un amore per sempre: Jeanne e Modì
Della tormentata vita di Amedeo Modigliani pochi conoscono la storia dell’amore disperato fra lui e Jeanne Hébuterne, la giovane donna che gli rimase accanto negli ultimi tre anni e da cui ebbe una figlia ed unica erede. Di questa ragazza, innamorata e devota fino all’estremo, non si è saputo quasi nulla per ottant’anni, quando - nel 2000 - i discendenti delle due famiglie hanno consentito di rivelare i particolari di una vicenda che, i Modigliani in Italia e gli Hébuterne in Francia, avevano continuato a considerare imbarazzante.
Delle numerose donne che erano entrate ed uscite nella vita dell’artista livornese, Jeanne fu l’ultima e la più importante, anche come modella della sua pittura essendo stata ritratta in una ventina di quadri e in innumerevoli disegni.
Nata a Parigi il 16 aprile 1898, la giovane sembrava incarnare perfettamente l’ideale di bellezza femminile che Modì rappresentava nei suoi dipinti; con quei suoi capelli dai riflessi ramati, gli occhi di un azzurro chiarissimo e lievemente strabici, la carnagione talmente bianca da sembrare quasi diafana. Anche lei dipingeva con talento e grande sensibilità, celando un mondo interiore così intenso da farla apparire schiva e riservata. Restava spesso silenziosa e in disparte, ma osservava attentamente e sceglieva.
Non le sfuggì quell’affascinante pittore italiano, bello e conteso dalle donne, convinto maschilista il quale dava per scontato di portarsi a letto tutte le modelle che posavano per lui. Nell’autunno del 1916 Jeanne, appena diciottenne, riusci a farsi presentare a Modigliani che aveva appena concluso la turbolenta relazione con Beatrice Hastings, una volitiva scrittrice sudafricana con la quale aveva condiviso per due anni, oltre al letto, l’interesse per l’occultismo e l’alcool.
Dopo quella presentazione, Jeanne acconsentì di diventare l’amante di Modigliani solo nella primavera del 1917, ma trovò nei suoi un’opposizione radicale e furibonda: casalinga e bigotta la madre, contabile di un negozio il padre, i genitori non tolleravano che la figlia frequentasse quell’ebreo italiano spiantato, di 14 anni più vecchio di lei e dalla torbida fama di donnaiolo alcolizzato. Fu cacciata da casa e abbandonata al suo destino, soprattutto dal perbenismo ipocrita della madre che le chiuse per sempre la porta in faccia. In quel periodo in cui inizia la loro relazione, il pittore viveva in un hotel modesto e non riceveva più l’assegno mensile che la famiglia benestante gli inviava da Livorno. Jeanne e Modì cominciarono a convivere all’insegna della povertà e dell’arte, traslocando a Montparnasse in un’abitazione umida e fatiscente di rue de la Grande-Chaumiere.
Trascorrevano gran parte delle loro giornate dipingendo, l’uno di fronte all’altro, ma le condizioni di salute di Modì si facevano sempre più critiche per la tubercolosi che lo tormentava da tempo, una malattia progressivamente aggravatasi per l’impossibilità, allora, di curarla adeguatamente e per la vita dissipata che aveva condotto nei suoi anni parigini.
Su insistenza del comune amico e mercante polacco Zborowski, i due amanti si trasferiscono in Costa Azzurra alla ricerca di un clima più mite e soleggiato che possa alleviare le condizioni critiche dell’artista e migliorarne la salute. Siamo agli inizi del 1918 e Jeanne scopre di essere incinta di una bambina che darà alla luce, a Nizza, il 29 novembre di quell’anno.
Vollero chiamarla con lo stesso nome della mamma, ma solo molti anni dopo la morte dei genitori le sarà riconosciuto, dai tribunali, il diritto di chiamarsi Jeanne Modigliani e di esserne l’unica erede. Il 31 maggio 1919 il pittore è di nuovo a Parigi, dove un mese dopo lo raggiunge Jeanne con la piccola, rivelandogli di essere nuovamente incinta.
La malattia di Modì e gli stenti che continuano ad assillare la loro esistenza non ne intaccano il rapporto sentimentale, l’amore si fa sempre più intenso e appassionato, mentre Jeanne continua a disegnare o dipingere incessantemente e il compagno la ritrae in una serie di opere tra le più suggestive ed ispirate dell’ultimo periodo.
Per il suo temperamento riservato e silenzioso sappiamo che Jeanne non era benvoluta, né stimata dagli amici di Modì che la consideravano poco brillante e dal carattere insignificante.
In realtà la ragazza era circondata da persone molto più grandi di lei e, forse, intimidita dalla personalità forte ed esuberante di alcuni di loro che sarebbero diventati fra i protagonisti dell’Arte moderna. Basterebbe citare, fra gli amici e conoscenti, Pablo Picasso ed il suo rapporto conflittuale con Modigliani per comprendere l’imbarazzata timidezza di una ventenne.
Agli inizi del nuovo anno, le condizioni di salute dell’artista vanno peggiorando rapidamente. Una sera svenne per strada e fu riportato a casa ubriaco e febbricitante. Jeanne, completamente sola e disperata, restò per una settimana accanto al letto del suo uomo, senza mai muoversi, indebolita dalla fame, dalla seconda gravidanza e dal gelo di quella casa priva di riscaldamento. Devastato dal ‘delirium tremens’ e dalla febbre altissima per una sopraggiunta meningite tubercolare, il 22 gennaio 1920 Modigliani viene ricoverato, ormai in coma ed in condizioni disperate, all’ospedale parigino della ‘Carità’ dove muore due giorni dopo senza aver ripreso conoscenza.
Jeanne, entrata nel nono mese di gravidanza, non regge al dolore per la perdita del suo unico amore e ventiquattr’ore dopo si suicida, gettandosi alle tre di notte dalla finestra di casa al quinto piano.
Fu sepolta alle otto del mattino di una fredda giornata di gennaio al Bagneux, un cimitero di periferia, senza che la notizia di quel funerale – vergognoso per la famiglia – venisse comunicata ad alcuno. Pare addirittura che, in un primo momento, i genitori ne rifiutassero il cadavere e fu solo il fratello André ad occuparsi in gran segreto della sua anonima sepoltura. Di certo gli Hébuterne, ancora convinti che quell’unione fosse stata scandalosa, rifiutarono che la figlia riposasse accanto all’amato compagno. Il giorno prima, alle due del pomeriggio del 27 gennaio, si erano svolti – tra una grande folla - i funerali di Modì che fu inumato al cimitero di Père Lachaise con un gran seguito di pittori, poeti, intellettuali ed amici.
Tuttavia dovettero passare otto anni, prima che Jeanne venisse traslata e seppellita - come avrebbe desiderato - accanto al suo uomo, al padre della sua unica figlia.
Ma l’epitaffio sulla tomba, ancora oggi, li separa nettamente nei ruoli sociali che si volle loro attribuire; per lui la scritta recita “Colpito dalla morte nel momento della gloria”; per lei un anonimo “Devota compagna fino all’estremo sacrificio”.
La piccola Jeanne, di appena 14 mesi, non venne riconosciuta dagli Hébuterne e fu praticamente adottata dalla sorella del pittore, Margherita Modigliani, che la condusse a Livorno dove dedicherà la vita a raccogliere documenti sull’arte del padre, diventandone la principale biografa fino alla sua morte nel 1984. Si era cercato in tutti i modi da parte delle due famiglie, zia Margherita in testa, di cancellare dalla memoria - della bimba prima e della donna poi – il ricordo di sua madre occultando le lettere, i disegni e i quadri di Jeanne rivelati al pubblico – come detto – solo nel 2000.
La nascita della scrittura in Mesopotamia
La Mesopotamia è da considerarsi la culla della civiltà umana.
Qui sorge la scrittura, lo studio dell'astronomia, gli ordinamenti politico-sociali, il codice di Hammurabi ecc. Della letteratura mesopotamica abbiamo già parlato. Ci soffermiamo ora sulla scrittura.
I popoli mesopotamici introducono l'utilizzo della scrittura usando caratteri cuneiformi (a forma di cunei). A differenza degli antichi egizi la scrittura mesopotamica è sillabica e non ideografica. E' un grande passo in avanti per la storia della comunicazione e per l'evoluzione del sapere umano. L'invenzione della scrittura sillabica ha consentito ai popoli della Mesopotamia di organizzare la conoscenza in archivi e tramandare documenti storici nel tempo.
Inoltre, essendo più facile di quella ideografica, la scrittura sillabica fa venire meno il ruolo di casta degli scribi egiziani, aprendo le porte della scrittura a tutti. Oltre all'invenzione della scrittura sillabica ha grande importanza anche il suo supporto. Gli scritti sono realizzati su tavolette d'argilla, molto più pratiche ed economiche del papiro egiziano.
La scrittura cuneiforme è stata decifrata per la prima volta nella prima metà del XIX secolo dal tedeco Georg Grotefend, il quale porta a termine la traduzione dell'iscrizione trilingue di Behistun rinvenuta nel 1835 durante alcuni scavi archeologici.
La produzione letteraria Dal punto di vista letterario la scrittura cuneiforme consente la produzione dei primi poemi della storia, nasce un rapporto diretto tra la fantasia e la creatività soggettiva dello scrittore e l'elaborato scritto.
La scrittura consente anche una migliore organizzazione degli archivi di Stato e una maggiore efficienza nella gestione della cosa pubblica e delle attività economiche, della raccolta dei tributi, del commercio ecc.
Perchè la scrittura nasce in Mesopotami
Non è un caso che la scrittura sillabica sia nata in Mesopotamia e non in Egitto.
I popoli mesopotamici stanziati tra il Tigri e l'Eufrate non godono di barriere naturali. La pianura mesopotamica è il crocevia dei popoli da nord, da oriente e da occidente.
Inoltre, la Mesopotamia è caratterizzata dalla presenza di città-Stato per lo più indipendenti tra loro e con fiorenti scambi commerciali. Il contatto diretto con etnie diverse, altre città e altri popoli agevola la pratica del commercio, di cui i mesopotamici sono veri e propri maestri.
L'esigenza di 'tenere il conto' delle merci e degli affari spinge alla ricerca di una scrittura più semplificata rispetto a quella ideografica.
Dalla stessa necessità trovano linfa anche le scienze come la matematica e la geometria.
In Mesopotamia si usa indifferentemente il sistema matematico decimale e sessagesimale. Dagli strumenti matematici beneficiano anche altre scienze come l'astronomia, l'idraulica e l'ingegneria.
Il pungi
Il pungi indiano è noto a noto per essere lo strumento degli incantatori di serpenti e condivide con lo sheng molte caratteristiche costruttive.
Le origini di questo strumento si perdono nella notte dei tempi. Le ance nel pungi sono realizzate
direttamente su ciascuna sulle due canne all’ interno nella zucca e vengono eccitate dal soffio che si
raccoglie nella zucca stessa nella quale il musicista soffia direttamente utilizzando le guance come riserva d’aria.
Il musicista utilizza la respirazione circolare per non interrompere mai la musica e non rischiare di
perdere l’ attenzione del serpente che viene in qualche modo rapito dal suono e dal movimento delle canne.
Una canna funge da chanter e l’altra, più o meno lunga, funge da bordone con due fori, di cui uno solo viene
usato aperto e chiuso, ma realtà viene utilizzato più che altro per dare vita ad abbellimenti.
Le origini di questo strumento si perdono nella notte dei tempi. Le ance nel pungi sono realizzate
direttamente su ciascuna sulle due canne all’ interno nella zucca e vengono eccitate dal soffio che si
raccoglie nella zucca stessa nella quale il musicista soffia direttamente utilizzando le guance come riserva d’aria.
Il musicista utilizza la respirazione circolare per non interrompere mai la musica e non rischiare di
perdere l’ attenzione del serpente che viene in qualche modo rapito dal suono e dal movimento delle canne.
Una canna funge da chanter e l’altra, più o meno lunga, funge da bordone con due fori, di cui uno solo viene
usato aperto e chiuso, ma realtà viene utilizzato più che altro per dare vita ad abbellimenti.
Il cambiamento
"La vita assomiglia a uno scrittore che ha il compito di creare problemi,disseminando imprevisti e crepe lungo il cammino del protagonista per sollecitarlo a cambiare.
Il cambiamento e' uno sforzo immane che si affronta quando non si ha più niente da perdere oppure quando la passione per un amore o un progetto è talmente potente da sovrastare la voce paura......"
Massimo Gramellini
La bici "inghiottita" dall'albero
Oltre cinquant’anni fa un ragazzino dello stato di Washington lasciò la sua bicicletta vicino a un albero. Andò a fare un giro con gli amici e al suo ritorno non la trovò più. Ora, trascorso quasi mezzo secolo, quella bici è ricomparsa: è stata inghiottita dall’albero , letteralmente.
È un’opera d’arte come solo madre natura è in grado di creare. Le immagini di una bici oramai arrugginita, cresciuta dentro un albero, hanno fatto il giro di internet. È quasi intatta; la ruota anteriore gira ancora.
Il blog Discover Washington State aveva raccontato la storia già un anno fa, ora è stata ripresa dalle tv Usa e quel luogo, d'improvviso, è diventato un'attrazione locale.
«Helen Puz, 99 anni di Vashion Island, è rimasta di sasso quando ha visto la foto sul giornale locale», aveva scritto Discover Washington State. Il motivo: si trattava proprio della bici che il figlio di otto anni Don aveva perso nel lontano 1954.
«In quell’anno,» aveva spiegato la donna, «era morto mio marito e i vicini e l’intera comunità ci sostennero con diversi regali; ricevemmo anche una bici da una bimba, perfetta per mio figlio.» Meno contento di dover girare sull’isola, tra Seattle e Tacoma, con una bici da ragazza era evidentemente il figlio Don, che un giorno tornò a casa spiegando alla madre di aver perso quella bicicletta.
Nel frattempo «l'albero che mangia la bici» è stato anche spunto d’ispirazione per un film documentario in Giappone.
Le aurore polari
L'aurora polare, spesso denominata aurora boreale o australe a seconda dell'emisfero in cui si verifica, è un fenomeno ottico dell'atmosfera terrestre caratterizzato principalmente da bande luminose di colore rosso-verde-azzurro, detti archi aurorali. Le aurore possono comunque manifestarsi con un'ampia gamma di forme e colori, rapidamente mutevoli nel tempo e nello spazio.
Il fenomeno è causato dall'interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) di origine solare (vento solare) con la ionosfera terrestre. A causa della geometria del campo magnetico terrestre, le aurore sono visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra. Le aurore visibili ad occhio nudo sono prodotte dagli elettroni, mentre quelle di protoni possono essere osservate solo con l'ausilio di particolari strumenti, sia da terra sia dallo spazio.
L'origine dell'aurora si trova a 149 milioni di km dalla Terra, cioè sul Sole. La comparsa di un grande gruppo di macchie solari è la prima avvisaglia di una attività espulsiva di massa coronale intensa. Le particelle energetiche emesse dal Sole viaggiano nello spazio formando il vento solare. Questo si muove attraverso lo spazio interplanetario (e quindi verso la Terra, che può raggiungere in 50 ore) con delle velocità tipicamente comprese tra i 400 e gli 800 km/s, trascinando con sé parte del campo magnetico solare (campo magnetico interplanetario). Il vento solare, interagendo con il campo magnetico terrestre detto anche magnetosfera, lo distorce creando una sorta di "bolla" magnetica, di forma simile ad una cometa.
La magnetosfera terrestre funziona come uno scudo, schermando la Terra dall'impatto diretto delle particelle cariche (plasma) che compongono il vento solare.il plasma del vento solare può penetrare dentro la magnetosfera e, dopo complessi processi di accelerazione, interagire con la ionosfera terrestre, depositando immense quantità di protoni ed elettroni nell'alta atmosfera, e dando luogo, in tal modo, al fenomeno delle aurore.
Il fenomeno è causato dall'interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) di origine solare (vento solare) con la ionosfera terrestre. A causa della geometria del campo magnetico terrestre, le aurore sono visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra. Le aurore visibili ad occhio nudo sono prodotte dagli elettroni, mentre quelle di protoni possono essere osservate solo con l'ausilio di particolari strumenti, sia da terra sia dallo spazio.
L'origine dell'aurora si trova a 149 milioni di km dalla Terra, cioè sul Sole. La comparsa di un grande gruppo di macchie solari è la prima avvisaglia di una attività espulsiva di massa coronale intensa. Le particelle energetiche emesse dal Sole viaggiano nello spazio formando il vento solare. Questo si muove attraverso lo spazio interplanetario (e quindi verso la Terra, che può raggiungere in 50 ore) con delle velocità tipicamente comprese tra i 400 e gli 800 km/s, trascinando con sé parte del campo magnetico solare (campo magnetico interplanetario). Il vento solare, interagendo con il campo magnetico terrestre detto anche magnetosfera, lo distorce creando una sorta di "bolla" magnetica, di forma simile ad una cometa.
La magnetosfera terrestre funziona come uno scudo, schermando la Terra dall'impatto diretto delle particelle cariche (plasma) che compongono il vento solare.il plasma del vento solare può penetrare dentro la magnetosfera e, dopo complessi processi di accelerazione, interagire con la ionosfera terrestre, depositando immense quantità di protoni ed elettroni nell'alta atmosfera, e dando luogo, in tal modo, al fenomeno delle aurore.