venerdì 16 novembre 2012
La mente intuitiva e la mente razionale
"La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono"
Albert Einstein
Campi Flegrei -Campania
Con il nome Campi Flegrei si indica attualmente l'ampia zona vulcanica posta a Nord-Ovest della città di Napoli.
Quest'area presenta la forma tipica delle strutture vulcaniche chiamate caldere e consiste in una depressione quasi circolare punteggiata da numerosi coni vulcanici.
Non si conosce con esattezza l'inizio dell'attività vulcanica nei Campi Flegrei.
I prodotti più antichi sono datati fra 47.000 e 37.000 anni fa e consistono nei duomi di lava di Cuma e Punta della Marmolite.
Le perforazioni effettuate per lo scavo di pozzi geotermici hanno evidenziato in profondità la presenza di altri prodotti derivanti da una precedente attività sub-aerea e sottomarina. La morfologia dell'area e lo sviluppo della sua attività eruttiva sono state condizionate da due grandi eruzioni avvenute intorno a 34000 e 12000 anni fa.
Queste eruzioni hanno lasciato vasti depositi chiamati, rispettivamente, Ignimbrite Campana e Tufo Giallo Napoletano
L'Ignimbrite Campana
è formata dal deposito di uno o più flussi piroclastici di cenere, pomici e scorie che hanno ricoperto un'area di 7.000 km2. Il volume di magma emesso è stato stimato dell'ordine di 80 km3. Le datazioni attualmente disponibili, effettuate sia su paleosuoli sottostanti il deposito sia su legni carbonizzati inglobati in esso, danno età discordanti che hanno contribuito a far nascere differenti pareri sulla possibilità che i prodotti siano stati emessi durante una o più eruzioni. L'Ignimbrite Campana affiora lungo i bordi di tutta la piana campana, con spessori variabili da 20 a 60 metri e si trova fino in Appennino a quote di 1.000 m. Manca nella parte centrale della piana, sia per erosione, sia perché ricoperta dai prodotti dell'attività successiva di Campi Flegrei e Vesuvio e da terreni alluvionali. L'attività dopo l'eruzione dell'Ignimbrite Campana
Dopo l'eruzione dell'Ignimbrite Campana, l'attività vulcanica si localizza al Vesuvio e tra la zona occupata dall'attuale città di Napoli e l'isola di Procida. Procida e Monte di Procida L'attività vulcanica avvenuta sull'isola di Procida è strettamente legata a quella verificatasi nella parte occidentale dei Campi Flegrei (Monte di Procida), da cui dista soli due km.
In questo settore, le eruzioni avvennero fra 40.000 e 14.000 anni fa, epoche che corrispondono rispettivamente all'età dei prodotti di Vivara e Torregaveta. Le eruzioni furono per lo più esplosive, anche se di moderata energia dal momento che i prodotti non si ritrovano a distanze maggiori di qualche km. Il vulcano più antico si eleva sul mare come un cono isolato e forma l'attuale isolotto di Vivara.
Il Tufo Giallo Napoletano consiste in un vasto deposito da flusso piroclastico che ha modellato la morfologia della zona occidentale di Napoli (la collina di Posillipo, ad esempio, è formata da Tufo Giallo Napoletano).
L'eruzione del Tufo Giallo Napoletano è datata intorno a 12000 anni fa e i suoi prodotti sono ampiamente distribuiti lungo il bordo della caldera e al suo interno, come rilevato dallo scavo di pozzi e perforazioni per scopi geo-termici. Una stima del volume di magma emesso durante questa eruzione è compresa fra 10 e 20 km3.
L'attività dopo l'eruzione del Tufo Giallo Napoletano Scandone et al (1991) ritengono che dopo l'eruzione del Tufo Giallo Napoletano, la parte più bassa dei Campi Flegrei sia stata invasa dal mare. Fra 10.000 e 5.000 anni fa il suolo della caldera si è sollevato. La traccia di questo evento è costituita da un terrazzo marino, la Starza, alto circa 40 metri sopra il mare, il quale attualmente borda la costa settentrionale del Golfo di Pozzuoli.
L'ultima eruzione dell'area, Monte Nuovo, è avvenuta in tempi relativamente recenti, nel 1538.
Due importanti episodi di innalzamento che interessarono l'area di Pozzuoli nei periodi 1970-72 e 1982-84 hanno prodotto un sollevamento (calcolato rispetto alla precedente livellazione) rispettivamente di 170 cm e di 182 cm nel punto di massima deformazione.
Nella primavera del 1983, pochi mesi dopo l'inizio della fase di sollevamento, cominciò una crisi sismica. I terremoti avvenivano prevalentemente nella regione costiera attorno a Pozzuoli.
Solo alcuni più profondi si ebbero nell'area del Golfo e nessun evento venne localizzato al di fuori dei Campi Flegrei.
Gli ipocentri erano ubicati ad una profondità variabile da qualche centinaio di metri fino a cinque km. La massima magnitudo registrata è stata 4 (scala Richter) e gli eventi a più alta energia furono quelli verificatisi in corrispondenza delle faglie che bordano la caldera.
Quest'area presenta la forma tipica delle strutture vulcaniche chiamate caldere e consiste in una depressione quasi circolare punteggiata da numerosi coni vulcanici.
Non si conosce con esattezza l'inizio dell'attività vulcanica nei Campi Flegrei.
I prodotti più antichi sono datati fra 47.000 e 37.000 anni fa e consistono nei duomi di lava di Cuma e Punta della Marmolite.
Le perforazioni effettuate per lo scavo di pozzi geotermici hanno evidenziato in profondità la presenza di altri prodotti derivanti da una precedente attività sub-aerea e sottomarina. La morfologia dell'area e lo sviluppo della sua attività eruttiva sono state condizionate da due grandi eruzioni avvenute intorno a 34000 e 12000 anni fa.
Queste eruzioni hanno lasciato vasti depositi chiamati, rispettivamente, Ignimbrite Campana e Tufo Giallo Napoletano
L'Ignimbrite Campana
è formata dal deposito di uno o più flussi piroclastici di cenere, pomici e scorie che hanno ricoperto un'area di 7.000 km2. Il volume di magma emesso è stato stimato dell'ordine di 80 km3. Le datazioni attualmente disponibili, effettuate sia su paleosuoli sottostanti il deposito sia su legni carbonizzati inglobati in esso, danno età discordanti che hanno contribuito a far nascere differenti pareri sulla possibilità che i prodotti siano stati emessi durante una o più eruzioni. L'Ignimbrite Campana affiora lungo i bordi di tutta la piana campana, con spessori variabili da 20 a 60 metri e si trova fino in Appennino a quote di 1.000 m. Manca nella parte centrale della piana, sia per erosione, sia perché ricoperta dai prodotti dell'attività successiva di Campi Flegrei e Vesuvio e da terreni alluvionali. L'attività dopo l'eruzione dell'Ignimbrite Campana
Dopo l'eruzione dell'Ignimbrite Campana, l'attività vulcanica si localizza al Vesuvio e tra la zona occupata dall'attuale città di Napoli e l'isola di Procida. Procida e Monte di Procida L'attività vulcanica avvenuta sull'isola di Procida è strettamente legata a quella verificatasi nella parte occidentale dei Campi Flegrei (Monte di Procida), da cui dista soli due km.
In questo settore, le eruzioni avvennero fra 40.000 e 14.000 anni fa, epoche che corrispondono rispettivamente all'età dei prodotti di Vivara e Torregaveta. Le eruzioni furono per lo più esplosive, anche se di moderata energia dal momento che i prodotti non si ritrovano a distanze maggiori di qualche km. Il vulcano più antico si eleva sul mare come un cono isolato e forma l'attuale isolotto di Vivara.
Il Tufo Giallo Napoletano consiste in un vasto deposito da flusso piroclastico che ha modellato la morfologia della zona occidentale di Napoli (la collina di Posillipo, ad esempio, è formata da Tufo Giallo Napoletano).
L'eruzione del Tufo Giallo Napoletano è datata intorno a 12000 anni fa e i suoi prodotti sono ampiamente distribuiti lungo il bordo della caldera e al suo interno, come rilevato dallo scavo di pozzi e perforazioni per scopi geo-termici. Una stima del volume di magma emesso durante questa eruzione è compresa fra 10 e 20 km3.
L'attività dopo l'eruzione del Tufo Giallo Napoletano Scandone et al (1991) ritengono che dopo l'eruzione del Tufo Giallo Napoletano, la parte più bassa dei Campi Flegrei sia stata invasa dal mare. Fra 10.000 e 5.000 anni fa il suolo della caldera si è sollevato. La traccia di questo evento è costituita da un terrazzo marino, la Starza, alto circa 40 metri sopra il mare, il quale attualmente borda la costa settentrionale del Golfo di Pozzuoli.
L'ultima eruzione dell'area, Monte Nuovo, è avvenuta in tempi relativamente recenti, nel 1538.
Due importanti episodi di innalzamento che interessarono l'area di Pozzuoli nei periodi 1970-72 e 1982-84 hanno prodotto un sollevamento (calcolato rispetto alla precedente livellazione) rispettivamente di 170 cm e di 182 cm nel punto di massima deformazione.
Nella primavera del 1983, pochi mesi dopo l'inizio della fase di sollevamento, cominciò una crisi sismica. I terremoti avvenivano prevalentemente nella regione costiera attorno a Pozzuoli.
Solo alcuni più profondi si ebbero nell'area del Golfo e nessun evento venne localizzato al di fuori dei Campi Flegrei.
Gli ipocentri erano ubicati ad una profondità variabile da qualche centinaio di metri fino a cinque km. La massima magnitudo registrata è stata 4 (scala Richter) e gli eventi a più alta energia furono quelli verificatisi in corrispondenza delle faglie che bordano la caldera.
Prove di un'antica guerra chimica sugli scheletri di soldati romani?
Quasi 2000 anni fa, 19 soldati romani si precipitarono in un angusto tunnel sotterraneo per difendere dai Persiani la città siriana di Dura-Europos, controllata dai Romani. Ma invece di soldati persiani, i Romani incontrarono un muro di fumo nero tossico, che nei loro polmoni si trasformò in acido. Le loro spade non potevano nulla contro quest'arma e i Romani morirono soffocati all'istante. Appesi alle loro cinture c'erano ancora le borse con le monete della loro ultima retribuzione.
Vicino ai loro corpi, un soldato persiano - forse proprio colui che generò il fumo tossico nel sottosuolo - soffrì la stessa tragica sorte.
Questi 20 uomini, che morirono nel 256 d.C., possono essere le prime vittime di guerra chimica di cui abbiamo evidenza archeologica.
Il caso risale in realtà ad inizio '900, ma con poche evidenze fisiche al di là di disegni e appunti presi durante uno scavo archeologico nel 1930. Ma secondo una nuova analisi di questi materiali, pubblicata a gennaio sull'American Journal of Archaeology, i soldati probabilmente non morirono a colpi di spada, come credette lo studio originale. In realtà morirono a causa di gas tossici.
Dove c'è fumo...
Attorno all'anno 250, l'Impero persiano sasanide si pose l'obiettivo di sottrarre a Roma la città siriana di Dura, che era divenuta una base militare romana, ben fortificata con mura spesse diversi metri. I Persiani stabilirono di scavare dei tunnel sotto quelle mura, nel tentativo di farle crollare in modo che i loro soldati potessero poi entrare nella città. L'operazione ebbe inizio a circa 40 metri di distanza dalla città, partendo da una tomba della necropoli di Dura. Nel frattempo, i difensori romani iniziarono a scavare dei propri tunnel nella speranza di intercettare i Persiani nel sottosuolo. I contorni di questo gioco sotterraneo del gatto e del topo vennero abbozzati dall'archeologo francese Robert du Mesnil du Buisson, che per primo studiò queste gallerie d'assedio negli 'anni '20 e '30 del secolo scorso. Du Mesnil scoprì i corpi ammucchiati di almeno 19 soldati romani e di un soldato persiano nelle gallerie sotto le mura della città. Egli immaginò un feroce combattimento corpo-a-corpo, durante il quale i Persiani respinsero i Romani, dando poi fuoco alla galleria romana. Cristalli di zolfo e di bitume, un composto simile al catrame naturale, sono stati trovati nel tunnel, suggerendo l'ipotesi che i Persiani accesero un fuoco fulmineo e molto caldo. Qualcosa però di quello scenario non convinceva Simon James, archeologo e storico presso l'Università di Leicester in Inghilterra. Per prima cosa, sarebbe stato difficile impegnarsi in un combattimento corpo-a-corpo nel tunnel, che riusciva a malapena ad ospitare un uomo in piedi. Inoltre la posizione dei corpi come appaiono nei disegni di Du Mesnil non coincide con uno scenario in cui i romani sarebbero stati trafitti o bruciati a morte. Usando vecchie relazioni e schizzi, James ricostruì gli eventi accaduti nel tunnel quel giorno fatale. In un primo momento pensò che i Romani si fossero calpestati l'un l'altro mentre tentavano di fuggire dal tunnel. Ma quando parlò di questa idea ai suoi colleghi, gli venne suggerita un'alternativa: cosa dire del fumo?
I bollenti vapori dell'inferno
Secondo Adrienne Mayor - storico dell'Università di Stanford e autore di "Fuoco greco, frecce avvelenate e bombe di scorpioni: la guerra biologica e chimica nel mondo antico" (Overlook Press, 2003) - la guerra chimica era ormai consolidata al tempo in cui i Persiani assediarono Dura. "[Nell'antichità] La guerra chimica era piuttosto frequente" afferma Mayor, che non ha preso parte allo studio. "Poche persone sono consapevoli di quanta documentazione abbiamo su questo argomento dagli storici antichi". Uno dei primi esempi è una battaglia del 189 a.C., quando i Greci bruciarono penne di pollo e usarono dei soffietti per distribuire il fumo nelle gallerie d'assedio degli invasori romani. Incendi a base di sostanze catramose sono stati uno strumento comune in Medio Oriente, dove era facile reperire nafta e bitume oleoso infiammabili. Gli antichi militari erano infinitamente creativi: quando Alessandro il Grande attaccò la città fenicia di Tiro nel quarto secolo a.C., i difensori fenici avevano in serbo una sorpresa per lui. "Riscaldarono granelli di sabbia fine negli scudi fino a renderli roventi, poi li catapultarono giù sull'esercito di Alessandro" spiega Mayor. "Questi piccoli pezzi di sabbia rovente finirono sotto le armature fino alla pelle, bruciando i soldati nemici". Mayor sostiene che l'idea che i Persiani avessero imparato a creare fumo tossico sia "del tutto plausibile". Secondo la nuova interpretazione dello scontro nel tunnel di Dura, i Romani udirono i Persiani al lavoro sottoterra e indirizzarono i loro tunnel per intercettare i nemici. La galleria romana era meno profonda di quella persiana, così i Romani pianificarono di irrompere nella galleria persiana dall'alto. Ma non c'era nessun elemento di sorpresa per entrambe le parti: anche i Persiani avrebbero potuto sentire che i Romani stavano arrivando. E così i Persiani tesero una trappola. Proprio quando i Romani sfondarono il loro tunnel, accesero un fuoco nella propria galleria. Forse avevano un soffietto per dirigere il fumo, o forse si avvalsero dell'effetto camino dato dal buco fra le due gallerie. In entrambi i casi, scagliarono zolfo e bitume sulle fiamme. Uno dei soldati persiani venne investito dal fumo e morì. I Romani incontrarono il gas soffocante, che si trasformò in acido solforico nei loro polmoni. "Si può dire che fossero quasi letteralmente i vapori dell'inferno che uscivano dal tunnel romano" afferma James. Qualsiasi soldato romano in attesa di entrare nel tunnel avrebbe esitato, vedendo il fumo e sentendo i propri commilitoni morire. Nel frattempo, i Persiani si affrettarono a sgombrare il tunnel e a chiudere la galleria romana. Trascinarono i corpi nella posizione accatastata in cui Du Mesnil li avrebbe scoperti molti secoli dopo. Senza tempo a disposizione per saccheggiare i cadaveri, lasciarono intatte le borse con le monete, le armi e le armature.
Gli orrori della guerra
Dopo aver terminato gli scavi, Du Mesnil riempì di nuovo le gallerie. Presumibilmente, gli scheletri dei soldati si trovano ancor oggi dove lui li scoprì. Questo fatto rende difficile, se non impossibile, provare la teoria della guerra chimica, sostiene James. "Si tratta di un caso indiziario, ma non inventa nulla. Abbiamo sul terreno elementi reali [lo zolfo e il bitume]. Si tratta di una tecnica consolidata". Secondo Clive James, se davvero i Persiani usavano armi chimiche, ciò dimostra che le loro operazioni militari erano estremamente sofisticate. Questo studio ci riporta anche alla realtà della guerra: "A Dura abbiamo un'evidenza incredibilmente vivida degli orrori della guerra antica" sostiene James. "E' stata terribilmente pericolosa e brutale. Non si hanno davvero parole per questo".
Dove c'è fumo...
Attorno all'anno 250, l'Impero persiano sasanide si pose l'obiettivo di sottrarre a Roma la città siriana di Dura, che era divenuta una base militare romana, ben fortificata con mura spesse diversi metri. I Persiani stabilirono di scavare dei tunnel sotto quelle mura, nel tentativo di farle crollare in modo che i loro soldati potessero poi entrare nella città. L'operazione ebbe inizio a circa 40 metri di distanza dalla città, partendo da una tomba della necropoli di Dura. Nel frattempo, i difensori romani iniziarono a scavare dei propri tunnel nella speranza di intercettare i Persiani nel sottosuolo. I contorni di questo gioco sotterraneo del gatto e del topo vennero abbozzati dall'archeologo francese Robert du Mesnil du Buisson, che per primo studiò queste gallerie d'assedio negli 'anni '20 e '30 del secolo scorso. Du Mesnil scoprì i corpi ammucchiati di almeno 19 soldati romani e di un soldato persiano nelle gallerie sotto le mura della città. Egli immaginò un feroce combattimento corpo-a-corpo, durante il quale i Persiani respinsero i Romani, dando poi fuoco alla galleria romana. Cristalli di zolfo e di bitume, un composto simile al catrame naturale, sono stati trovati nel tunnel, suggerendo l'ipotesi che i Persiani accesero un fuoco fulmineo e molto caldo. Qualcosa però di quello scenario non convinceva Simon James, archeologo e storico presso l'Università di Leicester in Inghilterra. Per prima cosa, sarebbe stato difficile impegnarsi in un combattimento corpo-a-corpo nel tunnel, che riusciva a malapena ad ospitare un uomo in piedi. Inoltre la posizione dei corpi come appaiono nei disegni di Du Mesnil non coincide con uno scenario in cui i romani sarebbero stati trafitti o bruciati a morte. Usando vecchie relazioni e schizzi, James ricostruì gli eventi accaduti nel tunnel quel giorno fatale. In un primo momento pensò che i Romani si fossero calpestati l'un l'altro mentre tentavano di fuggire dal tunnel. Ma quando parlò di questa idea ai suoi colleghi, gli venne suggerita un'alternativa: cosa dire del fumo?
I bollenti vapori dell'inferno
Secondo Adrienne Mayor - storico dell'Università di Stanford e autore di "Fuoco greco, frecce avvelenate e bombe di scorpioni: la guerra biologica e chimica nel mondo antico" (Overlook Press, 2003) - la guerra chimica era ormai consolidata al tempo in cui i Persiani assediarono Dura. "[Nell'antichità] La guerra chimica era piuttosto frequente" afferma Mayor, che non ha preso parte allo studio. "Poche persone sono consapevoli di quanta documentazione abbiamo su questo argomento dagli storici antichi". Uno dei primi esempi è una battaglia del 189 a.C., quando i Greci bruciarono penne di pollo e usarono dei soffietti per distribuire il fumo nelle gallerie d'assedio degli invasori romani. Incendi a base di sostanze catramose sono stati uno strumento comune in Medio Oriente, dove era facile reperire nafta e bitume oleoso infiammabili. Gli antichi militari erano infinitamente creativi: quando Alessandro il Grande attaccò la città fenicia di Tiro nel quarto secolo a.C., i difensori fenici avevano in serbo una sorpresa per lui. "Riscaldarono granelli di sabbia fine negli scudi fino a renderli roventi, poi li catapultarono giù sull'esercito di Alessandro" spiega Mayor. "Questi piccoli pezzi di sabbia rovente finirono sotto le armature fino alla pelle, bruciando i soldati nemici". Mayor sostiene che l'idea che i Persiani avessero imparato a creare fumo tossico sia "del tutto plausibile". Secondo la nuova interpretazione dello scontro nel tunnel di Dura, i Romani udirono i Persiani al lavoro sottoterra e indirizzarono i loro tunnel per intercettare i nemici. La galleria romana era meno profonda di quella persiana, così i Romani pianificarono di irrompere nella galleria persiana dall'alto. Ma non c'era nessun elemento di sorpresa per entrambe le parti: anche i Persiani avrebbero potuto sentire che i Romani stavano arrivando. E così i Persiani tesero una trappola. Proprio quando i Romani sfondarono il loro tunnel, accesero un fuoco nella propria galleria. Forse avevano un soffietto per dirigere il fumo, o forse si avvalsero dell'effetto camino dato dal buco fra le due gallerie. In entrambi i casi, scagliarono zolfo e bitume sulle fiamme. Uno dei soldati persiani venne investito dal fumo e morì. I Romani incontrarono il gas soffocante, che si trasformò in acido solforico nei loro polmoni. "Si può dire che fossero quasi letteralmente i vapori dell'inferno che uscivano dal tunnel romano" afferma James. Qualsiasi soldato romano in attesa di entrare nel tunnel avrebbe esitato, vedendo il fumo e sentendo i propri commilitoni morire. Nel frattempo, i Persiani si affrettarono a sgombrare il tunnel e a chiudere la galleria romana. Trascinarono i corpi nella posizione accatastata in cui Du Mesnil li avrebbe scoperti molti secoli dopo. Senza tempo a disposizione per saccheggiare i cadaveri, lasciarono intatte le borse con le monete, le armi e le armature.
Gli orrori della guerra
Dopo aver terminato gli scavi, Du Mesnil riempì di nuovo le gallerie. Presumibilmente, gli scheletri dei soldati si trovano ancor oggi dove lui li scoprì. Questo fatto rende difficile, se non impossibile, provare la teoria della guerra chimica, sostiene James. "Si tratta di un caso indiziario, ma non inventa nulla. Abbiamo sul terreno elementi reali [lo zolfo e il bitume]. Si tratta di una tecnica consolidata". Secondo Clive James, se davvero i Persiani usavano armi chimiche, ciò dimostra che le loro operazioni militari erano estremamente sofisticate. Questo studio ci riporta anche alla realtà della guerra: "A Dura abbiamo un'evidenza incredibilmente vivida degli orrori della guerra antica" sostiene James. "E' stata terribilmente pericolosa e brutale. Non si hanno davvero parole per questo".
IL RISO SARDONICO
Quanti di voi hanno sentito parlare del 'Riso Sardonico'?
E' legato alla Sardegna, come del resto si può capire immediatamente, ma la cui genesi e il cui significato è da tantissimo tempo oggetto di discussione.
Gli antichi greci conoscevano molto bene la leggenda del Riso Sardonico.
Vicino alle Colonne d'Ercole c'è l'isola di Sardegna nella quale cresce una pianta simile al sedano.
Molti dicono che quanti la assaggiano vengono colpiti da uno spasmo che li fa ridere involontariamente, e così muoiono.
Timeo afferma che là, quando gli uomini diventano vecchi, vengono offerti in sacrificio a Crono dai loro figli, che ridono e li colpiscono con dei bastoni, spingendoli dal basso verso le sponde con le bocche aperte: per questo motivo dice che è nato il riso sardonico.
Altri invece sostengono che quando quei vecchi muoiono, ridono involontariamente guardando la morte disumana che attende anche i loro figli: per questo motivo credono sia nato il detto "riso sardonico".
Il sacrificio rituale dei vecchi Gli antichi scrittori greci e latini si mostrano molto interessati al sacrificio rituale dei vecchi, fornendo cosi preziose informazioni. SIMONIDE, TIMEO, DEMONE E CLITARCO raccontano che gli abitanti della Sardegna sacrificavano a Cronos i genitori che avevano superato la settantina e che questi, mentre morivano, ridevano.
Da questo rito sarebbe nata l’espressione 'ridere sardonicamente' che compare per la prima volta nell'Odissea, XX, v. 301.
Alcuni autori, come VIRGILIO e SOLINO,in relazione all’espressione 'ridere sardonicamente', menzionano l’herba sardonia, un’erba di cui gli antichi esagerarono l’asprezza e alla quale attribuirono un potere venefico: chi la mangiava, moriva con le sembianze di chi ride. il Riso Sardonico di cui parlano i Greci in relazione alle popolazioni Sarde era il risultato della bevuta di un infuso di "Oenanthe fistulosa " che in Sardegna è molto diffusa vicino ai corsi d'acqua (e perciò detto "sedano acquatico"), lo dice il direttore del Dipartimento di Botanica all'Università di Cagliari , Mauro Ballero , nella ricerca che il suo team ha pubblicato sulla rivista americana "Journal of natural products ".
Una buona notizia perché già se ne immagina un uso curativo da parte delle case farmaceutiche.
Il cosiddetto riso sardonico non sarebbe però una risata bensì la contrazione dei muscoli del viso dovuta all'avvelenamento per mezzo dell'infuso succitato. Si sa per certo da fonti greche che quest'infuso dato da bere ai sardi morenti, con particolare riferimento all'usanza di mandare a morte tutti coloro che compivano i 70 anni: "una notizia attribuita a Timeo, il quale avrebbe riferito come in Sardegna i vecchi di 70 anni venissero uccisi a bastonate e sassate dai figli e precipitati in un fossato; nel perire i vecchi ridevano di un riso che per la crudele situazione e l'ambiente in cui si svolgeva il rituale, veniva chiamato "sardonio" Ancora oggi si conserva qualche traccia del rito: a Gairo, in Ogliastra, si usa la frase " i vecchi alla babaieca " (is beccius a sa babaieca), dove babaieca sta per "roccia a picco", appena ad un Km da Gairo. Ad Orotelli esiste ancora la tradizione di vecchi fatti precipitare da un dirupo, chiamato Iskerbicadorzu o Impercadorzu de Sos Betzos, Scervellatoio o Dirupo dei vecchi. Ad Urzulei, un picco di montagna che domina uno strapiombo di almeno 300 m., è chiamato Su Pigiu de su Becciu, cioè Il Picco del Vecchio. Ancora a Baunei, luogo di grande conservatività linguistica ed etnografica, vi è traccia dell’antica usanza di uccidere i vecchi nell’allocuzione "leare su’ ecciu a tumba o a ispéntuma", cioè "portare il vecchio alla tomba o alla grotta ovvero al dirupo".
Il costume, corrispondente al racconto degli scrittori antichi, divenne una messinscena fittizia, per cessare del tutto in un nuovo clima culturale più evoluto rispetto alle barbarie delle origini.
Gli antichi greci conoscevano molto bene la leggenda del Riso Sardonico.
Vicino alle Colonne d'Ercole c'è l'isola di Sardegna nella quale cresce una pianta simile al sedano.
Molti dicono che quanti la assaggiano vengono colpiti da uno spasmo che li fa ridere involontariamente, e così muoiono.
Timeo afferma che là, quando gli uomini diventano vecchi, vengono offerti in sacrificio a Crono dai loro figli, che ridono e li colpiscono con dei bastoni, spingendoli dal basso verso le sponde con le bocche aperte: per questo motivo dice che è nato il riso sardonico.
Altri invece sostengono che quando quei vecchi muoiono, ridono involontariamente guardando la morte disumana che attende anche i loro figli: per questo motivo credono sia nato il detto "riso sardonico".
Il sacrificio rituale dei vecchi Gli antichi scrittori greci e latini si mostrano molto interessati al sacrificio rituale dei vecchi, fornendo cosi preziose informazioni. SIMONIDE, TIMEO, DEMONE E CLITARCO raccontano che gli abitanti della Sardegna sacrificavano a Cronos i genitori che avevano superato la settantina e che questi, mentre morivano, ridevano.
Da questo rito sarebbe nata l’espressione 'ridere sardonicamente' che compare per la prima volta nell'Odissea, XX, v. 301.
Alcuni autori, come VIRGILIO e SOLINO,in relazione all’espressione 'ridere sardonicamente', menzionano l’herba sardonia, un’erba di cui gli antichi esagerarono l’asprezza e alla quale attribuirono un potere venefico: chi la mangiava, moriva con le sembianze di chi ride. il Riso Sardonico di cui parlano i Greci in relazione alle popolazioni Sarde era il risultato della bevuta di un infuso di "Oenanthe fistulosa " che in Sardegna è molto diffusa vicino ai corsi d'acqua (e perciò detto "sedano acquatico"), lo dice il direttore del Dipartimento di Botanica all'Università di Cagliari , Mauro Ballero , nella ricerca che il suo team ha pubblicato sulla rivista americana "Journal of natural products ".
Una buona notizia perché già se ne immagina un uso curativo da parte delle case farmaceutiche.
Il cosiddetto riso sardonico non sarebbe però una risata bensì la contrazione dei muscoli del viso dovuta all'avvelenamento per mezzo dell'infuso succitato. Si sa per certo da fonti greche che quest'infuso dato da bere ai sardi morenti, con particolare riferimento all'usanza di mandare a morte tutti coloro che compivano i 70 anni: "una notizia attribuita a Timeo, il quale avrebbe riferito come in Sardegna i vecchi di 70 anni venissero uccisi a bastonate e sassate dai figli e precipitati in un fossato; nel perire i vecchi ridevano di un riso che per la crudele situazione e l'ambiente in cui si svolgeva il rituale, veniva chiamato "sardonio" Ancora oggi si conserva qualche traccia del rito: a Gairo, in Ogliastra, si usa la frase " i vecchi alla babaieca " (is beccius a sa babaieca), dove babaieca sta per "roccia a picco", appena ad un Km da Gairo. Ad Orotelli esiste ancora la tradizione di vecchi fatti precipitare da un dirupo, chiamato Iskerbicadorzu o Impercadorzu de Sos Betzos, Scervellatoio o Dirupo dei vecchi. Ad Urzulei, un picco di montagna che domina uno strapiombo di almeno 300 m., è chiamato Su Pigiu de su Becciu, cioè Il Picco del Vecchio. Ancora a Baunei, luogo di grande conservatività linguistica ed etnografica, vi è traccia dell’antica usanza di uccidere i vecchi nell’allocuzione "leare su’ ecciu a tumba o a ispéntuma", cioè "portare il vecchio alla tomba o alla grotta ovvero al dirupo".
Il costume, corrispondente al racconto degli scrittori antichi, divenne una messinscena fittizia, per cessare del tutto in un nuovo clima culturale più evoluto rispetto alle barbarie delle origini.
Non è mai facile prendere delle decisioni importanti
Non è mai facile prendere delle decisioni importanti, perché nel momento in cui si opera una scelta, si procede anche a fare una rinuncia.
Eppure non possiamo farne a meno.
Scegliamo ogni giorno ciò che ci rende in qualche modo felici! Evitiamo di vivere una vita passivamente, in balìa delle decisioni che altri prendono per noi! Solo così potremmo dire che stiamo Davvero Vivendo!
Anton Vanligt
La statua più alta del mondo
Altezza: 128 m
Nome: primavera del tempio di Buddha-Foshan Golden Buddha
Località: Lushan, Henan, Cina
Descrizione: Posto su un piedistallo/edificio di 25 metri . Altezza totale del monumento 153 m (include 20 m di trono di loto)
Firenze: la Biblioteca Laurenziana
Nel 1523 il cardinal Giulio de’ Medici, divenuto papa con il nome di Clemente VII, commissionò a Michelangelo il progetto di una libreria per conservare la imponente raccolta medicea di testi.
Edificata all’interno del complesso di S. Lorenzo la Biblioteca Laurenziana si articola in due ambienti: l’alto e stretto vano del Ricetto - o vestibolo di ingresso – e la lunga sala di lettura o Libreria, cui si accede tramite un imponente scalone. Il progetto michelangiolesco prevedeva anche, in fondo alla Libreria una "pichola libreria" un ambiente trapezoidale segreto "per tenere certi libri più pretiosi che gli altri"
I lavori iniziati nel 1525-26 subirono un’ interruzione nel gennaio 1527 per la caduta della signoria medicea e per le conseguenti vicende politiche in cui fu coinvolto l’artista: Michelangelo, nominato il 10 gennaio 1529 "Magistrato de’ Nove" della Milizia, fino al settembre fu impegnato nelle fortificazioni di Firenze e nella strenua difesa della città di Firenze dall’assedio delle truppe pontificie. Gli ultimi mesi furono per l’artista travagliati: il 12 agosto 1530, caduta la città nelle mani dei Medici, e messo al bando come ribelle, Michelangelo sfuggì fortunosamente ai sicari di Alessandro de’ Medici. Rientrato a Firenze con un salvacondotto e perdonato dal papa, l’artista dovette impegnarsi a proseguire gli interrotti lavori alle Tombe medicee e alla Biblioteca che Clemente VII voleva veder completati. E pertanto, nell’agosto 1533,Sebastiano del Piombo sollecitò Michelangelo a nome del papa perché" et dice[ Sua Santità] che alogate li banchi e palchi e figure e scale e quello pare a vui…e che si faci tutto quello si pol fare senza vui". I banchi vennero eseguiti prontamente nel 1534 da Battista del Cinque e dal Ciapin. Ma morto il padre novantenne nel 1534 e nulla trattenendolo più in Firenze, Michelangelo nel settembre si trasferì definitivamente a Roma, ove l’artista diede l’avvio all’impegnativa affrescatura del Giudizio Universale che verrà scoperta nell’ottobre del 1541. E i lavori di completamento della Biblioteca medicea furono procrastinati nel tempo: il pavimento venne eseguito su disegno di Perin del Vaga da Sante Baglioni negli anni 1549-54; al 1550 risale la decorazione del soffitto ad opera di Battista del Tasso. Infine la travagliata realizzazione dello scalone: il progetto michelangiolesco subì molti ripensamenti e molte varianti sì che la sua esecuzione si protrasse sino al 1558 quando Michelangelo inviò un modellino in terracotta accompagnato da una lettera esplicativa. E la definitiva realizzazione da parte dell’Ammannati solo nel 1571 la Biblioteca poté esser aperta al pubblico .
I lavori iniziati nel 1525-26 subirono un’ interruzione nel gennaio 1527 per la caduta della signoria medicea e per le conseguenti vicende politiche in cui fu coinvolto l’artista: Michelangelo, nominato il 10 gennaio 1529 "Magistrato de’ Nove" della Milizia, fino al settembre fu impegnato nelle fortificazioni di Firenze e nella strenua difesa della città di Firenze dall’assedio delle truppe pontificie. Gli ultimi mesi furono per l’artista travagliati: il 12 agosto 1530, caduta la città nelle mani dei Medici, e messo al bando come ribelle, Michelangelo sfuggì fortunosamente ai sicari di Alessandro de’ Medici. Rientrato a Firenze con un salvacondotto e perdonato dal papa, l’artista dovette impegnarsi a proseguire gli interrotti lavori alle Tombe medicee e alla Biblioteca che Clemente VII voleva veder completati. E pertanto, nell’agosto 1533,Sebastiano del Piombo sollecitò Michelangelo a nome del papa perché" et dice[ Sua Santità] che alogate li banchi e palchi e figure e scale e quello pare a vui…e che si faci tutto quello si pol fare senza vui". I banchi vennero eseguiti prontamente nel 1534 da Battista del Cinque e dal Ciapin. Ma morto il padre novantenne nel 1534 e nulla trattenendolo più in Firenze, Michelangelo nel settembre si trasferì definitivamente a Roma, ove l’artista diede l’avvio all’impegnativa affrescatura del Giudizio Universale che verrà scoperta nell’ottobre del 1541. E i lavori di completamento della Biblioteca medicea furono procrastinati nel tempo: il pavimento venne eseguito su disegno di Perin del Vaga da Sante Baglioni negli anni 1549-54; al 1550 risale la decorazione del soffitto ad opera di Battista del Tasso. Infine la travagliata realizzazione dello scalone: il progetto michelangiolesco subì molti ripensamenti e molte varianti sì che la sua esecuzione si protrasse sino al 1558 quando Michelangelo inviò un modellino in terracotta accompagnato da una lettera esplicativa. E la definitiva realizzazione da parte dell’Ammannati solo nel 1571 la Biblioteca poté esser aperta al pubblico .
Heracleion, l’Atlantide egiziana
Lo storico greco Erodoto, ritenuto il padre della storiografia, descrisse le bellezze della città di Heracleion dove trovarono rifugio Elena di Troia e Paride in fuga dall’ira di Menelao.
Si tratta della antica città di Heracleion o Thonis, in egiziano, che secondo i libri di storia era un importante città portuale dell’antico Egitto costruita probabilmente tra il VII e il VI sec. a.C.
Di questa città misteriosa, secondo Diodoro Siculo chiamata così in onore di Ercole (in greco Herakle), eroe greco, salvatore della città da un’alluvione del fiume Nilo, comunque non esistevano prove che dimostrassero la sua reale esistenza fino a quando alcuni anni fa venne fatta una eccezionale scoperta.
Le rovine della antica Heracleion furono trovate sui fondali della Baia di Abukir alle foci del Nilo a circa 20 chilometri da Alessandria. E’ in questa zona di mare che la antica città sprofondò 1800 anni fa quasi sicuramente a causa di un maremoto provocato da un forte terremoto.
A conferma di questa spiegazione vi è il fatto che le mura e le colonne caddero tutte dalla stessa parte. Una targa d'oro del terzo secolo a.C. scoperta sul fondo del mare a 12 metri di profondita' conferma l'esistenza di Heracleion. Il reperto, recuperato al largo di Alessandria, dimostra che esisteva Heracleion, porto principale del'Egitto, inghiottito dal mare, per un terremoto o un'alluvione, 1.200 anni fa. Lo sostiene il centro di ARCHEOLOGIA subacquea di Oxford. Secondo Erotodo, li' avevano trovato rifugio Elena di Troia e Paride dall'ira del marito di lei Menelao. Tra le strade sommerse della città sono stati trovati numerosi preziosi reperti fra cui monete e gioielli che testimoniano che la popolazione residente doveva avere un elevato tenore di vita.
Nel sito archeologico di Heracleion oltre ai preziosi sono stati fatti altri importanti ritrovamenti fra cui, resti di case, templi,strade, infrastrutture portuali, una statua di Isis di un metro e mezzo, la testa della statua di una sfinge, un colosso di granito rosso di sette metri, una stele in granito nero con inciso il nome di Heracleion. Sono stati trovati anche i resti di una muraglia lunga 50 metri che presentano delle travi in legno che hanno reso possibile e l’esame al carbonio. Ad effettuare la straordinaria scoperta di Heracleion è stato il famoso archeologo francese Franck Goddio presidente e fondatore dell’Institut Européen d’Archéologie Sous Marine di Parigi.
A conferma di questa spiegazione vi è il fatto che le mura e le colonne caddero tutte dalla stessa parte. Una targa d'oro del terzo secolo a.C. scoperta sul fondo del mare a 12 metri di profondita' conferma l'esistenza di Heracleion. Il reperto, recuperato al largo di Alessandria, dimostra che esisteva Heracleion, porto principale del'Egitto, inghiottito dal mare, per un terremoto o un'alluvione, 1.200 anni fa. Lo sostiene il centro di ARCHEOLOGIA subacquea di Oxford. Secondo Erotodo, li' avevano trovato rifugio Elena di Troia e Paride dall'ira del marito di lei Menelao. Tra le strade sommerse della città sono stati trovati numerosi preziosi reperti fra cui monete e gioielli che testimoniano che la popolazione residente doveva avere un elevato tenore di vita.
Nel sito archeologico di Heracleion oltre ai preziosi sono stati fatti altri importanti ritrovamenti fra cui, resti di case, templi,strade, infrastrutture portuali, una statua di Isis di un metro e mezzo, la testa della statua di una sfinge, un colosso di granito rosso di sette metri, una stele in granito nero con inciso il nome di Heracleion. Sono stati trovati anche i resti di una muraglia lunga 50 metri che presentano delle travi in legno che hanno reso possibile e l’esame al carbonio. Ad effettuare la straordinaria scoperta di Heracleion è stato il famoso archeologo francese Franck Goddio presidente e fondatore dell’Institut Européen d’Archéologie Sous Marine di Parigi.
La natura è la madre primordiale di TUTTI gli esseri viventi
Gli anziani Dakota erano saggi.
Sapevano che il cuore di ogni essere umano che si allontana dalla natura si inasprisce.
Sapevano che la mancanza di profondo rispetto per gli esseri viventi e per tutto ciò che cresce, conduce in fretta alla mancanza di rispetto per gli uomini.
Per questa ragione il contatto con la natura, che rende i giovani capaci di sentimenti profondi, era un elemento importante della loro formazione.La natura è la nostra madre
Luther Standing Bear, Orso in Piedi, Lakota
Sapevano che il cuore di ogni essere umano che si allontana dalla natura si inasprisce.
Sapevano che la mancanza di profondo rispetto per gli esseri viventi e per tutto ciò che cresce, conduce in fretta alla mancanza di rispetto per gli uomini.
Per questa ragione il contatto con la natura, che rende i giovani capaci di sentimenti profondi, era un elemento importante della loro formazione.La natura è la nostra madre
Luther Standing Bear, Orso in Piedi, Lakota
Storiella Zen
“Se qualcuno vi si avvicina con un dono e voi non lo accettate, a chi appartiene il dono?”, domandò il samurai. “A chi ha tentato di regalarlo”, rispose uno dei discepoli.
“Lo stesso vale per l’invidia, la rabbia e gli insulti”, disse il maestro: “Quando non sono accettati, continuano ad appartenere a chi li portava con sé”.
LA MATRIOSCKA RUSSA
E' un caratteristico insieme di bambole, tipico della tradizione russa, che si compone di pezzi di diverse dimensioni realizzati in legno, ognuno dei quali è inseribile in uno di formato più grande. Ogni pezzo si divide in due parti ed è vuoto al suo interno, salvo il più piccolo che si chiama "seme". La bambolina più grande si chiama invece "madre". È il souvenir russo per eccellenza e un simbolo dell'arte popolare di questo paese. La prima matrioska di cui si ha notizia risale alla fine del XIX secolo, un periodo che per la Russia fu, oltre che di grandi mutamenti sul piano sociale, epoca di grande sviluppo economico e culturale. La nascita della matrioska viene convenzionalmente identificata negli anni a cavallo fra XIX e XX secolo. A idearla fu Savva Mamontov (1841 - 1918), fondatore del circolo artistico Abramzevskii.
La prima bambola di legno composta da otto pezzi venne costruita ai primi del Novecento dal mastro Vasiliy Zvezdochkin e colorata dall'illustratore di libri per l'infanzia Maliutin, profondo conoscitore dell'arte popolare dei villaggi russi, il quale rappresentò la bambola con il vestito tradizionale locale, chiamandola Matrena (dal latino mater, madre). Si può considerare, quindi, che matrioska sia un diminutivo di matrena ovvero "matrona" e che rappresenti simbolicamente la figura materna e la generosità ad essa correlata, in cui si identifica spesso - anche nella cultura occidentale - nella fertilità della terra. Le otto piccole bambole che componevano la prima matrioska rappresentavano, in ordine di grandezza, una madre, una ragazza, un ragazzo, una bambina ecc., fino all'ultima figura, quella di un neonato in fasce.
IL VILE DENARO NON SI FERMA NEMMENO QUANDO SI TRATTA DI SALUTE DI BAMBINI E ANZIANI
PER POTERSI DIFENDERE E' BENE SAPERE
Tutti i Vaccini analizzati risultano contaminati da particelle inorganiche 21 vaccini esaminati, 21 vaccini contaminati da polveri inorganiche. In altri paesi del mondo, questa notizia, avrebbe fatto saltare teste e poltrone di dirigenti sanitari, tecnici e politici, probabilmente sarebbe intervenuta anche la magistratura, ma in Italia no, questo non avviene. In questo paese una notizia del genere non viene diffusa e se si diffondesse verrebbe immediatamente ridimensionata attraverso la macchina del fango. Il dottor Montanari e la dottoressa Gatti, quando a fine ottobre vennero ritirati dal mercato i vaccini della Novartis, riuscirono ad acquistare in extremis il vaccino antinfluenzale Agrippal S1, per analizzarlo. La dottoressa Gatti fece sette ore di viaggio per raggiungere il microscopio elettronico confinato a Pesaro, vedi articolo). Il risultato? Sempre lo stesso: vaccino contaminato da micro e nanoparticelle inorganiche (Acciaio, Bario, Titanio, Silicio, blocchetti di Calcio), tutte particelle solide, piccole e meno piccole, ma tutto come già riscontrato negli altri 20 vaccini che avevano controllato in precedenza. NapoliTime ha contattato l’ufficio stampa della Novartis per ottenere una dichiarazione in merito. Abbiamo lasciato i recapiti, ma invano. Il Dottor Montanari della Nanodiagnostics di Modena invece ci ha risposto, ecco le sue parole: Dottor Montanari, i vaccini. Le case farmaceutiche ci sono cascate di nuovo? “Io stesso non riesco a spiegarmelo: 21 bersagli centrati su 21 cominciano ad essere un bel punteggio.Mi chiedo anch’io come sia possibile che su 21 vaccini analizzati nel nostro laboratorio – in ogni caso, va detto, sempre su una sola confezione e non su lotti interi – ogni volta si sia rilevato un inquinamento da polveri inorganiche. Escludo subito, magari come atto di fede, che le case farmaceutiche introducano quella roba di proposito i loro prodotti. Non sono un tifoso delle dietrologie, e poi non ne vedrei lo scopo. Il fatto è che queste particelle ci sono e una spiegazione va trovata. Nascondere la testa sotto la sabbia come fanno troppi medici, soprattutto pediatri, o come fa con ingenua arroganza l’Istituto superiore di sanità affermando che le nostre sono indagini “estemporanee e non riproducibili” non solo non fa onore all’Istituto ma è senz’altro motivo di preoccupazione per la gente che si ritrova abbandonata da chi, invece, dovrebbe operare per la salvaguardia della salute. Impossibile non chiedersi come si possa liquidare un’indagine, pur con tutti i limiti sulle quantità di campioni controllati, che, al di fuori di ogni possibile discussione, non può non far rizzare le antenne a chi è istituzionalmente chiamato a proteggere la salute pubblica. Tanto per chiarire, il nostro è uno dei laboratori di punta nell’ ambito della Comunità Europea e di questo testimonia la Comunità stessa. Insomma, piaccia o no, pur tra mille difficoltà e ristrettezze, noi sappiamo lavorare. A questo punto, sarebbe di estremo interesse poter analizzare tutti i vaccini disponibili almeno sul territorio nazionale, cosa che, purtroppo, non ci è possibile per varie ragioni, la sottrazione del nostro microscopio elettronico da parte di Beppe Grillo in primis, una situazione che ci costringe a veri e propri salti mortali per poter continuare le ricerche restando indipendenti.” Le sue scoperte, presenza di particelle non biocompatibili nei vaccini, sono pubbliche da tempo. Perché secondo lei le case farmaceutiche non correggono questi errori di produzione? “Bisogna essere realisti. Le case farmaceutiche sono imprese industriali e commerciali il cui unico scopo è quello di ottenere risultati economici che siano i più ricchi possibili. Io non le critico per questo: benché le nostre rispettive visioni etiche del mondo siano agli antipodi, io accetto la situazione. Sono gli organi di controllo che mi lasciano perplesso: dovrebbero fare il loro dovere e, invece, questo non accade. Se il fatto sia dovuto a denaro che circola sottobanco, a incapacità tecnica, a ignoranza, a chiusura mentale, a pigrizia o ad altro non potrei dire e, tutto sommato, m’interessa poco. A ottobre dell’anno scorso io fui chiamato dai NAS di Roma per raccontare di ciò che avevamo trovato fino ad allora in laboratorio. Andai, illustrai il tutto, lasciai la documentazione e non seppi più nulla. Il fatto è che troppo spesso ci troviamo di fronte a situazioni che – e lo dico da cittadino comune – avremmo tutto il diritto che non esistessero, non fosse altro che perché noi quella gente, i controllori, la paghiamo e abbiamo non il dovere ma il diritto di godere della loro affidabilità. Per venire più puntualmente alla sua domanda, fatta la premessa iniziale, le case farmaceutiche non intervengono per i motivi illustrati molto onestamente dal dottor Roberto Biasio, direttore medico della Sanofi Pasteur MSD, la distributrice del vaccino anti-papilloma virus che noi analizzammo nel 2011. Le sue parole a proposito delle nostre analisi furono: “Sono condotte con metodologia seria, ma non sono pertinenti agli standard di qualità richiesti dalle procedure di produzione e rilascio di lotti di vaccini” (Il Salvagente n. 38 pag 39). Tradotto, “nulla da dire sulle analisi del laboratorio Nanodiagnostics, ma nessuno ci chiede di fare quei controlli.” Devo dire di avere apprezzato la franchezza e, in un certo senso, la correttezza del dottor Biasio, un atteggiamento molto diverso da quello dell’Istituto superiore di sanità, e un atteggiamento direi quasi sportivo tenuto da qualcuno che proprio una nostra analisi aveva colpito. Insomma, per concludere, nessuno chiede ai produttori di far sì che le polveri non siano nei vaccini e nessuno, poi, controlla il prodotto finito sotto quell’aspetto.” Ciò che ha trovato nei vaccini, che danni potrebbe provocare una volta inoculato? “Ci sono differenze importanti tra vaccino e vaccino di cui va tenuto conto. L’ultimo prodotto che siamo riusciti ad analizzare è un antinfluenzale, l’Agrippal S1 della Novartis, uno dei quattro che hanno circolato per un po’ e poi sono stati ritirati. Nella stragrande maggioranza dei casi, somministrando il farmaco a un adulto, ritengo che non succeda assolutamente nulla. La piccola dose di liquido non può altro che contenere una quantità in assoluto molto modesta di polveri inorganiche, e sappiamo per esperienza che, in genere, perché s’inneschi una reazione patologica da particelle occorre che queste raggiungano una concentrazione critica, concentrazione critica impossibile da prevedere caso per caso, in un determinato organo o tessuto e in un determinato punto o in più punti. Un’eventualità teorica che meriterebbe approfondimento è quella che una o più particelle entrino nel nucleo di una o più cellule, fenomeno che noi dimostrammo possibile già una decina di anni fa e che fu poi al centro di una ricerca europea diretta da mia moglie, la dottoressa Antonietta Gatti. In quel caso, se avvenisse, si potrebbe avere un’interferenza con il DNA con tutto quanto ne può conseguire se una cellula si riproduce in modo patologico. Una cosa che io trovo buffa è l’avvertenza riportata in tutti i foglietti illustrativi che accompagnano i vaccini. Lì si scrive, del tutto giustamente, che il farmaco non va somministrato se il ricevente è allergico ad un componente o a più di uno. Impossibile non chiedersi come si faccia a sapere quali sono i componenti dei vaccini se, come avviene di norma, ne viene denunciata solo una parte. Quanto agli inquinanti, poi. Per esempio, quando nel prodotto c’è Nichel in polvere e il soggetto è allergico al Nichel, cosa tutt’altro che rara, ecco che né chi somministra il vaccino né chi subisce l’iniezione può essere al corrente di che cosa andrà ad accadere, non essendo messo al corrente della situazione reale. Comunque sia, la reazione avversa, quando c’è, si manifesta immediatamente o, al massimo, entro un giorno, rarissimamente due. Altro caso è quello tipico dei militari. A loro viene somministrato contemporaneamente un insieme di vaccini diversi, con questo costringendo l’organismo ad uno stress molto lontano dal normale. Gli inquinanti particolati, poi, sempre che sino presenti, non possono certo avere un’azione benefica. Da qui ad ipotizzare che i vaccini somministrati in quella maniera, una maniera che pure è fuori da ogni ragionevolezza, possa indurre forme di cancro il passo è troppo lungo e non esiste la minima prova scientifica in proposito. Molto diverso è lo scenario nei bambini. Senza entrare nell’assurdità biologica di pretendere d’indurre immunità in un soggetto il cui sistema immunitario è ancora immaturo, c’è, molto semplicemente, la questione della massa corporea. Ammettendo di avere un vaccino inquinato, s’iniettano vaccino e particelle in un organismo piccolo per volume e, per questo, la loro densità sarà ben maggiore di quella che sarebbe in un adulto. Per di più, la fisiologia del bambino, spesso appena un lattante, è vivacissima. Nessuna meraviglia se queste particelle arrivano al sistema nervoso centrale e, d’improvviso, il bambino manifesta irrequietezza, turbe del sonno, difficoltà di relazione, ecc. Malauguratamente, inutile illudersi: quelle forme patologiche sono croniche. Autismo? Narcolessia? Non c’è nessun fondamento scientifico per escluderli. Il mio parere, ma qui si tratta solo di un parere, è che anche quelle patologie siano a buon diritto inseribili nell’elenco degli effetti collaterali delle vaccinazioni.Voglio che il mio punto di vista sia chiaro: non è tanto il vaccino in quanto tale ad essere deleterio, ma tutte le aggiunte che vengono fatte, dai conservanti agli stabilizzanti, dagli antibiotici agli adiuvanti fino, ahimè, agli inquinanti. A questo si aggiunge la stravaganza delle vaccinazioni multiple che sono quanto di più innaturale esista e le vaccinazioni praticate a soggetti troppo giovani o troppo vecchi per avere un sistema immunitario competente. Uno degli aspetti del dramma è il fatto incontestabile che oggi la quasi totalità della ricerca medica è finanziata dall’industria farmaceutica e i risultati ne escono inevitabilmente inficiati. Purtroppo i medici, specie i più giovani, non si rendono conto di questa distorsione e non sanno che il loro sapere contiene una parte distorta e una parte censurata. E la “capacità di convinzione” della grande industria arriva capillarmente dovunque, media compresi. Basta dare un’occhiata a Wikipedia e ci si accorgerà delle enormità che riporta in una goffa difesa dei vaccini anche laddove difesa non ci può essere.” Abbiamo contattato il Ministero della Salute, ma non ha risposto. Invitiamo anche la Novartis a contattare la nostra redazione, per un confronto scientifico sereno e al fine della tutela della salute generale. Tratto da http://www.napolitime.it/
Tutti i Vaccini analizzati risultano contaminati da particelle inorganiche 21 vaccini esaminati, 21 vaccini contaminati da polveri inorganiche. In altri paesi del mondo, questa notizia, avrebbe fatto saltare teste e poltrone di dirigenti sanitari, tecnici e politici, probabilmente sarebbe intervenuta anche la magistratura, ma in Italia no, questo non avviene. In questo paese una notizia del genere non viene diffusa e se si diffondesse verrebbe immediatamente ridimensionata attraverso la macchina del fango. Il dottor Montanari e la dottoressa Gatti, quando a fine ottobre vennero ritirati dal mercato i vaccini della Novartis, riuscirono ad acquistare in extremis il vaccino antinfluenzale Agrippal S1, per analizzarlo. La dottoressa Gatti fece sette ore di viaggio per raggiungere il microscopio elettronico confinato a Pesaro, vedi articolo). Il risultato? Sempre lo stesso: vaccino contaminato da micro e nanoparticelle inorganiche (Acciaio, Bario, Titanio, Silicio, blocchetti di Calcio), tutte particelle solide, piccole e meno piccole, ma tutto come già riscontrato negli altri 20 vaccini che avevano controllato in precedenza. NapoliTime ha contattato l’ufficio stampa della Novartis per ottenere una dichiarazione in merito. Abbiamo lasciato i recapiti, ma invano. Il Dottor Montanari della Nanodiagnostics di Modena invece ci ha risposto, ecco le sue parole: Dottor Montanari, i vaccini. Le case farmaceutiche ci sono cascate di nuovo? “Io stesso non riesco a spiegarmelo: 21 bersagli centrati su 21 cominciano ad essere un bel punteggio.Mi chiedo anch’io come sia possibile che su 21 vaccini analizzati nel nostro laboratorio – in ogni caso, va detto, sempre su una sola confezione e non su lotti interi – ogni volta si sia rilevato un inquinamento da polveri inorganiche. Escludo subito, magari come atto di fede, che le case farmaceutiche introducano quella roba di proposito i loro prodotti. Non sono un tifoso delle dietrologie, e poi non ne vedrei lo scopo. Il fatto è che queste particelle ci sono e una spiegazione va trovata. Nascondere la testa sotto la sabbia come fanno troppi medici, soprattutto pediatri, o come fa con ingenua arroganza l’Istituto superiore di sanità affermando che le nostre sono indagini “estemporanee e non riproducibili” non solo non fa onore all’Istituto ma è senz’altro motivo di preoccupazione per la gente che si ritrova abbandonata da chi, invece, dovrebbe operare per la salvaguardia della salute. Impossibile non chiedersi come si possa liquidare un’indagine, pur con tutti i limiti sulle quantità di campioni controllati, che, al di fuori di ogni possibile discussione, non può non far rizzare le antenne a chi è istituzionalmente chiamato a proteggere la salute pubblica. Tanto per chiarire, il nostro è uno dei laboratori di punta nell’ ambito della Comunità Europea e di questo testimonia la Comunità stessa. Insomma, piaccia o no, pur tra mille difficoltà e ristrettezze, noi sappiamo lavorare. A questo punto, sarebbe di estremo interesse poter analizzare tutti i vaccini disponibili almeno sul territorio nazionale, cosa che, purtroppo, non ci è possibile per varie ragioni, la sottrazione del nostro microscopio elettronico da parte di Beppe Grillo in primis, una situazione che ci costringe a veri e propri salti mortali per poter continuare le ricerche restando indipendenti.” Le sue scoperte, presenza di particelle non biocompatibili nei vaccini, sono pubbliche da tempo. Perché secondo lei le case farmaceutiche non correggono questi errori di produzione? “Bisogna essere realisti. Le case farmaceutiche sono imprese industriali e commerciali il cui unico scopo è quello di ottenere risultati economici che siano i più ricchi possibili. Io non le critico per questo: benché le nostre rispettive visioni etiche del mondo siano agli antipodi, io accetto la situazione. Sono gli organi di controllo che mi lasciano perplesso: dovrebbero fare il loro dovere e, invece, questo non accade. Se il fatto sia dovuto a denaro che circola sottobanco, a incapacità tecnica, a ignoranza, a chiusura mentale, a pigrizia o ad altro non potrei dire e, tutto sommato, m’interessa poco. A ottobre dell’anno scorso io fui chiamato dai NAS di Roma per raccontare di ciò che avevamo trovato fino ad allora in laboratorio. Andai, illustrai il tutto, lasciai la documentazione e non seppi più nulla. Il fatto è che troppo spesso ci troviamo di fronte a situazioni che – e lo dico da cittadino comune – avremmo tutto il diritto che non esistessero, non fosse altro che perché noi quella gente, i controllori, la paghiamo e abbiamo non il dovere ma il diritto di godere della loro affidabilità. Per venire più puntualmente alla sua domanda, fatta la premessa iniziale, le case farmaceutiche non intervengono per i motivi illustrati molto onestamente dal dottor Roberto Biasio, direttore medico della Sanofi Pasteur MSD, la distributrice del vaccino anti-papilloma virus che noi analizzammo nel 2011. Le sue parole a proposito delle nostre analisi furono: “Sono condotte con metodologia seria, ma non sono pertinenti agli standard di qualità richiesti dalle procedure di produzione e rilascio di lotti di vaccini” (Il Salvagente n. 38 pag 39). Tradotto, “nulla da dire sulle analisi del laboratorio Nanodiagnostics, ma nessuno ci chiede di fare quei controlli.” Devo dire di avere apprezzato la franchezza e, in un certo senso, la correttezza del dottor Biasio, un atteggiamento molto diverso da quello dell’Istituto superiore di sanità, e un atteggiamento direi quasi sportivo tenuto da qualcuno che proprio una nostra analisi aveva colpito. Insomma, per concludere, nessuno chiede ai produttori di far sì che le polveri non siano nei vaccini e nessuno, poi, controlla il prodotto finito sotto quell’aspetto.” Ciò che ha trovato nei vaccini, che danni potrebbe provocare una volta inoculato? “Ci sono differenze importanti tra vaccino e vaccino di cui va tenuto conto. L’ultimo prodotto che siamo riusciti ad analizzare è un antinfluenzale, l’Agrippal S1 della Novartis, uno dei quattro che hanno circolato per un po’ e poi sono stati ritirati. Nella stragrande maggioranza dei casi, somministrando il farmaco a un adulto, ritengo che non succeda assolutamente nulla. La piccola dose di liquido non può altro che contenere una quantità in assoluto molto modesta di polveri inorganiche, e sappiamo per esperienza che, in genere, perché s’inneschi una reazione patologica da particelle occorre che queste raggiungano una concentrazione critica, concentrazione critica impossibile da prevedere caso per caso, in un determinato organo o tessuto e in un determinato punto o in più punti. Un’eventualità teorica che meriterebbe approfondimento è quella che una o più particelle entrino nel nucleo di una o più cellule, fenomeno che noi dimostrammo possibile già una decina di anni fa e che fu poi al centro di una ricerca europea diretta da mia moglie, la dottoressa Antonietta Gatti. In quel caso, se avvenisse, si potrebbe avere un’interferenza con il DNA con tutto quanto ne può conseguire se una cellula si riproduce in modo patologico. Una cosa che io trovo buffa è l’avvertenza riportata in tutti i foglietti illustrativi che accompagnano i vaccini. Lì si scrive, del tutto giustamente, che il farmaco non va somministrato se il ricevente è allergico ad un componente o a più di uno. Impossibile non chiedersi come si faccia a sapere quali sono i componenti dei vaccini se, come avviene di norma, ne viene denunciata solo una parte. Quanto agli inquinanti, poi. Per esempio, quando nel prodotto c’è Nichel in polvere e il soggetto è allergico al Nichel, cosa tutt’altro che rara, ecco che né chi somministra il vaccino né chi subisce l’iniezione può essere al corrente di che cosa andrà ad accadere, non essendo messo al corrente della situazione reale. Comunque sia, la reazione avversa, quando c’è, si manifesta immediatamente o, al massimo, entro un giorno, rarissimamente due. Altro caso è quello tipico dei militari. A loro viene somministrato contemporaneamente un insieme di vaccini diversi, con questo costringendo l’organismo ad uno stress molto lontano dal normale. Gli inquinanti particolati, poi, sempre che sino presenti, non possono certo avere un’azione benefica. Da qui ad ipotizzare che i vaccini somministrati in quella maniera, una maniera che pure è fuori da ogni ragionevolezza, possa indurre forme di cancro il passo è troppo lungo e non esiste la minima prova scientifica in proposito. Molto diverso è lo scenario nei bambini. Senza entrare nell’assurdità biologica di pretendere d’indurre immunità in un soggetto il cui sistema immunitario è ancora immaturo, c’è, molto semplicemente, la questione della massa corporea. Ammettendo di avere un vaccino inquinato, s’iniettano vaccino e particelle in un organismo piccolo per volume e, per questo, la loro densità sarà ben maggiore di quella che sarebbe in un adulto. Per di più, la fisiologia del bambino, spesso appena un lattante, è vivacissima. Nessuna meraviglia se queste particelle arrivano al sistema nervoso centrale e, d’improvviso, il bambino manifesta irrequietezza, turbe del sonno, difficoltà di relazione, ecc. Malauguratamente, inutile illudersi: quelle forme patologiche sono croniche. Autismo? Narcolessia? Non c’è nessun fondamento scientifico per escluderli. Il mio parere, ma qui si tratta solo di un parere, è che anche quelle patologie siano a buon diritto inseribili nell’elenco degli effetti collaterali delle vaccinazioni.Voglio che il mio punto di vista sia chiaro: non è tanto il vaccino in quanto tale ad essere deleterio, ma tutte le aggiunte che vengono fatte, dai conservanti agli stabilizzanti, dagli antibiotici agli adiuvanti fino, ahimè, agli inquinanti. A questo si aggiunge la stravaganza delle vaccinazioni multiple che sono quanto di più innaturale esista e le vaccinazioni praticate a soggetti troppo giovani o troppo vecchi per avere un sistema immunitario competente. Uno degli aspetti del dramma è il fatto incontestabile che oggi la quasi totalità della ricerca medica è finanziata dall’industria farmaceutica e i risultati ne escono inevitabilmente inficiati. Purtroppo i medici, specie i più giovani, non si rendono conto di questa distorsione e non sanno che il loro sapere contiene una parte distorta e una parte censurata. E la “capacità di convinzione” della grande industria arriva capillarmente dovunque, media compresi. Basta dare un’occhiata a Wikipedia e ci si accorgerà delle enormità che riporta in una goffa difesa dei vaccini anche laddove difesa non ci può essere.” Abbiamo contattato il Ministero della Salute, ma non ha risposto. Invitiamo anche la Novartis a contattare la nostra redazione, per un confronto scientifico sereno e al fine della tutela della salute generale. Tratto da http://www.napolitime.it/
E' proibito
È proibito piangere senza imparare,
svegliarti la mattina senza sapere che fare,
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non dimostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perché le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgano meno della tua,
non credere che ciascuno tenga il proprio cammino
nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che cio’ che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo puo’ togliere.
È proibito non cercare la tua felicità,
non vivere la tua vita pensando positivo,
non pensare che possiamo solo migliorare,non sentire che, senza di te, questo mondo non sarebbe lo stesso.
Alfredo Cuervo Barrero (Erroneamente attribuita a Neruda)
svegliarti la mattina senza sapere che fare,
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non dimostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perché le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgano meno della tua,
non credere che ciascuno tenga il proprio cammino
nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che cio’ che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo puo’ togliere.
È proibito non cercare la tua felicità,
non vivere la tua vita pensando positivo,
non pensare che possiamo solo migliorare,non sentire che, senza di te, questo mondo non sarebbe lo stesso.
Alfredo Cuervo Barrero (Erroneamente attribuita a Neruda)
Da quando le guardie carcerarie vanno a lavorare con i gas lacrimogeni in tasca???
INAUDITO!!!! che da un palazzo pubblico arrivi un attacco alla popolazione
Chi ha partecipato a una manifestazione (SA) cosa sono i gas lacrimogeni e cosa producono agli occhi.
Questo mezzo è usato dalla polizia in casi estremi contro i più violenti
Qui invece si trattava di popolazione inerme (forse gente che passava o curiosi (lo si evince dal video di Repubblica)chi scappava aveva come ARMA un fazzoletto.
IL COME E'POSSIBILE? della signora Severino NON CI BASTA !!
ROMA - I video e le fotografie del giorno dopo appesantiscono la posizione di chi ha gestito l'ordine pubblico a Roma, mercoledì pomeriggio, durante lo "sciopero europeo". La scintilla degli scontri, è confermato da tutte le angolazioni, viene accesa da sessanta studenti che in lungotevere dei Vallati alle 14,10 indossano i caschi e alzano gli "scudi letterari" sopra le teste, altri dai lati iniziano a lanciare pietre e petardi sui celerini. La risposta dei reparti mobili, però, è molto dura. Subito. Le cariche sfondano in pochi secondi la fragile resistenza dei manifestanti in assetto da combattimento, blindati della polizia attaccano i cortei e jeep dei carabinieri li chiudono fra il lungotevere, via Arenula e il ghetto ebraico in quella che la madre di una manifestante definirà "una tonnara". Ieri, in tarda serata, Repubblica ha preso visione di un filmato amatoriale inquietante, che getta dubbi ancora più pesanti sull'organizzazione del controllo del corteo. Un videofonino da un piano alto di via Arenula filma la fuga dei manifestanti dopo le prime cariche della polizia. Bene, mentre a centinaia corrono in via Arenula, senza maschere, caschi né scudi, dal palazzo di fronte - che è la sede del ministero di Grazia e Giustizia - in rapida successione vengono sparati due lacrimogeni. Sulla folla. Subito dopo, un terzo. L'aria si fa pesante, la fuga diventa pericolosa. Ecco, i gas lacrimogeni sono stati sparati - presumibilmente da pistole diverse - dalle stanze sopra quelle del ministro Paola Severino. Com'è possibile? Si sa che all'interno del ministero lavorano alcune guardie penitenziarie. Sono state loro a sparare sulla folla in fuga?
ROMA - I video e le fotografie del giorno dopo appesantiscono la posizione di chi ha gestito l'ordine pubblico a Roma, mercoledì pomeriggio, durante lo "sciopero europeo". La scintilla degli scontri, è confermato da tutte le angolazioni, viene accesa da sessanta studenti che in lungotevere dei Vallati alle 14,10 indossano i caschi e alzano gli "scudi letterari" sopra le teste, altri dai lati iniziano a lanciare pietre e petardi sui celerini. La risposta dei reparti mobili, però, è molto dura. Subito. Le cariche sfondano in pochi secondi la fragile resistenza dei manifestanti in assetto da combattimento, blindati della polizia attaccano i cortei e jeep dei carabinieri li chiudono fra il lungotevere, via Arenula e il ghetto ebraico in quella che la madre di una manifestante definirà "una tonnara". Ieri, in tarda serata, Repubblica ha preso visione di un filmato amatoriale inquietante, che getta dubbi ancora più pesanti sull'organizzazione del controllo del corteo. Un videofonino da un piano alto di via Arenula filma la fuga dei manifestanti dopo le prime cariche della polizia. Bene, mentre a centinaia corrono in via Arenula, senza maschere, caschi né scudi, dal palazzo di fronte - che è la sede del ministero di Grazia e Giustizia - in rapida successione vengono sparati due lacrimogeni. Sulla folla. Subito dopo, un terzo. L'aria si fa pesante, la fuga diventa pericolosa. Ecco, i gas lacrimogeni sono stati sparati - presumibilmente da pistole diverse - dalle stanze sopra quelle del ministro Paola Severino. Com'è possibile? Si sa che all'interno del ministero lavorano alcune guardie penitenziarie. Sono state loro a sparare sulla folla in fuga?
Ogni giorno è diverso dall’altro, ogni alba porta con sè il suo speciale miracolo, il suo istante magico, in cui si distruggono gli universi passati e nascono nuove stelle.
I Navajo ,infatti, insegnano ai loro bambini che ogni mattina il sole che sorge e’ un sole nuovo.
Nasce ogni giorno, vive solo per quel giorno, muore alla sera e non ritornera’ piu’.
Dicono ai loro piccoli: Il sole ha solo questo giorno, un giorno.
Vivi bene la tua vita in modo che il sole non abbia sprecato il suo tempo prezioso.
Paulo Coelho
I Navajo ,infatti, insegnano ai loro bambini che ogni mattina il sole che sorge e’ un sole nuovo.
Nasce ogni giorno, vive solo per quel giorno, muore alla sera e non ritornera’ piu’.
Dicono ai loro piccoli: Il sole ha solo questo giorno, un giorno.
Vivi bene la tua vita in modo che il sole non abbia sprecato il suo tempo prezioso.
Paulo Coelho