Non si può toccare l'alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.
di Gibran Khalil
giovedì 8 novembre 2012
La nostra razza
Questo video vuole solo dimostrare che atti discriminatori nei confronti del prossimo non ci devono essere, perche siamo tutti uguali.anche se di razze diverse.
Uguali non nell'aspetto esteriore o nella complessità dell'essere
MA...... di pari dignità, di pari diritti e di pari doveri!
GLI ORRORI COMPIUTI DA''UOMO IN NOME DELLA VANITA'
La maggior parte di questi animali sono allevati e tenuti in cattività in condizioni terribili rinchiusi brutalmente in attesa di una morte lenta e atroce I principali sistemi di morte sono per asfissia, scarica elettrica ai genitali, rottura del collo e iniezione di veleno
Si deve sapere anche che questi animali vengono spellati quando sono ancora vivi perchè la pelle rimanga più lucida.
In Italia solo a Modena esistono 3 allevamenti, nei quali 150.000 visoni ogni anno vengono uccisi nelle camere a gas per cosa??
Da noi non fa un freddo glaciale Vale la pena questo eccidio per soddisfare la vanità di certe donnine?
PRIMA ERANO COSI CARINI VERO???
IL Colibrì, il guerriero del sole
Per la sua spiccata aggressività, la rapidità nel volo e nelle acrobazie, per gli stupendi colori di cui è dotato, le antiche civiltà americane lo consideravano la reincarnazione di valorosi guerrieri caduti in battaglia e la rappresentazione in terra del dio Sole.
Gli Atzechi adoravano il dio “colibrì azzurro “ e ad esso innalzarono il loro tempio.
Il popolo Nazca lo ritrasse nella Pampa di Ingenio, in Perù, in un enorme disegno visibile solo dall’aereo (del quale ancor oggi non si conosce il significato).
Questo piccolo uccello, della famiglia dei Trochilidi, proprio delle foreste dell’America tropicale, è uno degli animali più stupendi esistenti oggi sul nostro pianeta.
Nessuno, in passato, è riuscito a resistere all’incanto di questa creatura.
Cristoforo Colombo lo descriveva come “piccolo meraviglioso uccello tanto diverso dai nostri”.
I grandi maestri della zoologia, ciascuno con un proprio stile, cercarono poi di descriverlo con le loro parole. Audubon lo comparò a “frammenti di arcobaleno”, Goeldi lo descrisse come “pietra preziosa e fiore convertito in animale”, altri semplicemente come “gioia della natura”.
Il Colibrì è l’uccello più piccolo del mondo.In natura esistono 334 specie di Colibrì, distribuite in tutto il continente americano ed in particolare in Sud America. Il più piccolo è il Colibrì Elena (calypte helenae) che pesa circa 1,6 grammi ed è lungo 5,7 cm (di cui 1,25 cm occupati dal solo corpo, il resto da coda e becco).Gli fa’ concorrenza il Colibrì di Vervain (mellisuga minima) di dimensioni pressoché analoghe. Entrambi sono più piccoli di molte specie di farfalle e falene con le quali condividono gli ambienti della foresta tropicale ed il loro nido è grande circa quanto mezza noce.Il più grande è il Colibrì Gigante (patagona gigas) che pesa 20g ed è lungo 21,5 cm. I Colibrì sono dotati di un piumaggio dagli splendidi colori iridescenti (che si riscontra in modo particolare nei maschi adulti, mentre giovani e femmine in genere hanno colori più tenui) e nessun altro uccello può competere con loro sotto questo aspetto. La particolarità è che i bellissimi colori non sono dovuti alla presenza di pigmenti sulle penne, ma all’interferenza dei raggi luminosi attraverso la struttura prismatica delle diramazioni perpendicolari dei rami delle penne, che scomponendo la luce solare riflettono una parte dell’iride, dando la sensazione di riflessi metallici. Il piumaggio iridescente permette ai Colibrì di rendersi invisibile ai predatori confondendosi con il colore dei fiori. I predatori più temibili sono i serpenti che li attaccano nascondendosi tra la vegetazione e si cibano delle loro uova e nidiacei.
Il becco, appuntito, per lo più diritto o leggermente ricurvo, è talvolta lunghissimo e serve per succhiare il nettare dei fiori o per cibarsi di ragni e piccoli insetti che catturano in volo o all’interno delle corolle. Nel suggere il nettare il becco rimane intriso del polline dei fiori, in questo modo spostandosi da un fiore all’altro fungono anche da veicolo naturale per l’impollinazione che, in natura, data l’impossibilità dei vegetali di muoversi è resa possibile solo da agenti esterni “mobili”. Svolgono quindi un ruolo importante nel mantenimento dell’ecosistema delle foreste tropicali. Molte delle bellissime piante tropicali affidano la loro impollinazione al Colibrì, contrariamente non potrebbero esistere. In questo caso la forma del becco, che si adatta perfettamente al fiore, suggerisce vi sia stata nel tempo una co-evoluzione tra fiore ed uccello con vantaggio reciproco: la pianta si è assicurata un ottimo impollinatore e il Colibrì una fonte di cibo in esclusiva.
Vola molto velocemente grazie alla sua resistente muscolatura ed alle sue forti e leggere piume e può raggiungere velocità elevate, da 30 a 70 ed alle volte anche 100 Km/h. Nell ’intricata vegetazione delle foreste è in grado di spostarsi rapidamente, ma è anche capace di rimanere immobile nell’aria, vicino ad un fiore, mentre sugge il nettare di cui si nutre; ciò è possibile grazie al rapido movimento elicoidale delle ali, che sa mettere in atto con maestria e che produce portanza anziché spinta. Sa volare anche all’indietro o completamente capovolto, con il dorso rivolto verso il basso. Queste acrobazie sono rese possibili dal modo in cui le ali sono attaccate alle spalle, come fossero snodate, possono muoversi variando la propria angolazione. Esse sono poi sostenute da dei forti muscoli pettorali, che rappresentano il motore generante la spinta, ed il cui peso è pari al 30% del peso totale dell’uccello.
Il movimento delle ali può raggiungere la sorprendente velocità di 70-90 battiti al secondo e nelle fasi di corteggiamento arriva sino ai 200 battiti al secondo (archilochus colubris). Nessun altro uccello vivente sul pianeta può battere le ali tanto velocemente. Il movimento è così rapido da produrre un sonoro ronzio, come quello di un calabrone, in lingua inglese sono quindi chiamati “ hummingbirds” che tradotto letteralmente significa uccelli ronzanti. Questo movimento, tuttavia, richiede un notevole dispendio di energie, considerando le piccole dimensioni del loro corpo, per questo i Colibrì hanno bisogno di alimentarsi in continuazione e sono dotati di un metabolismo rapidissimo.Per mantenersi in efficienza, ogni giorno devono ingerire un quantitativo di nettare dai fiori, loro base alimentare, pari a circa 1-4 volte il loro peso corporeo. Per ottenere un apporto proteico integrano poi la loro dieta alimentare con piccoli ragni ed insetti. In proporzione, la dimensione del loro cuore, rapportata all’uomo, è più grande di 5,6 volte (archilochus colubris). La frequenza cardiaca dei battiti può raggiungere 1260 pulsazioni al minuto (lampornis clemenciae). Durante la notte il Colibrì entra in uno stato di torpore o letargia e volontariamente abbassa la temperatura del proprio corpo a 8-10 °C (di giorno è circa 40°C) in questo modo mette in atto un sistema naturale per conservare energia e riduce notevolmente il proprio metabolismo.Questo stato può essere messo in atto anche quando l’uccello dispone di poche riserve alimentari , è accertato che il tasso metabolico in questo periodo è circa 1/50 del tasso nello stato di allerta. Il sonno letargico può durare dalle 8 alle 14 ore.
Appartengono al popolo degli uccelli migratori e compiono, ogni anno,delle vere e proprie trasvolate, in alcuni casi, da un capo all’altro del continente americano.Il più settentrionale è il Colibrì gola rubino (archilochus colubris). Nidifica in Canada sulle montagne Rocciose e sverna in Messico e nell’America Centrale e nonostante la sua piccola mole (pesa appena 3,5 grammi) compie distanze di migrazione di oltre 4000 Km.Di questi, circa 1000 sono impiegati per sorvolare il mare sopra il Golfo del Messico. Per compiere questo viaggio immagazzina nel suo corpo uno strato di grasso pari alla metà del proprio peso. Il volo di ritorno, nelle zone di riproduzione, è regolato dalla fioritura primaverile delle piante nelle regioni che deve attraversare. Normalmente il maschio torna per primo e stabilisce il proprio territorio prima dell’arrivo della femmina. Maschi che si impossessano e difendono un territorio hanno più possibilità di accoppiarsi e di attrarre femmine rispetto a maschi non territoriali. Quando la femmina ritorna inizia il corteggiamento.Il maschio normalmente cerca di attrarla con il canto e la segue in continuazione roteando in voli acrobatici attorno ad essa. E’ da notare che questo uccellino può cimentarsi in una diversità incredibile di vocalizzazioni e, come gli umani e pochi altri animali, ha sviluppato la rara capacità di imparare suoni diversi, non solo quelli che ogni specie ha innati in sé dalla nascita.Il suo cervello, rapportato alle dimensioni del corpo, è uno dei più grandi nell’ambito del mondo animale. Se il canto prodotto è gradito dalla femmina, la stessa risponde ed inizia l’accoppiamento. Dopo l’accoppiamento è la femmina che costruisce il nido. Esso è normalmente posizionato sul ramo cadente di un cespuglio o su una biforcazione di un ramo d’albero.Per la costruzione del nido utilizza generalmente tela di ragno, muschio, licheni, fibre di piante ed altro materiale. Il nido è minuscolo ed a forma di coppa, quando è completato la femmina depone 1 o 2 piccole uova di colore bianco.Essa incuba le uova e alleva i piccoli senza l’assistenza del maschio. Il maschio è normalmente poligamo e può avere una o più compagne contemporaneamente. Il periodo di incubazione può variare da 13 a 23 giorni a secondo della specie, mentre l’allevamento dei piccoli dura normalmente da 18 a 38 giorni.I giovani vengono alimentati con il rigurgito del cibo della madre, generalmente costituito da insetti, poiché ricchi di proteine necessarie per un rapido accrescimento corporeo. I Colibrì sono tipicamente solitari, vivono in media 4-5 anni e si associano con il sesso opposto solo per pochi secondi durante l’accoppiamento. Essi sono molto territoriali e difendono le loro fonti di cibo e l’area di nidificazione.Il maschio difende il territorio, la femmina il nido.Il controllo del territorio viene effettuato dal maschio stando appollaiato su di un alto ramo d’albero e tenendo sotto osservazione gli intrusi . Esso emette un segnale vocale di avvertimento all’avvicinamento dell’estraneo e, se detto avvertimento viene ignorato, si lancia con un volo in picchiata verso il “nemico” ingaggiando un vero e proprio duello aereo, fatto di rincorse ed acrobazie, dove entrambi mettono in mostra tutta la loro bravura e padronanza nel volo, atto a scacciare l’intruso ed a stabilire la supremazia sul territorio. n alcuni casi tale competizione può degenerare in una vera e propria lotta includendo graffi e spinte. In questo caso il lungo becco appuntito, di cui sono dotati, diventa un’arma e più precisamente una spada.
Nel 19° secolo centinaia e migliaia di Colibrì furono uccisi in Sud America e spediti in Europa per decorazione. Alcuni individui , affascinati da questo grazioso uccellino colorato, lo vollero impagliato da mettere in mostra nel proprio salotto come decorazione.Altri inventarono una nuova moda inserendoli nei cappellini delle signore come ornamento. La cronaca dell’epoca racconta di un commerciante Londinese che in un anno importò più di 400.000 pelli di Colibrì uccisi.Per fortuna questo sterminio non è continuato e questo piccolo uccello ha potuto salvarsi dall’estinzione. Oggi fortunatamente esistono numerose associazioni, non a scopo di lucro, che si dedicano allo studio e protezione di questi meravigliosi uccelli . L’uomo, il più grande predatore esistente sul pianeta, ha forse deciso di conservare queste minuscole creature, che i nostri antenati, probabilmente più saggi di noi, adoravano. Contemporaneamente sta distruggendo la foresta amazzonica, per ricavarne legname, unico grande polmone di ossigeno del pianeta, dove il Colibrì vive.
Un'antica fiaba africana racconta dell’incendio di tutti gli incendi scoppiato un giorno nella foresta. Mentre tutti gli abitanti fuggono in preda al terrore, leone compreso, un minuscolo colibrì sfida le fiamme con una goccia d’acqua nel becco. E quando il leone sprezzante gli chiede cosa pensa di fare con quella piccola goccia, la risposta del minuscolo colibrì è disarmante: “Forse non riuscirò a spegnere il fuoco, ma faccio la mia parte”.
Il Colibrì è l’uccello più piccolo del mondo.In natura esistono 334 specie di Colibrì, distribuite in tutto il continente americano ed in particolare in Sud America. Il più piccolo è il Colibrì Elena (calypte helenae) che pesa circa 1,6 grammi ed è lungo 5,7 cm (di cui 1,25 cm occupati dal solo corpo, il resto da coda e becco).Gli fa’ concorrenza il Colibrì di Vervain (mellisuga minima) di dimensioni pressoché analoghe. Entrambi sono più piccoli di molte specie di farfalle e falene con le quali condividono gli ambienti della foresta tropicale ed il loro nido è grande circa quanto mezza noce.Il più grande è il Colibrì Gigante (patagona gigas) che pesa 20g ed è lungo 21,5 cm. I Colibrì sono dotati di un piumaggio dagli splendidi colori iridescenti (che si riscontra in modo particolare nei maschi adulti, mentre giovani e femmine in genere hanno colori più tenui) e nessun altro uccello può competere con loro sotto questo aspetto. La particolarità è che i bellissimi colori non sono dovuti alla presenza di pigmenti sulle penne, ma all’interferenza dei raggi luminosi attraverso la struttura prismatica delle diramazioni perpendicolari dei rami delle penne, che scomponendo la luce solare riflettono una parte dell’iride, dando la sensazione di riflessi metallici. Il piumaggio iridescente permette ai Colibrì di rendersi invisibile ai predatori confondendosi con il colore dei fiori. I predatori più temibili sono i serpenti che li attaccano nascondendosi tra la vegetazione e si cibano delle loro uova e nidiacei.
Il becco, appuntito, per lo più diritto o leggermente ricurvo, è talvolta lunghissimo e serve per succhiare il nettare dei fiori o per cibarsi di ragni e piccoli insetti che catturano in volo o all’interno delle corolle. Nel suggere il nettare il becco rimane intriso del polline dei fiori, in questo modo spostandosi da un fiore all’altro fungono anche da veicolo naturale per l’impollinazione che, in natura, data l’impossibilità dei vegetali di muoversi è resa possibile solo da agenti esterni “mobili”. Svolgono quindi un ruolo importante nel mantenimento dell’ecosistema delle foreste tropicali. Molte delle bellissime piante tropicali affidano la loro impollinazione al Colibrì, contrariamente non potrebbero esistere. In questo caso la forma del becco, che si adatta perfettamente al fiore, suggerisce vi sia stata nel tempo una co-evoluzione tra fiore ed uccello con vantaggio reciproco: la pianta si è assicurata un ottimo impollinatore e il Colibrì una fonte di cibo in esclusiva.
Vola molto velocemente grazie alla sua resistente muscolatura ed alle sue forti e leggere piume e può raggiungere velocità elevate, da 30 a 70 ed alle volte anche 100 Km/h. Nell ’intricata vegetazione delle foreste è in grado di spostarsi rapidamente, ma è anche capace di rimanere immobile nell’aria, vicino ad un fiore, mentre sugge il nettare di cui si nutre; ciò è possibile grazie al rapido movimento elicoidale delle ali, che sa mettere in atto con maestria e che produce portanza anziché spinta. Sa volare anche all’indietro o completamente capovolto, con il dorso rivolto verso il basso. Queste acrobazie sono rese possibili dal modo in cui le ali sono attaccate alle spalle, come fossero snodate, possono muoversi variando la propria angolazione. Esse sono poi sostenute da dei forti muscoli pettorali, che rappresentano il motore generante la spinta, ed il cui peso è pari al 30% del peso totale dell’uccello.
Il movimento delle ali può raggiungere la sorprendente velocità di 70-90 battiti al secondo e nelle fasi di corteggiamento arriva sino ai 200 battiti al secondo (archilochus colubris). Nessun altro uccello vivente sul pianeta può battere le ali tanto velocemente. Il movimento è così rapido da produrre un sonoro ronzio, come quello di un calabrone, in lingua inglese sono quindi chiamati “ hummingbirds” che tradotto letteralmente significa uccelli ronzanti. Questo movimento, tuttavia, richiede un notevole dispendio di energie, considerando le piccole dimensioni del loro corpo, per questo i Colibrì hanno bisogno di alimentarsi in continuazione e sono dotati di un metabolismo rapidissimo.Per mantenersi in efficienza, ogni giorno devono ingerire un quantitativo di nettare dai fiori, loro base alimentare, pari a circa 1-4 volte il loro peso corporeo. Per ottenere un apporto proteico integrano poi la loro dieta alimentare con piccoli ragni ed insetti. In proporzione, la dimensione del loro cuore, rapportata all’uomo, è più grande di 5,6 volte (archilochus colubris). La frequenza cardiaca dei battiti può raggiungere 1260 pulsazioni al minuto (lampornis clemenciae). Durante la notte il Colibrì entra in uno stato di torpore o letargia e volontariamente abbassa la temperatura del proprio corpo a 8-10 °C (di giorno è circa 40°C) in questo modo mette in atto un sistema naturale per conservare energia e riduce notevolmente il proprio metabolismo.Questo stato può essere messo in atto anche quando l’uccello dispone di poche riserve alimentari , è accertato che il tasso metabolico in questo periodo è circa 1/50 del tasso nello stato di allerta. Il sonno letargico può durare dalle 8 alle 14 ore.
Appartengono al popolo degli uccelli migratori e compiono, ogni anno,delle vere e proprie trasvolate, in alcuni casi, da un capo all’altro del continente americano.Il più settentrionale è il Colibrì gola rubino (archilochus colubris). Nidifica in Canada sulle montagne Rocciose e sverna in Messico e nell’America Centrale e nonostante la sua piccola mole (pesa appena 3,5 grammi) compie distanze di migrazione di oltre 4000 Km.Di questi, circa 1000 sono impiegati per sorvolare il mare sopra il Golfo del Messico. Per compiere questo viaggio immagazzina nel suo corpo uno strato di grasso pari alla metà del proprio peso. Il volo di ritorno, nelle zone di riproduzione, è regolato dalla fioritura primaverile delle piante nelle regioni che deve attraversare. Normalmente il maschio torna per primo e stabilisce il proprio territorio prima dell’arrivo della femmina. Maschi che si impossessano e difendono un territorio hanno più possibilità di accoppiarsi e di attrarre femmine rispetto a maschi non territoriali. Quando la femmina ritorna inizia il corteggiamento.Il maschio normalmente cerca di attrarla con il canto e la segue in continuazione roteando in voli acrobatici attorno ad essa. E’ da notare che questo uccellino può cimentarsi in una diversità incredibile di vocalizzazioni e, come gli umani e pochi altri animali, ha sviluppato la rara capacità di imparare suoni diversi, non solo quelli che ogni specie ha innati in sé dalla nascita.Il suo cervello, rapportato alle dimensioni del corpo, è uno dei più grandi nell’ambito del mondo animale. Se il canto prodotto è gradito dalla femmina, la stessa risponde ed inizia l’accoppiamento. Dopo l’accoppiamento è la femmina che costruisce il nido. Esso è normalmente posizionato sul ramo cadente di un cespuglio o su una biforcazione di un ramo d’albero.Per la costruzione del nido utilizza generalmente tela di ragno, muschio, licheni, fibre di piante ed altro materiale. Il nido è minuscolo ed a forma di coppa, quando è completato la femmina depone 1 o 2 piccole uova di colore bianco.Essa incuba le uova e alleva i piccoli senza l’assistenza del maschio. Il maschio è normalmente poligamo e può avere una o più compagne contemporaneamente. Il periodo di incubazione può variare da 13 a 23 giorni a secondo della specie, mentre l’allevamento dei piccoli dura normalmente da 18 a 38 giorni.I giovani vengono alimentati con il rigurgito del cibo della madre, generalmente costituito da insetti, poiché ricchi di proteine necessarie per un rapido accrescimento corporeo. I Colibrì sono tipicamente solitari, vivono in media 4-5 anni e si associano con il sesso opposto solo per pochi secondi durante l’accoppiamento. Essi sono molto territoriali e difendono le loro fonti di cibo e l’area di nidificazione.Il maschio difende il territorio, la femmina il nido.Il controllo del territorio viene effettuato dal maschio stando appollaiato su di un alto ramo d’albero e tenendo sotto osservazione gli intrusi . Esso emette un segnale vocale di avvertimento all’avvicinamento dell’estraneo e, se detto avvertimento viene ignorato, si lancia con un volo in picchiata verso il “nemico” ingaggiando un vero e proprio duello aereo, fatto di rincorse ed acrobazie, dove entrambi mettono in mostra tutta la loro bravura e padronanza nel volo, atto a scacciare l’intruso ed a stabilire la supremazia sul territorio. n alcuni casi tale competizione può degenerare in una vera e propria lotta includendo graffi e spinte. In questo caso il lungo becco appuntito, di cui sono dotati, diventa un’arma e più precisamente una spada.
Nel 19° secolo centinaia e migliaia di Colibrì furono uccisi in Sud America e spediti in Europa per decorazione. Alcuni individui , affascinati da questo grazioso uccellino colorato, lo vollero impagliato da mettere in mostra nel proprio salotto come decorazione.Altri inventarono una nuova moda inserendoli nei cappellini delle signore come ornamento. La cronaca dell’epoca racconta di un commerciante Londinese che in un anno importò più di 400.000 pelli di Colibrì uccisi.Per fortuna questo sterminio non è continuato e questo piccolo uccello ha potuto salvarsi dall’estinzione. Oggi fortunatamente esistono numerose associazioni, non a scopo di lucro, che si dedicano allo studio e protezione di questi meravigliosi uccelli . L’uomo, il più grande predatore esistente sul pianeta, ha forse deciso di conservare queste minuscole creature, che i nostri antenati, probabilmente più saggi di noi, adoravano. Contemporaneamente sta distruggendo la foresta amazzonica, per ricavarne legname, unico grande polmone di ossigeno del pianeta, dove il Colibrì vive.
Un'antica fiaba africana racconta dell’incendio di tutti gli incendi scoppiato un giorno nella foresta. Mentre tutti gli abitanti fuggono in preda al terrore, leone compreso, un minuscolo colibrì sfida le fiamme con una goccia d’acqua nel becco. E quando il leone sprezzante gli chiede cosa pensa di fare con quella piccola goccia, la risposta del minuscolo colibrì è disarmante: “Forse non riuscirò a spegnere il fuoco, ma faccio la mia parte”.
L'universo elegante La teoria delle stringhe
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I cavalli -straordinarie creature
IL CAVALLO NELLA STORIA
Gli antenati Già 55 milioni di anni fa viveva sulla terra un piccolo animaletto, di nome Eohippus, che può essere considerato il bis-bis-bis-bis-nonno dei nostri pony e cavalli, da lui infatti ebbe origine la famiglia degli equidi (cavalli, asini e zebre). Eohippus era piccolo più o meno come una volpe e si cibava prevalentemente di foglie, piccoli arbusti e frutti.
Aveva 4 dita nelle zampe anteriori e tre in quelle posteriori: tutte le dita erano provviste di piccoli zoccoli, tuttavia Eohippus non camminava sugli zoccoli, ma su dei piccoli cuscinetti, simili a quelli dei cani.
L’equus è apparso circa un milione e mezzo di anni fa nel nord America e da lì si è diffuso in Asia, in Europa e in Africa.
In seguito all’ultima era glaciale (circa 10.000 anni fa), si estinse in America, ma riuscì ad adattarsi e a sopravvivere in Europa, in Asia e in Africa.
Qui presero il sopravvento i rami evolutivi che hanno portato alle zebre e agli asini, mentre in Europa e in Asia si svilupparono quattro diversi tipi di cavallo preistorico che hanno dato origine, attraverso incroci e adattamenti ambientali, alle razze come le conosciamo oggi.
Probabilmente la prima vera “cavalleria” della storia, cioè il primo esercito con un gruppo di guerrieri che combattevano a cavallo, fu l’armata di Alessandro il Grande, il quale nel 326 a.C. arrivò fino in India.
Nella storia antica troviamo poi Alessandro Magno e Bucefalo sempre al suo fianco in tutte le sue grandi imprese.
Il nome “Bucefalo”, che significa “testa di bue”, faceva riferimento all’ampia fronte e al profilo leggermente concavo (caratteristico dei cavalli di razza orientale, in particolar modo di una particolare razza della Tessaglia). Bucefalo aveva il mantello nero e una stella bianca in fronte ed era più grosso rispetto agli altri cavalli e secondo i racconti si lasciò cavalcare solo dal suo padrone.
Quando morì fu sepolto con gli onori militari e su quel suolo fu fondata la città di Bucefalia.
Nell’Antica Roma non possiamo non ricordare Caligola, che amava molto i cavalli e, che sia vero o no, l’Imperatore è passato alla storia, non tanto per le sue imprese eroiche, ma per aver nominato console proprio il suo destriero di nome Incitatus.
Napoleone, invece, viene spesso raffigurato nei quadri in groppa al suo famoso cavallo bianco.
Si legge che l’Imperatore francese, nonostante avesse 130 cavalli, amava molto il destriero candido: si trattava di un piccolo stallone bianco Arabo, a cui era stato dato il nome di Marengo a ricordo della battaglia del 1800 in cui con coraggio servì il suo padrone.
Arrivò dall’Egitto dopo la battaglia di Abukir. Marengo morì a 38 anni. Il suo scheletro, al quale era stato tolto uno zoccolo, è esposto al National Army Museum a Sandhurst.
Lo zoccolo fu messo in una tabacchiera e Napoleone ne fece dono al Corpo Ufficiali della Brigata delle Guardie
L’amata cavalla di Giuseppe Garibaldi si chiamava invece Marsala.
Il generale, secondo molti racconti, curava l’animale con mezzo secchio di marsala ogni volta che la bestia non appariva in buone condizioni di salute. La cavalla è morta a Caprera proprio come il generale.
Gli antenati Già 55 milioni di anni fa viveva sulla terra un piccolo animaletto, di nome Eohippus, che può essere considerato il bis-bis-bis-bis-nonno dei nostri pony e cavalli, da lui infatti ebbe origine la famiglia degli equidi (cavalli, asini e zebre). Eohippus era piccolo più o meno come una volpe e si cibava prevalentemente di foglie, piccoli arbusti e frutti.
Aveva 4 dita nelle zampe anteriori e tre in quelle posteriori: tutte le dita erano provviste di piccoli zoccoli, tuttavia Eohippus non camminava sugli zoccoli, ma su dei piccoli cuscinetti, simili a quelli dei cani.
L’equus è apparso circa un milione e mezzo di anni fa nel nord America e da lì si è diffuso in Asia, in Europa e in Africa.
In seguito all’ultima era glaciale (circa 10.000 anni fa), si estinse in America, ma riuscì ad adattarsi e a sopravvivere in Europa, in Asia e in Africa.
Qui presero il sopravvento i rami evolutivi che hanno portato alle zebre e agli asini, mentre in Europa e in Asia si svilupparono quattro diversi tipi di cavallo preistorico che hanno dato origine, attraverso incroci e adattamenti ambientali, alle razze come le conosciamo oggi.
Probabilmente la prima vera “cavalleria” della storia, cioè il primo esercito con un gruppo di guerrieri che combattevano a cavallo, fu l’armata di Alessandro il Grande, il quale nel 326 a.C. arrivò fino in India.
Nella storia antica troviamo poi Alessandro Magno e Bucefalo sempre al suo fianco in tutte le sue grandi imprese.
Il nome “Bucefalo”, che significa “testa di bue”, faceva riferimento all’ampia fronte e al profilo leggermente concavo (caratteristico dei cavalli di razza orientale, in particolar modo di una particolare razza della Tessaglia). Bucefalo aveva il mantello nero e una stella bianca in fronte ed era più grosso rispetto agli altri cavalli e secondo i racconti si lasciò cavalcare solo dal suo padrone.
Quando morì fu sepolto con gli onori militari e su quel suolo fu fondata la città di Bucefalia.
Nell’Antica Roma non possiamo non ricordare Caligola, che amava molto i cavalli e, che sia vero o no, l’Imperatore è passato alla storia, non tanto per le sue imprese eroiche, ma per aver nominato console proprio il suo destriero di nome Incitatus.
Napoleone, invece, viene spesso raffigurato nei quadri in groppa al suo famoso cavallo bianco.
Si legge che l’Imperatore francese, nonostante avesse 130 cavalli, amava molto il destriero candido: si trattava di un piccolo stallone bianco Arabo, a cui era stato dato il nome di Marengo a ricordo della battaglia del 1800 in cui con coraggio servì il suo padrone.
Arrivò dall’Egitto dopo la battaglia di Abukir. Marengo morì a 38 anni. Il suo scheletro, al quale era stato tolto uno zoccolo, è esposto al National Army Museum a Sandhurst.
Lo zoccolo fu messo in una tabacchiera e Napoleone ne fece dono al Corpo Ufficiali della Brigata delle Guardie
L’amata cavalla di Giuseppe Garibaldi si chiamava invece Marsala.
Il generale, secondo molti racconti, curava l’animale con mezzo secchio di marsala ogni volta che la bestia non appariva in buone condizioni di salute. La cavalla è morta a Caprera proprio come il generale.
Il filo
Una strada c'e nella vita.La cosa buffa e che te ne accorgi solo quando e finita.Ti volti indietro e dici: "oh', guarda, c'e un filo". Quando vivi, non lo vedi il filo, eppure c'è.Perché tutte le decisioni che prendi, tutte le scelte che fai sono determinate, si crede, dal libero arbitro, ma anche questa e una balla. sono determinate da qualcosa dentro di te, che e innanzitutto il tuo istinto, e poi da qualcosa che gli indiani chiamano il karma accumulato fino ad allora.Vivo ora, qui, con la sensazione che l'universo e straordinario, che niente ci succede per caso e che la vita e una continua scoperta. e io sono particolarmente fortunato perché, ora piu che mai, ogni giorno e davvero un altro giro di giostra.Solo se riusciremo a vedere l'universo come un tutt'uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo.E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell'aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.La vera conoscenza non viene dai libri,neppure da quelli sacri, ma dall'esperienza. Il miglior modo per capire la realtà e attraverso i sentimenti, l'intuizione, non attraverso l'intelletto. L'intelletto e limitato.L'ultimo pezzo del cammino, quella scaletta che conduce sul tetto da cui si vede il mondo o sul quale ci si può distendere a diventare una nuvola, quel'ultimo pezzo va fatto a piedi, da soli.Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. E più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c'e speranza. E' difficile, e un altro modo di vedere le cose, e una sfida, ti tiene all'erta.Il coraggio e il superamento della paura.Finirai per trovarla la via...se prima hai il coraggio di perderti.
Tiziano Terzani
Amaltea e la cornucopia
Zeus fu allevato dalle ninfe nella grotta di Creta e fu allattato dalla capra Amaltea; le api distillavano per lui il miele più dolce; le colombe portavano dal cielo l'ambrosia, il cibo speciale degli dèi; un'aquila gli portava il nettare, la sacra bevanda che dona l'immortalità e l'eterna giovinezza. La ninfa Adrastea gli regalò una palla formata da cerchi d'oro per farlo divertire; una volta divenuto grandicello, i Ciclòpi gli fabbricarono gli strali del fulmine con cui si allenava a lanciarli. Un giorno mentre si divertiva a cavalcare la sua nutrice Amaltea, attaccandosi con molto vigore alla capra gli spezzò un corno; una giovane ninfa Melissa, ebbe pietà della capra e ne curò la ferita. Zeus per ringraziare la ninfa per le cure apportate alla capretta, prese il corno spezzato, che all'interno era vuoto e lo riempì di fiori e frutta, regalandolo poi a Melissa e promettendole che da quel corno miracoloso sarebbe scaturito fuori ogni cosa che il suo possessore avesse desiderato. Questo è appunto il corno dell'Abbondanza o Cornucopia, simbolo della fertilità del suolo.
Talvolta dobbiamo riposarci da noi stessi
Talvolta dobbiamo riposarci da noi stessi, guardando in profondità dentro di noi, da una distanza artistica; dobbiamo saper ridere e piangere di noi; dobbiamo scoprire l’eroe e anche il buffone che si nasconde nella nostra passione di conoscenza; dobbiamo ogni tanto essere contenti della nostra pazzia, se vogliamo poter essere ancora contenti della nostra saggezza
Friedrich Nietzsche
Friedrich Nietzsche
IL MIRACOLO DELLA NEVE
Gli eventi come ci vengono insegnati raramente coincidono con le scoperte archeologiche fatte fino ai giorni d'oggi. Si trovano, tracce di presenza umana in strati geologici risalenti a decine di milioni di anni fa,quando l'uomo (ci dicono) non doveva ancora esserci.Statuette, utensili,manufatti di ottima fattura incompatibili con le conoscenze tecnologiche di quel tempo. Costruzioni di alto ingegno e matematicamente perfette,ma a cui no riusciamo a dare un significato certo. Machu Picchu -Angkor Wat - Stonehenge - le Piramidi, le Linee di Nazca - ecc. Sono chiamati OOPART (Out Of Place Artifacts) cioè oggetti fuori tempo)
Queste tela è "Il Miracolo Della Neve" del pittore Masolino da Panicale, rappresenta uno stranissimo evento che ha come protagonista Papa Liborno (352-266 A.D.). Secondo la tradizione, il Papa sogno degli angeli, da loro ricevette l'ordine di costruire una basilica a Roma. Ma esattamente dove vi sarebbe stata una nevicata miracolosa. Il giorno dopo,ci fu una nevicata, strano fenomeno visto che si era in agosto.Questa strana sostanza bianca simile a neve cadde solo in un punto ben preciso di Roma e li fu edificata la nuova chiesa di S. Maria Maggiore. Nella tela del pittore si vede il pontefice che indica l'esatto perimetro della futura chiesa esattamente quella imbiancata dalla straordinaria neve. La si vede cadere dal cielo. Nella parte superiore della tela è rappresentato Cristo e la Vergine che osservano tale evento scena dai cieli. Sotto la neve cade da una grossa "nuvola", di uno strano colore grigiastro anche la forma è stana simile ad un sigaro,con delle strane forme sopra. Sotto la grossa "nuvola"si osservano altre più piccole. A un'osservazione attenta non appaiono comuni nubi ma hanno lineamenti netti.Un ulteriore stranezza sta nel fatto che alcune sembrano avere una cupola.A Siena nel 1954 c'è stato uno analogo fenomeno l'avvistamento di un UFO e dal cielo cadeva una strana sostanza bianca
Queste tela è "Il Miracolo Della Neve" del pittore Masolino da Panicale, rappresenta uno stranissimo evento che ha come protagonista Papa Liborno (352-266 A.D.). Secondo la tradizione, il Papa sogno degli angeli, da loro ricevette l'ordine di costruire una basilica a Roma. Ma esattamente dove vi sarebbe stata una nevicata miracolosa. Il giorno dopo,ci fu una nevicata, strano fenomeno visto che si era in agosto.Questa strana sostanza bianca simile a neve cadde solo in un punto ben preciso di Roma e li fu edificata la nuova chiesa di S. Maria Maggiore. Nella tela del pittore si vede il pontefice che indica l'esatto perimetro della futura chiesa esattamente quella imbiancata dalla straordinaria neve. La si vede cadere dal cielo. Nella parte superiore della tela è rappresentato Cristo e la Vergine che osservano tale evento scena dai cieli. Sotto la neve cade da una grossa "nuvola", di uno strano colore grigiastro anche la forma è stana simile ad un sigaro,con delle strane forme sopra. Sotto la grossa "nuvola"si osservano altre più piccole. A un'osservazione attenta non appaiono comuni nubi ma hanno lineamenti netti.Un ulteriore stranezza sta nel fatto che alcune sembrano avere una cupola.A Siena nel 1954 c'è stato uno analogo fenomeno l'avvistamento di un UFO e dal cielo cadeva una strana sostanza bianca
La nostra civiltà
Per portare avanti nella storia la nostra civiltà, abbiamo bisogno di una spinta da parte della civiltà stessa, perché ora è ferma: invece di fare storia, stiamo scrivendo il fallimento della nostra era.
(Ejay Ivan Lac)
FACE il robot che si emoziona
Riproduce emozioni e interagisce con gli esseri umani attraverso la comunicazione non verbale. E' FACE (Facial Automaton for Conveying Emotions), androide dalle sembianze femminili, che verrà presentato al Festival della Scienza di Genova sabato 3 novembre alle ore 10.30, nella Sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale. Il robot è stato realizzato da un team di ricercatori del Centro di Ricerca “E. Piaggio” dell’Università di Pisa, guidati dal prof. Danilo de Rossi, in collaborazione con la Hanson Robotics, di Dallas, USA.
FACE e’ stato utilizzato per la prima volta alla Fondazione Stella Maris di Pisa per diversi esperimenti su bambini affetti da autismo, chiamati a interpretare le espressioni facciali del robot sotto la guida di un terapeuta. I dati raccolti dall’interazione non verbale dei bambini con il robot serviranno a mettere a punto miglioramenti consistenti nei protocolli riabilitativi dei pazienti. L’interazione sociale dell'androide è resa possibile da microtelecamere poste negli occhi e microfoni nelle orecchie, che gli permettono di orientare lo sguardo verso l’interlocutore umano, analizzarne le espressioni facciali e la gestualità e inferire il suo stato emotivo.
La struttura del volto comprende più di 32 motori posti tra l’epidermide e la struttura ossea, che funzionano in modo simile ai nostri muscoli facciali, permettendo di controllare ogni minimo movimento e quindi generare una enorme quantità di espressioni anche molto complesse, a partire da sei stati emotivi di base: rabbia, disgusto, paura, felicità, tristezza, sorpresa.
Tratto- da Repubblica.It (Le scienze)
FACE e’ stato utilizzato per la prima volta alla Fondazione Stella Maris di Pisa per diversi esperimenti su bambini affetti da autismo, chiamati a interpretare le espressioni facciali del robot sotto la guida di un terapeuta. I dati raccolti dall’interazione non verbale dei bambini con il robot serviranno a mettere a punto miglioramenti consistenti nei protocolli riabilitativi dei pazienti. L’interazione sociale dell'androide è resa possibile da microtelecamere poste negli occhi e microfoni nelle orecchie, che gli permettono di orientare lo sguardo verso l’interlocutore umano, analizzarne le espressioni facciali e la gestualità e inferire il suo stato emotivo.
La struttura del volto comprende più di 32 motori posti tra l’epidermide e la struttura ossea, che funzionano in modo simile ai nostri muscoli facciali, permettendo di controllare ogni minimo movimento e quindi generare una enorme quantità di espressioni anche molto complesse, a partire da sei stati emotivi di base: rabbia, disgusto, paura, felicità, tristezza, sorpresa.
Tratto- da Repubblica.It (Le scienze)
Buchi neri
Buco nero alla deriva.
La scoperta avrà notevoli ripercussioni sulla comprensione della formazione e dell'evoluzione del primo universo.
Una titanica onda gravitazionale generata dalla fusione di due buchi neri ospitati da una stessa galassia ha proiettato il buco nero così formatosi al di fuori della galassia stessa.
L'evento, che era stato previsto sulla base di modelli teorici e simulazioni al computer, è stato osservato per la prima volta da ricercatori del Max-Planck-Institut per la fisica extraterrestre di Garching, presso Monaco di Baviera.
La scoperta - come spiegano i ricercatori in un articolo pubblicato sulle Astrophysical Journal Letters del prossimo 10 maggio - avrà notevoli ripercussioni sulla comprensione della formazione e dell'evoluzione del primo universo.
Quando due buchi neri si fondono, le onde gravitazionali prodotte vengono emesse prevalentemente in una direzione, sortendo l'effetto di spingere il buco nero appena formatosi nella direzione opposta.
E se la velocità a esso impressa da questa spinta è sufficientemente elevata, il buco nero può venire espulso dalla galassia.
E questo è proprio quanto è avvenuto al buco nero noto con la sigla SDSSJ092712.65+294344.0.
L'attenzione dei ricercatori, che hanno per la prima volta rilevato gli effetti di un evento di questo tipo grazie alle osservazioni del satellite ROSAT, è stata attratta dall'elevata velocità di spostamento - oltre 2650 chilometri al secondo - della nuvola di gas che costituisce il disco di accrescimento di un buco nero supermassiccio, dotato di una massa circa 100 milioni di volte superiore a quella del Sole.
L'evento conferma quindi le previsioni fatte sulla base della teoria generale della relatività, ma c'è anche un'altra implicazione della scoperta: da un lato, esistono galassie prive di un buco nero al loro centro e, dall'altro, negli spazi intergalattici devono vagare buchi neri solitari.
Questa circostanza - come osserva Stefanie Komossa, che ha diretto la ricerca - pone altre questioni: Galassie e buchi neri si sono evoluti assieme nel primo universo?
Qual è la consistenza della popolazione di galassie di questo tipo? Le galassie private del loro buco nero subiscono un'evoluzione differente dalle altre? Domande a cui ora i ricercatori cercheranno di rispondere.
Tratto. da Repubblica.it(le scienze)
La scoperta avrà notevoli ripercussioni sulla comprensione della formazione e dell'evoluzione del primo universo.
Una titanica onda gravitazionale generata dalla fusione di due buchi neri ospitati da una stessa galassia ha proiettato il buco nero così formatosi al di fuori della galassia stessa.
L'evento, che era stato previsto sulla base di modelli teorici e simulazioni al computer, è stato osservato per la prima volta da ricercatori del Max-Planck-Institut per la fisica extraterrestre di Garching, presso Monaco di Baviera.
La scoperta - come spiegano i ricercatori in un articolo pubblicato sulle Astrophysical Journal Letters del prossimo 10 maggio - avrà notevoli ripercussioni sulla comprensione della formazione e dell'evoluzione del primo universo.
Quando due buchi neri si fondono, le onde gravitazionali prodotte vengono emesse prevalentemente in una direzione, sortendo l'effetto di spingere il buco nero appena formatosi nella direzione opposta.
E se la velocità a esso impressa da questa spinta è sufficientemente elevata, il buco nero può venire espulso dalla galassia.
E questo è proprio quanto è avvenuto al buco nero noto con la sigla SDSSJ092712.65+294344.0.
L'attenzione dei ricercatori, che hanno per la prima volta rilevato gli effetti di un evento di questo tipo grazie alle osservazioni del satellite ROSAT, è stata attratta dall'elevata velocità di spostamento - oltre 2650 chilometri al secondo - della nuvola di gas che costituisce il disco di accrescimento di un buco nero supermassiccio, dotato di una massa circa 100 milioni di volte superiore a quella del Sole.
L'evento conferma quindi le previsioni fatte sulla base della teoria generale della relatività, ma c'è anche un'altra implicazione della scoperta: da un lato, esistono galassie prive di un buco nero al loro centro e, dall'altro, negli spazi intergalattici devono vagare buchi neri solitari.
Questa circostanza - come osserva Stefanie Komossa, che ha diretto la ricerca - pone altre questioni: Galassie e buchi neri si sono evoluti assieme nel primo universo?
Qual è la consistenza della popolazione di galassie di questo tipo? Le galassie private del loro buco nero subiscono un'evoluzione differente dalle altre? Domande a cui ora i ricercatori cercheranno di rispondere.
Tratto. da Repubblica.it(le scienze)
I Mammut
Ci sono state diverse teorie per spiegare l'estinzione dei mammut, gli enormi proboscidi che hanno popolato il pianeta fino a circa 3.500 anni fa, alla fine dell'ultima grande glaciazione. Si è parlato di devastanti epidemie, disastri naturali e extraterrestri, come l'esplosione di una cometa nell'atmosfera. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si identifica come colpevole l'uomo o il cambiamento climatico.
Lo scorso martedì è stato presentato uno studio che incolpa sia il riscaldamento terrestre sia la caccia. La ricerca, pubblicata sull'ultimo numero della rivista PloS Biology da un team di ricercatori spagnoli, ha rilevato che l'aumento della temperatura ha ridotto l'habitat dei mammut, e quando gli umani sono entrati nel loro territorio circa seimila anni fa la specie era già appesa a un filo.
Gli scienziati, guidati David Nogues-Bravo (ricercatore presso il Museo Nacional Ciencias Naturales di Madrid) hanno comparato i modelli matematici del clima con gli studi sui resti fossili degli animali provenienti da diversi siti, in un'epoca compresa tra i 6.000 e i 126.000 anni fa, determinando quale ruolo ha giocato il clima e quale la presenza umana.
Ciò che lo studio mostra è che il riscaldamento climatico ha spinto gli animali che prosperavano nella fredda e umida tundra sull'orlo dell'estinzione, e l'uomo ha provveduto al colpo di grazia: quando gli umani si sono spinti nel loro habitat di seimila anni fa, ormai era ristretto alla sola Siberia artica.
Basandosi sulla popolazione dei mammut del periodo, i ricercatori stimano che sarebbe bastato uccidere appena un animale ogni tre anni per portare la specie alla definitiva scomparsa.
Fonte: http://ulisse.sissa.it/
Gli oceani questi sconosciuti
Creature giganti in Antartide. La scoperta e' di alcuni scienziati australiani che hanno catturato meduse con tentacoli lunghi 6 metri, ragni marini grandi come un piatto, vermi enormi. E il 25% degli organismi ritrovati dagli esperti era finora sconosciuto. Una grande scoperta che dimostra come il mare sia ancora ignoto. ''Sappiamo appena il 2% di quello che nasconde il mare. Una cifra simbolica per dire che siamo quasi a zero di questi sette/decimi del nostro Pianeta'', ha commentato l'esperto di mare e documentarista Folco Quilici.
''Basti pensare che - ha aggiunto Quilici - i calamari giganti sono alcuni milioni, visto che costituiscono il cibo quotidiano per i capodogli che a loro volta sono ancora un milione nelle acque del mondo. Ogni capodoglio mangia 250 chili di calamari al giorno. Non sono tutti giganti, ma la maggioranza sì e noi non abbiamo testimonianza di questi svariati milioni di creature grandi come Suv». Il fatto - prosegue Quilici - è che il mare ci deve dire tutto. Per esempio non sappiamo cosa ci sia sotto la calotta polare nel nord. I sottomarini che l’hanno percorsa non riescono a vedere nulla.
E allora cerchiamo di non distruggere il mare prima di conoscerlo". Non a caso la spedizione che ha fatto venire alla luce questi nuovi giganti del mare ha lo scopo di effettuare un censimento delle forme di vita presenti in Antartico, in mare aperto e sotto i ghiacci, oltre a definire un archivio di dati che consentirà di osservare cambiamenti futuri. Il progetto si chiama Collaborative East Antarctic Marine Census (Ceamarc) e fa parte di un progetto coordinato dall’Australian Antarctic Division, che prevede altre 16 spedizioni nell’ambito dell’International Polar Year (2007-2009). Le tre navi impegnate nell’ultima esplorazione, Aurora Australias, la francese Astrolabe e la giapponese Umitaka Maryu, hanno attraccato a Hobart, in Tasmania, cariche di esemplari da analizzare. Alcune creature, trovate ad una profondità tra i 200 e i 1.400 metri, pesano oltre 30 kg.
"Gli esemplari ritrovati verranno inviati ad università e musei in giro per il mondo per l’identificazione, la catalogazione dei tessuti e l’analisi del loro Dna - afferma Graham Hosie, alla guida del progetto sulla Umitaka Maru - non tutte le creature che abbiamo rinvenuto potranno essere identificate ed è molto probabile che alcune nuove specie saranno registrate come risultato di questi viaggi". In ballo non c’è solo il censimento, ma anche comprendere l’impatto dei mutamenti climatici nelle acque dell’Antartico: "Abbiamo visto vaste distese coralline basate su organismi calcarei - spiega Martin Riddle, alla guida del gruppo di ricerca sulla Aurora Australias - e proprio questi sono quelli che potrebbero andare perduti, a causa della crescente acidità delle acque". "Il gigantismo è una caratteristica comune nelle acque antartiche - ha aggiunto Riddle - dove abbiamo raccolto vermi enormi, crostacei giganti e ragni grandi come piatti. Molti vivono al buio - ha proseguito - e hanno occhi grandi che conferiscono loro uno strano aspetto". La spedizione antartica australiana aiuterà gli scienziati a capire quanto l’impatto dei cambiamenti climatici, come l’acidificazione delle acque dovuta all’aumento dei livelli di ossido di carbonio nell’atmosfera, possa condizionare la crescita degli organismi marini. "Si prevede che i primi effetti di questo processo saranno visibili nelle acque profonde dell’Antartide", ha detto Riddle. Fonte: www.ansa.it
''Basti pensare che - ha aggiunto Quilici - i calamari giganti sono alcuni milioni, visto che costituiscono il cibo quotidiano per i capodogli che a loro volta sono ancora un milione nelle acque del mondo. Ogni capodoglio mangia 250 chili di calamari al giorno. Non sono tutti giganti, ma la maggioranza sì e noi non abbiamo testimonianza di questi svariati milioni di creature grandi come Suv». Il fatto - prosegue Quilici - è che il mare ci deve dire tutto. Per esempio non sappiamo cosa ci sia sotto la calotta polare nel nord. I sottomarini che l’hanno percorsa non riescono a vedere nulla.
E allora cerchiamo di non distruggere il mare prima di conoscerlo". Non a caso la spedizione che ha fatto venire alla luce questi nuovi giganti del mare ha lo scopo di effettuare un censimento delle forme di vita presenti in Antartico, in mare aperto e sotto i ghiacci, oltre a definire un archivio di dati che consentirà di osservare cambiamenti futuri. Il progetto si chiama Collaborative East Antarctic Marine Census (Ceamarc) e fa parte di un progetto coordinato dall’Australian Antarctic Division, che prevede altre 16 spedizioni nell’ambito dell’International Polar Year (2007-2009). Le tre navi impegnate nell’ultima esplorazione, Aurora Australias, la francese Astrolabe e la giapponese Umitaka Maryu, hanno attraccato a Hobart, in Tasmania, cariche di esemplari da analizzare. Alcune creature, trovate ad una profondità tra i 200 e i 1.400 metri, pesano oltre 30 kg.
"Gli esemplari ritrovati verranno inviati ad università e musei in giro per il mondo per l’identificazione, la catalogazione dei tessuti e l’analisi del loro Dna - afferma Graham Hosie, alla guida del progetto sulla Umitaka Maru - non tutte le creature che abbiamo rinvenuto potranno essere identificate ed è molto probabile che alcune nuove specie saranno registrate come risultato di questi viaggi". In ballo non c’è solo il censimento, ma anche comprendere l’impatto dei mutamenti climatici nelle acque dell’Antartico: "Abbiamo visto vaste distese coralline basate su organismi calcarei - spiega Martin Riddle, alla guida del gruppo di ricerca sulla Aurora Australias - e proprio questi sono quelli che potrebbero andare perduti, a causa della crescente acidità delle acque". "Il gigantismo è una caratteristica comune nelle acque antartiche - ha aggiunto Riddle - dove abbiamo raccolto vermi enormi, crostacei giganti e ragni grandi come piatti. Molti vivono al buio - ha proseguito - e hanno occhi grandi che conferiscono loro uno strano aspetto". La spedizione antartica australiana aiuterà gli scienziati a capire quanto l’impatto dei cambiamenti climatici, come l’acidificazione delle acque dovuta all’aumento dei livelli di ossido di carbonio nell’atmosfera, possa condizionare la crescita degli organismi marini. "Si prevede che i primi effetti di questo processo saranno visibili nelle acque profonde dell’Antartide", ha detto Riddle. Fonte: www.ansa.it