mercoledì 7 novembre 2012

I media informano sempre bene e dettagliatamente sulle......stupidaggini

Ad Atene è rivolta e in America è festa. I nostri tg: 20 minuti per Obama e 30 secondi per Atene! VERGOGNA
Breve riflessione sulle priorità dei media italiani. 
In un momento storico/geografico come quello che la nostra bistrattata Europa vive, appare più interessante il racconto minuzioso e con tanto di dettagli succulenti della vittoria del presidente Obama.
Ma è davvero più interessante o solo funzionale all'oscurantismo che vige nell'informazione italiana?
Ad un mediocre cittadino come me sorge un dubbio:”Perché la televisione dedica solo pochi secondi a ciò che di forte e potente avviene difronte alla nostra terra?
Perché non dettaglia l'informazione sulla rabbia e la disperazione che la Grecia sta vivendo e provando per l'ennesimo sopruso?
Di quale sopruso sto parlando?
Se vi dicessi che la Corte Suprema greca ha giudicato “incostituzionale” la riduzione del 27% degli stipendi dei giudici previsto nel pacchetto di misure di austerità che ne direste?
Beh, la Corte ha sottolineato come la Costituzione preveda che i salari dei giudici siano proporzionali a quelli dei deputati che (volete proprio ve lo dica?) non è stato oggetto di alcun taglio.
Ora, posto che in Italia si pensa solo al proprio orticello e fa notizia più una certa farfallina che una molotov lanciata per disperazione e per protesta contro un governo che sta producendo milioni tra nuovi senza tetto, esodati e miserrimi individui senza più futuro, ma possibile che a nessuno suoni strano la quasi totale assenza di aggiornamenti sull'accerchiamento al Parlamento dov'è in discussione una legge sugli ulteriori tagli?
Voglio essere spigolosa e malpensante:
IN ITALIA L'INFORMAZIONE E' FILTRATA, ATTONITA E CENSURATA PERCHE' TROPPO STIMOLANTE....
Meglio tenere il popolo imbambolato davanti all'immagine della coppia che si abbraccia sotto un cielo plumbeo che dargli spunti e stimoli per alzare la testa e lottare per combattere la miseria che ci stanno confezionando per il prossimo futuro.
Voglio lasciarvi riflettere su questa differente attenzione agli eventi che ci circondano.
O forse dovrei essere ancora più malpensante e ritenere che gli U.S.A. sono un po' troppo lontani da ispirarci.... e un'elezione (seppur con le conseguenze che ne deriveranno) non costituisca un pericolo per le nostre menti alla deriva? Io ci rifletto sopra, voi continuerete a voler solo sapere con quale percentuale di scarto il perdente antagonista del presidente di colore è stato battuto? Intanto inizio il conto alla rovescia e,ad occhio e croce, abbiamo un annetto per vivere le identiche tragedie.....
Ma non ditelo ad alta voce, gli altri non devono saperlo...
Giusy De Gregorio

L'isola Tiberina


La sacra Insula Tiberina, è originata da rocce vulcaniche e depositi fluviali accumulati nei millenni nel punto in cui, allargandosi il Tevere, il livello dell’acqua si abbassa e la corrente è più lenta. Nella Forma Urbis Severiana aveva nome di "inter duos pontes", perchè in seguito fu collegata all'Urbe da due magnifici ponti. Fu l'isola in cui si rifugiarono le prime abitazioni romane, avendo all'inizio un solo guado e quindi più facilmente difendibile, guado che fu poi sostituito da un ponte di legno. L'isola, detta anche Licaonia per la presenza del tempio di Gioce Licaonio, è dunque situata sul Tevere nel centro storico di Roma, collegata da due ponti. La leggenda tramanda che si formò subito dopo la cacciata del re, nel 510 a.c., tagliando i fasci di grano mietuto a Campo Marzio, di proprietà del re Tarquinio il Superbo, raccolto nelle ceste, e gettato in quel punto del fiume, generando pian piano l’isolotto. L'inverosimile leggenda nasce da un culto molto antico, in cui si sacrificavano le primizie del raccolto, benedicendolo nelle ceste che venivano poi gettate nel fiume per ingraziarsi la divinità fluviale. I fasci di grano, oltre ad essere sacri a Cerere, lo furono alla Mater Matuta e alla Dea Opi, tutte Dee italiche. E' possibile che la cacciata dei Tarquini abbia dato luogo allo stesso culto di ringraziamento. Contemporaneamente ai due ponti fu lastricato il Vicus Censorius che collegava i due ponti all'interno dell'isola. Della forma di nave, resta ancora visibile la prua, con blocchi di travertino che rivestono l'interno in peperino, e decorazioni raffiguranti Esculapio con il suo serpente e una testa di toro per gli ormeggi.

Al centro vi era un obelisco, a raffigurare un albero maestro simbolico, ricordo dell'arrivo nel 292 a.c. da Epidauro della divinità. Nel 293 a.c., ci fu infatti un grande peste a Roma. Per la consultazione con la Sibilla, il Senato romano fece costruire un tempio di Esculapio, e inviò una delegazione a bordo di una nave a vela ad Epidauro per ottenere una statua della divinità. Ottennero invece un serpente da un tempio che posero a bordo della loro nave. Il serpe si arroltolò intorno all'albero della nave, presagio molto fausto. Al ritorno sul Tevere, il serpente scivolò dalla nave e nuotò verso l'isola, segno che voleva il suo tempio su quell'isola. Dopo la sua costruzione infatti la peste svanì miracolosamente. Nel I secolo a.c., furono costruiti in muratura, con rivestimenti di granito, i due bei ponti Fabricio e Cestio, detto anche di S. Bartolomeo. Il Ponte Cestio, che congiunge l'isola Tiberina col Trastevere, fu edificato da Cestio Console, di era repubblicana. Da due iscrizioni, che sono in ambedue i lati del ponte si testimonia che fu rifatto da Valentiniano, Valente, e Graziano. Il ponte Fabricio, da Fabricio Console che lo edificò, come si legge nelle antiche iscrizioni poste sopra i grandi archi. Prese poi il moderno nome di ponte Quattro Capi da vari simulacri di Giano quadrifonte, ch'erano prima sul medesimo ponte, uno dei quali rimane ora incontro la Chiesa di s. Giovanni Colabita. Gli argini vennero in parte rivestiti sempre in travertino in opera quadrata, dando all'isola la forma di una nave. Un piccolo obelisco, situato nella parte centrale dell’isola stessa, doveva dare infine l’impressione di un albero per le vele. Con la costruzione dei ponti, l’isola Tiberina viene unita stabilmente alle due sponde e acquista la denominazione «inter duos pontes», leggibile anche su un frammento della Pianta Marmorea Severiana.

Che l'isola fosse sacra lo prova la presenza di molti templi, tra cui il tempio di Esculapio, il Dio greco della medicina, il tempio di Giove, il tempio di Veiove, il tempio di Fauno, edificato da Domizio Enobarbo con i danari della multa posta ai Mercanti di pecore e il tempio Tiberino dedxicato al Dio Tevere. Nella parte settentrionale si trovavano, ora situati fra le fondamenta dell'Ospedale Fatebenefratelli, i due templi dedicati nel 194 a.c. a Fauno e Veiove; un sacello per Iuppiter Iuralius, il "garante dei giuramenti", oggi sotto la chiesa di San Giovanni Calibita, ma in cui un pavimento musivo mostra ancora la dedica al Dio. poi un'ara dedicata al Dio Semo Sancus, Deus Fidius, di origine sabina. Altri templi erano dedicati a Gaia la Dea Terra, preposta anch'essa ai giuramenti, e a Bellona, detta Insulensis, Dea della guerra. Il Tempio di Esculapio sorse nella parte meridionale dell'isola, nel luogo oggi occupato dalla chiesa di San Bartolomeo: al suo interno un pozzo testimonia la fonte collegata al santuario. Ai lati del tempio si trovava un portico per l'accoglienza dei pellegrini e soprattutto dei malati. Questi venivano ospitati nel tempio in attesa della guarigione miracolosa da parte di Esculapio, Dio della medicina, e poichè il miracolo non costava mentre i medici costavano, molti romani portavano là i propri schiavi malati, si che Augusto emise in editto per cui ogni schiavo guarito nel tempio diventava automaticamente libero, di modo che i padroni perdevano ogni diritto su di lui.


 STAMPA DEL PIRANESI CON LA PARTE ANTERIORE DELL'ISOLA A FORMA DI NAVE

Come tutti i templi pagani anche quelli dell'isola tiberina vennero distrutti o trasformati in chiese. Nel 998 poi l'imperatore cattolico Ottone III costruì la chiesa di San Bartolomeo all'Isola sopra il Tempio di Esculapio, le cui rovine sono sul lato est dell'isola. Il Papa fece rimuovere quindi l'obelisco e lo sostituì con una colonna sormontata da una croce, dove il 24 agosto di ogni anno si affiggeva l'elenco di chi non aveva seguito il precetto pasquale, per consegnare il malcapitato al pubblico ludibrio. Distrutta la colonna dall'urto di un carro nel 1867, Papa Pio IX vi pose un'edicola, detta "Spire", con le statue dei quattro santi legati all'isola: S. Bartolomeo, S. Paulino di Nola, S. Francesco di Nola e S. Giovanni. Le parti dell'obelisco sono state recuperate e ora conservate nel museo di Napoli. Sopra gli avanzi del Tempio di Giove Licaonio, di cui soi conserva l'incisione, vi è ora la Chiesa di S.Giovanni Colabita con 12 colonne sottratte all'antico tempio quasi tutte di granito. Anche se il tempio di Esculapio ora si trova in profondità sotto San Bartolomeo, l'isola è ancora considerato un luogo di cura, perché un ospedale, fondato nel 1584, fu costruito sull'isola ed è ancora operativo. L'ospedale non è stato costruito sullo stesso luogo, come il tempio, ma trova sulla parte occidentale dell'isola. In un cortiletto del convento dei Colabitii è incastrata nel muro la base coll'iscrizione della statua di Esculapio qui trovata, poi trasportata negli Orti Farnesi. Accanto a detta iscrizione ve n' è un'altra, che appartiene ad una statua di Semoni Sanco, appellativo in antica lingua Sabina di Ercole. Restano alcune parti della sagoma della nave in travertino: la poppa con un timone e la figura di Esculapio, non più in loco, nonché il simbolo di Esculapio, il caduceo con un serpente intrecciato, ancora visibile sulla "prua" dell'isola, oltre ad alcune teste leonine per ancorare le imbarcazioni.

La satira nel mondo

Un attore si esibisce nello spettacolo satirico
Satira a suon di musica Trucco verde, volto espressivo e abiti vistosi: sono i tre ingredienti principali per realizzare un buon Ottamthullal, una delle danze più suggestive dello stato indiano del Kerala. Più che di una semplice danza, in realtà, si tratta di una specie di one man show. Tutto lo spettacolo infatti si regge sulla bravura di un singolo attore che oltre a ballare, recita e improvvisa canzoni di contenuto comico e satirico. Si racconta che ad inventare questa forma d’arte sia stato, durante il 1700, un famoso poeta locale che, appisolatosi mentre si esibiva in uno spettacolo tradizionale, fu aspramente deriso dal pubblico. Indignato inventò un nuovo tipo di rappresentazione più attuale e divertente, per prendersi gioco – a suon di musica – dei pregiudizi politici e culturali dell’epoca.

Il monte Emei (峨嵋山,

 峨嵋山, letteralmente Montagna del Sopracciglio Delicato) è una montagna nella provincia del Sichuan (centro-ovest della Cina). L'Emei è uno dei quattro monti sacri della tradizione cinese, condiviso sia dal buddhismo che dal taoismo. Il patrono Bodhisattva dell'Emei è Samantabhadra (noto in Mandarino come Puxian). Alcuni dei monasteri associati a tale monte sono noti per lo studio delle arti marziali cinesi, soprattutto lo Huotianlong. L'insieme di stili praticati ed originari di queste montagne è detto Emeipai. Il monte Emei è stato proclamato patrimonio dell'umanità nel 1996.
l monte Emei, chiamato anche “Monte della grande luce”, si trova nella zona centro-meridionale della provincia del Sichuan, nella Cina occidentale, nella cintura di transizione fra il bacino del Sichuan e l’altopiano Qinghai-Tibet. La cima più alta è quella dei Diecimila Budda, di 3099 metri. Il monte è famoso in Cina e nel mondo per il paesaggio naturale e la sua tradizione buddista, con una perfetta combinazione di bel paesaggio e cultura storica, da cui l’appellativo di “più bello del mondo”. Il monte Emei si trova in una zona di incrocio fra vari elementi naturali, con sistemi dalle composizioni complesse, una gran ricchezza di specie biologiche e un completa copertura vegetale subtropicale. La copertura forestale raggiunge l’ 87 %. Il monte ospita 242 famiglie di piante superiori e 3200 specie, pari a 1/10 del totale nazionale, con più di 100 specie originarie del monte, o ivi scoperte e diventate famose. Inoltre il monte ospita più di 2300 specie di animali, di cui molte rare. Si tratta di un’ importante area di ricerca sui problemi più significativi dei biosistemi regionali mondiali.
Il monte Emei è anche uno dei quattro famosi monti buddisti della Cina. La diffusione del Buddismo e la costruzione e la prosperità dei templi hanno impresso al monte colori mitici. La cultura religiosa, in particolare la cultura buddista, ha creato la base della cultura storica del monte, per cui tutti gli edifici, le statue e gli strumenti buddisti, oltre che i riti, la musica e le pitture murali presentano tutti un’ intensa atmosfera religiosa. Fra i numerosi templi spiccano gli “otto templi dalla punta dorata”, fra cui il tempio Baoguosi (della tutela del paese) e il tempio dei Diecimila anni.
Il Budda del monte Leshan si trova nella parte est del massiccio dell’Emei, sul Monte della fenice che riposa: conosciuto nell’antichità come “Statua di Maitreya” e “Grande Budda Jiading”, la sua costruzione iniziò nel primo anno Kaiyuan della dinastia Tang (713), per terminare solo dopo 90 anni. Scolpita sul fianco del monte, di fronte al fiume, è la maggiore statua di pietra del mondo lungo una parete, da cui l’espressione “il monte è il Budda, il Budda è il monte”. Si tratta di un Budda Maitreya seduto in direzione ovest, dal viso solenne e un’ altezza di 71 metri. Dalla scultura accurata, presenta linee fluide e una perfetta proporzione fra le parti, esprimendo la grandezza della cultura del periodo più fiorente della dinastia Tang. Ai lati del Budda, in direzione nord-sud, si trovano circa 90 nicchie con sculture in pietra di epoca Tang, fra cui non mancano i capolavori.
Particolare del piede del Budda
Il vertice all'alba è mozzafiato. Un gigante surreale e Avalokitesvara Bodhisattva statua di oro rivestite illumina con la luce solare attraverso il fumo di centinaia di candele. L'odore di incenso permea ogni cosa. I devoti fedeli ruotano intorno alla statua colossale al ritmo delle campane. Il vertice è precipitato a vuoto sul lato est, con una scogliera verticale di circa un migliaio di metri di caduta libera. La vista spazia sulla pianura della scogliera
Tempio ai piedi del monte Emei

Borobudur -Giava -Indonesia

Borobudur (più correttamente Barabuḍur) è il nome di un tempio buddhista Mahāyāna risalente circa all'800 d.C. situato in Indonesia nella parte centrale dell'isola di Giava a circa 42 chilometri da Yogyakarta), patrimonio mondiale dell'UNESCO. È stato oggetto di paragone con altre opere colossali dell'antichità (ad esempio le Piramidi di Giza); ha infatti una base di 122 metri quadrati ed un'altezza di 35 metri, poggia su circa 1.600.000 colossali blocchi di pietra e le sue pareti sono ricoperte da 2.672 bassorilievi (per una lunghezza complessiva che supera i 5 km e una superficie che arriva agli 8 km²) di cui più di 1.400 narranti storie riguardanti Buddha e da 504 statue dedicate a quest'ultimo.
La costruzione cominciò all'incirca nell'800 d.C., si suppone in un periodo tra il 750 e l'830 e venne commissionata dalla dinastia regnante in quel momento, i Sailendra, all'apice del loro splendore e potere. Non si sa con precisione se la costruzione iniziò ad opera di sovrani induisti o buddhisti La scelta del luogo fu attentamente studiata, in quanto la piana in cui si erge ricordava contemporaneamente diversi luoghi sacri per la popolazione, infatti poco lontano dal tempio si può trovare una confluenza di due fiumi che ricorda quella dei fiumi Gange e Yumna considerata sacra in molte culture; inoltre sullo sfondo del paesaggio si può notare una catena montuosa che ha alcuni tratti concordanti con il profilo dell'Himalaya, la catena montuosa sacra anch'essa per molte culture. L'architetto che la progettò fu Gunadharma, il quale venne assistito da alcuni monaci particolarmente saggi in ogni genere di disciplina provenienti da tutte le parti del mondo, il monumento risente infatti di influenze indiane, persiane e anche babilonesi; richiese la manodopera di più di 10.000 persone per circa 75 anni e finì poco prima della fine della dinastia ad opera di Mataram.
Dopo la fine dei Sailendra, la nuova dinastia mantenne questa costruzione e ne edificò altre simili nei paraggi (i famosi templi di Prambanan). L'attività di questo tempio durò poco perché una serie di cataclismi naturali costrinse i residenti ad abbandonare la zona, in seguito ad una eruzione vulcanica (si suppone poco dopo l'anno mille) il tempio venne completamente sommerso dai detriti, in seguito su questi detriti crebbe una vegetazione. Nei secoli successivi iniziò un processo di conversione e nel XV secolo la popolazione era in maggior parte di culto islamico e quindi nessuno più era interessato a questo colossale luogo di culto al punto che se ne perse anche la memoria e rimase solo nelle tradizioni popolari.
Il governatore Thomas Stamford Raffles, si deve il ritrovamento di questo ed altri monumenti questi era un grande appassionato di archeologia e di storia locale. Fu proprio lui che messo al corrente della leggenda del tempio-montagna decise di intraprendere una ricerca. Trovarono ciò che cercavano nei pressi del villaggio di Bumisegoro e cominciarono a lavorare per riportare tutto alla luce, i lavori finirono verso la metà del secolo.
L'edificio è strutturato in 10 terrazze (corrispondenti alle 10 fasi del cammino spirituale verso la perfezione), le quali sono divise in tre gruppi, anche questo non è casuale ma ha un significato ben preciso, infatti rappresentano i tre regni del saṃsāra:
il primo livello rappresenta la vita nelle spirali del desiderio ("regno del desiderio" o kāmadhātu); i 5 livelli quadrati rappresentano la progressiva emancipazione dai sensi ("regno della forma pura" o rupadhātu);
Le ultime tre terrazze circolari simboleggiano il cammino progressivo verso il definitivo nirvāṇa ("regno del senza-forma" o arūpyadhātu). Arrivati in cima si può constatare che la struttura si evolve in una serie di spazi aperti e non più in stretti passaggi; sulla cima dell'edificio è presente una serie di stupa con una centrale che non eccelle per dimensioni, infatti è poco più grande delle altre e la sua architettura è simile alle altre, quindi la cima non è il punto di culmine del viaggio, ma è il viaggio il culmine di se stesso. L'intero cammino è caratterizzato dalla presenza costante e ripetuta di nicchie contenenti statue di Buddha e ogni Buddha è diverso dagli altri. Facendo questo cammino il devoto buddhista meditava lungo le terrazze successive ricche di progressivi insegnamenti, accumulando meriti e liberandosi progressivamente dalla "mondanità", giungendo infine alla liberazione della sofferenza ovvero al nirvāṇa, rappresentato dalla sommità del monumento.

La Grande Muraglia

La Grande Muraglia, nota come una delle sette meraviglie del mondo, è il maggiore progetto difensivo dell’antichità eretto nel periodo di tempo più lungo. Sulla mappa cinese le sue grandiose mura si estendono per quasi 7000 km. Nel 1987 la Grande Muraglia è stata inserita nella lista del Patrimonio Mondiale. L’inizio della costruzione della Grande Muraglia si può far risalire al nono secolo a.C. Per difendersi dagli attacchi delle minoranze etniche che vivevano nel nord, i governanti della Cina centrale collegarono le torri di vedetta con muraglie, formando alla fine la Grande Muraglia. Nel periodo dei Regni Combattenti (VII-VI sec. a.C.), a causa delle continue lotte e per autodifesa, i regni costruirono grandi muraglie. Nel 221 a.C., dopo aver unificato la Cina, l’imperatore Qing Shihuang collegò le grandi muraglie costruite dai vari regni, in modo da formare una barriera al confine settentrionale, così da difendersi dagli attacchi delle popolazioni nomadi provenienti dalle praterie della Mongolia Interna. Allora la Grande Muraglia superava ormai i 5000 km. Dopo la dinastia Qin, la dinastia Han prolungò la Grande Muraglia a 10.000 km. In oltre 2000 anni di storia, i governanti di ogni periodo hanno costruito in varie dimensioni la Grande Muraglia, per una lunghezza totale superiore a 50.000 km, sufficiente a fare un giro completo della terra.

Parlando attualmente della Grande Muraglia, si indica di solito la Grande Muraglia costruita al tempo della dinastia Ming (1368-1644). La Grande Muraglia inizia ad ovest dal Passo di Jiayuguan, nella provincia del Gansu, raggiungendo ad est il fiume Yalujiang, nella provincia del Liaoning, attraversando 9 province, città e regioni autonome, con una lunghezza di 7300 km. Come un’ opera difensiva, la Grande Muraglia è stata costruita seguendo i pendii dei monti, attraversando deserti, praterie e paludi, con una struttura molto complessa. Secondo la situazione del terreno, i costruttori hanno adottato diverse strutture speciali, il che dimostra l’intelligenza degli antenati della nazione cinese. La Grande Muraglia è realizzata all’esterno con grandi mattoni e lastre di pietra, mentre all’interno si trova della terra dell’altopiano del loess e pietre frantumate. Ha un'altezza media di circa 10 m, una larghezza di 6,5 m alla base e 5,5 m alla sommità, e sulla cima possono passare 4 cavalli affiancati, facilitando il trasporto delle truppe, del cibo e delle armi. All’interno della mura ci sono scale di accesso di pietra, che faciltano la salita e la discesa. Ad una certa distanza si trovano fortini e torri di segnalazione. I fortini servivano come deposito di armi e cibo e per il riposo dei soldati, riparandoli anche in caso di incursioni nemiche, mentre dalle torri si potevano fare segnalazioni, trasmettendo informazioni in tutto il paese. Attualmente la funzione militare della Grande Muraglia è ormai venuta meno, tuttavia la sua particolare bellezza architettonica non finisce di stupire. La bellezza della Grande Muraglia è maestosa, risoluta e grezza. Le alte mura lunghe diecimila li (5000 km), serpeggianti lungo i monti, ne delineano il chiaro profilo, come un drago che danza maestoso nell’aria; vista da vicino, la grandiosa Grande Muraglia, con le mura in movimento, le alte piattaforme e le torri di segnalazione, forma un meraviglioso dipinto con punti, linee e piani in movimento, ricco di un grande fascino artistico. La Grande Muraglia è dotata di un grande significato culturale e storico e di un forte valore turistico. In Cina si dice che chi non sale sulla Grande Muraglia non è un vero uomo. Tutti i turisti cinesi e stranieri considerano la visita alla Grande Muraglia un onore, in modo particolare i leader stranieri. Alcuni tratti della Grande Muraglia ben conservati, come Badaling, Simatai, Mutianyu, Shanghaiguan, chiamato “il primo passo del mondo”, e Jiayuguan, nella provincia del Gansu, all’estremità occidentale, costituiscono famosi siti turistici visitati ogni anno da un gran flusso di appassionati.

La Grande Muraglia concentra l’intelligenza, il sangue e il sudore di centinaia di migliaia di antichi cinesi; dopo migliaia di anni, rimane ferma nella sua imponenza. La sua maestosità ed eterno incantesimo sono diventati il simbolo della continuità di generazione in generazione della nazione cinese e del suo spirito. Nel 1987 “il simbolo della nazione cinese” è stato inserito nella lista del Patrimonio Mondiale.

I vecchi

Pensiero di Simone De Beauvoir sulla vecchiaia 
Tratto dal suo libro - La terza età.  

Nel 1970, S. de B. si è posta il problema di sondare filosoficamente il mondo della vecchiaia .
Certo è che la vecchiaia diventa problema solo in una società che ha mitizzato la giovinezza :
è dal dopoguerra che qualcosa di simile è accaduto.
In primo luogo, la vecchiaia non è un elemento necessario della vita, nel senso che si può morire prima come si può essere uomini appieno senza aver fatto esperienza della senilità.
Ciò che è rilevante è che, attraverso una analisi della vecchiaia, è possibile cogliere quelli che sono i nodi non risolti della vita sociale ed i veri e propri mali di un sistema culturale :
un sistema che svuota la vita stessa di valore e di significato e che quindi attua una "scandalosa politica della vecchiaia" fin dai primi anni .
Una civiltà che si interessa dei giovani come dei vecchi solo per i suoi fini, che tiene la gran massa dei vecchi sul limite dell’indigenza, come la massa dei giovani su quello della disoccupazione, è un fallimento.
E tutti i sistemi sociali contemporanei hanno fallito su questo piano, creando nei vecchi una nuova categoria di emarginati, accanto ai poveri, agli immigrati da altri continenti, ai malati di mente.
SIMONE DE BEAUVOIR

Una donna che ha rotto tutte le convenzioni del suo tempo

Simone de Beauvoir Simone-Lucie-Ernestine-Marie Bertrand de Beauvoir, o più semplicemente Simone de Beauvoir (Parigi, 9 gennaio 1908 – Parigi, 14 aprile 1986), è stata un'insegnante, scrittrice, saggista, filosofa e femminista francese.
All'università incontrò, nel luglio 1929, colui che, senza matrimonio né convivenza, sarebbe diventato il compagno della sua vita, il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre. Sono, questi, gli anni in cui conosce, oltre a Merleau-Ponty, Lévi-Strauss, Raymond Aron, Paul Nizan.
Inizia a insegnare nel 1930, prima a Marsiglia, poi a Rouen, infine a Parigi, dove chiuderà la propria carriera di docente nel 1943 per diventare scrittrice a tempo pieno. Molto importanti sono le sue esperienze di viaggio in vari continenti per la sua formazione intellettuale. Con Sartre compie i suoi primi viaggi, in Spagna, in Italia, in Grecia, in Marocco; nulla sfugge a questi due intellettuali degli eventi culturalmente significativi di questo periodo,
Simone de Beauvoir è considerata la madre del movimento femminista, nato in occasione della contestazione studentesca del maggio 1968, che seguirà con partecipazione e simpatia. Gli anni settanta la vedono fervidamente in prima linea in varie cause: la dissidenza sovietica, il conflitto arabo-israeliano, l'aborto, il Cile, la donna (è presidentessa dell'associazione Choisir e della Lega dei diritti della donna). Nell'ultimo periodo della sua vita, Simone de Beauvoir affronta con coraggio un altro problema sociale, quello della vecchiaia, cui dedica un importante saggio, La Terza Età (1970).
Nel 1981, in seguito alla morte di Sartre, scrisse La cerimonia degli addii (La Cérémonie des adieux), cronaca degli ultimi anni del celebre pensatore. Lei stessa si descrisse così: « Di me sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza, un'eccentrica. Ho abitudini dissolute ho praticato con assiduità tutti i vizi, la mia vita è un continuo carnevale, ecc. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. L'essenziale è presentarmi come un'anormale. Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. È una vita che ne vale un'altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente. »
Il suo ateismo è ben reso da espressioni come: "Dio è diventato un'idea astratta, che una sera io ho cancellato" (cit. da "Memorie d' una ragazza perbene"). Per lei ateismo non è disimpegno dalla morale, ma la fondazione di una nuova etica atea non meno impegnativa e innovativa della coscienza e del costume.

I cristalli giganti

Nord del Messico, Chihuahua, gli speleologi hanno trovato dei cristalli giganti all’interno di una grotta. Alcuni superano i 20 metri di lunghezza. Una vera anomalia per gli studiosi, eccitati dalla scoperta. Sarà una coincidenza, ma secondo la leggenda, le antiche civiltà del Messico affermavano di provenire proprio da un’isola sommersa, chiamata da loro Aztlan. Il Messico è ricco di questo minerale. La Grotta dei Cristalli nella miniera di Naica (del gruppo Peñoles), insieme alla sua gemella Grotta delle Spade, è famosa per la presenza di grandi cristalli di gesso (cristalli giganti di selenite) di dimensioni mai viste, purissimi. Qui si hanno 50 gradi centigradi e il 100 % di umidità. Gli studiosi lavorano in condizioni estreme. Si stanno progettando tute più resistenti. Grazie a queste, si potrà accedere ad altre parti nascoste della grotta dei cristalli. Infatti, si spera di trovare cristalli ancora più grandi di quelli fin'ora scoperti! Il cristallo viene usato ancora oggi dai moderni guaritori per riequilibrare le energie corporee, per assorbire e annullare così quelle negative. Inoltre, pare che siano efficaci per trasformare l'energia dirigendola nella direzione voluta, creando quindi spazi "sacri" di energia guaritrice. La scienza che studia le proprietà dei cristalli associata alla guarigione individuale è detta “Cristalloterapia”, ma si tratta di un sapere antico, presente in tutte le civiltà antiche e moderne. I cristalli hanno la capacità di emettere particolari frequenze che possono entrare in risonanza con le vibrazioni corporee aiutando l’organismo a riequilibrare le sue energie. Si tratta di un sapere molto antico, dimenticato ma non del tutto. La tradizione orale, soprattutto, ha permesso che tali conoscenze venissero tramandate nei secoli fino ai giorni nostri. Già i Maya, a quanto pare, sapevano delle proprietà del cristallo. Infatti sarebbero stati loro a realizzare il famoso Teschio di Cristallo, ritrovato a Lubantuum nel 1926 da Anna, figlia dell’archeologo Mike Mitchell-Hedges. Il teschio in questione è ricavato da un solo cristallo di quarzo, unico per lucentezza e trasparenza. La sua superficie è perfettamente levigata e risalirebbe più o meno a 3600 anni fa. È stato oggetto di numerose in-dagini scientifiche, fisiche, antropologiche e sociologiche che hanno portato a risultati sorprendenti. Ma c'è di più. La più sorprendente proprietà fisica del quarzo è la piezoelettricità, scoperta alla fine del-l'800 da Marie Curie. Se un cristallo di quarzo viene sollecitato da una pressione meccanica genera elettrici-tà. La scintilla degli accendini detti "piezoelettrici" è data appunto da questo cristallo. Ad esso si attribuiscono fenomeni fisici, chimici e naturali, ma talvolta dobbiamo ricorrere alle sue proprietà per dar ragione ad eventi del tutto soprannaturali. A tal proposito, di recente, Seth Putterman, Brian Naranjo e Jim Gimzewski, tre scienziati probabilmente appassionati della serie televisiva “Star Trek”, hanno confermato la probabile utilità in campo energetico dei cristalli di litio (nella serie si parlava di “cristalli di dilitio”). Grazie agli esperimenti dei tre scienziati in questione si è riuscito a ricavare energia da una fusione nucleare in cui sono stati utilizzati cristalli piroelettrici di litio tantalato (LiTa03). Scaldando in pochi minuti i cristalli è stato possibile generare una differenza di potenziale elettrico di circa 100.000 volts, producendo elio ed energia. Quindi, potremmo essere vicini alla tecnica dimenticata degli scienziati di Atlantide?

Fonte : Croponline

L'ultima spedizione di Robert Scott

La sua nave, la Terra Nova, lasciò il Tamigi il 1° giugno 1910 e si diresse a Wellington nella Nuova Zelanda. La Terra Nova si. imbatté nelle consuete difficoltà e superò con fatica la barriera del pack. Scott aveva scelto come punto di partenza lo stretto di McMurdo e procedette con tutta calma. Un anno intiero fu speso in ricerche scientifiche, esplorazioni, viaggi di addestramento e altre, attività fisiche e intellettuali. Una eletta compagnia dei piú valorosi giovani e di uomini alquanto anziani si intrattenne in un tipico cameratismo e con un inesauribile humor britannico; Scott ne ha lasciato un quadro indimenticabile, che insieme è di un gran valore letterario, un'opera magistrale nel vero senso della parola. Il libro di Scott riflette fin da principio la sua grandezza d'animo, che pone l'autore al di sopra della maggior parte degli uomini; e sotto questo aspetto egli ebbe la fortuna di trovare degli uguali. Anche gli altri membri della spedizione si presentano attraverso la descrizione del capo pieni di movimento e di verità; e si finisce per amarli tutti indistintamente. Un gran numero di spedizioni di grande e piccola portata venne eseguito prima che Scott si decidesse ad arrischiare l'ultimo gran passo e a partire per il Polo. Come suoi compagni di viaggio egli designò i seguenti: il capitano di cavalleria Oates, dei Dragoni irlandesi; il luogotenente Bowers, della Regia Marina, che portava il soprannome di « Birdie », uomo di ottimismo invincibile, il piú sventato burlone; poi il dottor Wilson e l'ufficiale di coperta Evans. Ma prima ancora che il capitano Scott partisse per la spedizione al Polo, i suoi uomini furono raggiunti dal primo colpo del destino. La Terra Nova aveva fatto un viaggio di esplorazione al confine dei ghiacci e vi aveva scoperto il campo di un'altra spedizione. Concorrente alla gloria di scopritore del Polo era Amundsen, un rivale pericoloso. Immediatamente tutto cambiò aspetto : non si trattava piú di raggiungere soltanto il Polo : gli Inglesi dovevano essere i primi. Era una questione di orgoglio nazionale. La Gran Bretagna aveva fatto piú di qualsiasi altra nazione per l'esplorazione del piú desolato e pericoloso paese del mondo, e doveva aver l'onore di salutare i suoi figli come vincitori del Polo Sud, che si trovava in terreno inglese. Immediatamente il gesto di Shackleton, che aveva innalzato la bandiera dell'Impero su quella terra, assunse un significato simbolico quasi minaccioso: bisognava vincere a tutti i costi...

Il 1° novembre 1911 avvenne la partenza, ma la marcia cominciò male. Seguendo l'esempio di Shackleton, Scott si era provvisto di ponies della Manciuria come animali da tiro per le slitte. Nelle piú svariate escursioni si comportarono bene, ma ora le loro forze si dimostrarono insufficienti. Il tempo fu straordinariamente cattivo anche per quel paese « abbandonato da Dio »; le tempeste di neve infuriavano quasi senza fine in temperature spaventosamente basse, arrestando la marcia dei cinque compagni. Se Shackleton si era trovato male, Scott fu ancora piú sfortunato; se i calcoli di tempo di Shackleton erano Stati abbattuti per difficoltà incontrate nel procedere, il computo di Scott, fatto tenendo conto delle cattive esperienze fatte da Shackleton, si trovò che concordava ancora meno. La marcia si prolungava, l'angoscia mortale di giungere troppo tardi li spingeva anche esauriti in avanti. Riuscí loro di rialzarsi sempre di nuovo con energia sovrumana e Bowers nemmeno qui si perdette di spirito; ma la continua tensione spirituale implicava uno sciupio di forze, che infine doveva portare alla rovina.

Lentamente procedevano, camminavano e strisciavano, si arrampicavano e scivolavano, inciampavano e cadevano, sempre piú vicini al Polo: ancora pochi giorni di viaggio e lo avrebbero raggiunto... Essi stringevano i denti, un'energia brutale e una preghiera inespressa li pervadevano. Il Signore dei Cieli non permetta agli altri di trovarsi colà... Piú di una volta furono sul punto di impazzire; sempre li circondava la grigia ed infinita solitudine della neve, su cui scorreva con ululato desolato e monotono la tempesta nemica, sempre di contro a loro nei volti feriti, la cui pelle cadeva in brandelli, e il freddo atroce diventava fuoco d'inferno... Nessun lamento, no certo, qualche parola soltanto, una fuggevole osservazione fatta con quella freddezza britannica che sa nascondere tanto bene l'intima commozione. Due giorni ancora... ora la speranza aumentava; il ghiaccio era infine diventato migliore ed essi procedettero relativamente veloci... Vinceranno? Forse fra poco la bandiera inglese sventolerà sul punto piú meridionale della Terra! Un giorno ancora di marcia; il piú difficile di tutti, sebbene si discendesse; di nuovo anche qui la tempesta, che cancellò presto le tracce della marcia dei Norvegesi; ancora pochi chilometri e sarebbero giunti alla mèta. Il luogotenente Bowers si mise la mano sugli occhi. Che cosa era avvenuto? Una bandiera nera che sventolava su un pattino di slitta. E allora tutto era finito... Erano battuti, e l'Inghilterra era privata dell'onore della scoperta. Ma avevano fatto tutto quello che stava nelle loro possibilità; questa era l'unica consolazione. Si trovavano davanti ad un accampamento del vincitore della gara : tracce di sci e di cani, solchi di slitte...

Sul Polo Sud trovarono eretta una tenda. Amundsen era stato molto accorto e aveva persino lasciato una lettera per Scott con una relazione del suo viaggio. I Norvegesi avevano determinato esattamente la posizione del Polo e avevano indicato il suo punto con un pattino di slitta infisso nella neve. Scott mise nella tenda un documento che dava notizia del suo viaggio e di quello dei suoi compagni; issò la bandiera inglese e quindi ripiegò per il ritorno.

Questo ritorno fu un martirio che piú spaventoso non è stato forse mai imposto, ma certo mai è stato piú eroicamente sopportato. Le condizioni del tempo e del terreno si fecero cattive e sempre peggiori; e per soprappiú la scarsezza dei viveri in conseguenza del troppo, tempo impiegato. Il 17 gennaio erano stati al Polo; ora incalzavano í giorni, le ore, dovendosi infatti coprire 1500 chilometri per raggiungere l'accampamento.. Le loro forze erano 9uasi esaurite, e tuttavia non si poteva far altro che diminuire le razioni e prolungare íl tempo di marcia. Peggio di tutti stava Evans; una ferita alla gamba gli ren deva difficile il procedere, ma, cosa ancora peggiore, il suo spirito si ottenebrava... Ad una ventina di chilometri da un deposito di viveri, quando il tempo perfido faceva discendere la molle e ondeggiante m_ ve e non si poteva quasi piú procedere nel soffice tappeto, il destino vibrò il suo colpo. Evans era rimasto sempre piú indietro..., malato mortalmente, esaurito, sfinito... Gli altri, notato il suo ritardo, si precipitarono, per quanto era loro possibile, al suo soccorso, e trovarono un folle, che si era semi strappato il vestito e si trascinava ginocchioni nella neve, ansimando. Lo rialzarono, -ma un colpo apoplettico lo respinse privo di coscienza dalle braccia che lo sorreggevano. Nella notte mori. Avanti... Tempesta, -freddo; si raggiunse un deposito, e almeno si ebbe qualcosa da mangiare. Ma la tempesta ricominciò, dal Nord, ora, 42 gradi di freddo, e un uragano... Nella tenda Oates fece sapere agli altri, calmo e obbiettivo, che anche per lui era finita, ma che non voleva minimamente ostacolare il cammino dei suoi compagni e che desiderava esser lasciato nel suo sacco per dormire... Gli altri vollero portarlo con loro, senza perdere troppe parole... Ma egli barcollò, cadde... Aveva ragione. Non ne poteva piú... Dormi un poco, poi si riscosse, e si strascicò all'uscita della tenda. Sarebbe uscito un momento, disse indifferentemente. Come? Oh, no, gli altri non dovevano trattenerlo... Scomparve nella tempesta e nella neve. Gli altri si guardarono. Lo capirono fin troppo bene e rispettarono la sua decisione. Per Oates il pensiero di dare un peso agli amici era insopportabile. Cosi, valoroso fra i valorosi, se ne andò con un amichevole sorriso di commiato, muto, verso la morte bianca. Avanti... Sempre lo stesso : la tempesta soffiava contro di loro e li ostacolava... Dovevano sostare sempre piú spesso, si sciupava sempre piú un tempo prezioso, faceva sempre piú freddo, 'le forze li tradivano sempre più di frequente. Sapevano d'aver perso la partita e insieme la vita. Non lo dicevano, no, perché non si dice nella di quello che agli altri, ai compagni, può riuscire forse sgradito... Procedevano barcollando ma senza nessuna speranza, muti, eroici... Poi fini il combustibile e non fu piú possibile di prepararsi qualcosa di caldo... La fine giunse quando non vi furono viveri che per due giorni e non vi era più possibilità di raggiungere il prossimo deposito. Restarono nella loro tenda, nei loro sacchi per dormire, parlarono ancora un poco, le ultime ore con voci sommesse, e tacquero a poco a poco, chinarono it capo e si addormentarono per sempre..." Per primo Bowers, l'allegro Bowers, poi Wilson; Scott sopravvisse agli altri estinti alcune ore, continuando il suo diario, finché, rimasto indomito anche se battuto dal destino, fece per la prima volta sera quella vecchia frase : scrisse finché la morte gli strappò la penna dalle mani. Quando vide 'che l'ultimo istante era prossimo, aperse il sacco per dormire e cinse col braccio Wilson che riposava accanto a lui.
L'ultima frase del suo diario raccomanda la consorte alla nazione « Per amor di Dio abbiate cura -di mia moglie »... La chiarezza del pensiero non lo abbandonò nemmeno in questo supremo istante in cui la vita si spegneva; cancellò accuratamente la parola « moglie » e ve ne sostituì : vedova »... La logica del morente era dì una glaciale chiarezza, in tutto simile alla località di quella morte di un eroismo mistico... Due distaccamenti della spedizione cercarono gli scomparsi, ma dovettero ritornare senza aver trovato nulla. Solo nell'estate seguente, quasi nove mesi piú tardi, si riuscì a raggiungere la tenda degli estinti. Il diario di Scott si trovava in una tasca sotto la testa del morto; sul suo volto una espressione di grande pace. I cadaveri furono seppelliti, ma l'ultimo diario, reliquia della nazione inglese, si trova nel British Museum di Londra: e si trovano sempre uomini a capo scoperto davanti alle parole che il piú umano e il piú sovrumano di tutti gli eroi dell'esplorazione polare indirizzava alla sua patria. 


 Tomba di Scott, Wilson e Bowers