venerdì 6 aprile 2018

Le pietre del sole usate dai Vichinghi funzionavano davvero come bussole


Come fecero i Vichinghi a navigare per secoli nelle acque fredde e aperte del Nord Atlantico, schivando gli iceberg e orientandosi anche in pessime condizioni meteo, prima di bussole e gps?

 Questa domanda attanaglia da decenni storici e scienziati: ora, una serie di simulazioni computerizzate sembra dare credito a un misterioso strumento spesso citato nei racconti dei popoli del Nord: i cristalli polarizzanti o "pietre del sole". 

In base allo studio, pubblicato su Royal Society Open Science, queste pietre potevano in effetti servire a rintracciare la posizione del Sole anche quando il cielo era completamente coperto, e ad orientarsi di conseguenza.


Dei cristalli polarizzanti non c'è traccia nei diversi relitti vichinghi ritrovati finora. 
Tuttavia, una possibile prova indiretta del loro utilizzo viene da un piccolo cristallo squadrato rinvenuto in una nave britannica affondata nel 1592 vicino all'isola di Alderney, nel canale della Manica.
 È possibile che i marinai britannici avessero appreso alcuni segreti della navigazione dai vichinghi che avevano solcato quelle acque prima di loro.

 L'ipotesi sul banco di prova è che alcuni cristalli particolarmente puri, come quelli di calcite o lo Spato d'Islanda, una varietà particolarmente trasparente di calcite, potessero servire a rilevare la polarizzazione della luce solare - quel fenomeno che si verifica quando la luce incontra, nel suo percorso, un ostacolo, come un banco di nebbia. 
 Osservando il cielo attraverso queste pietre e sfruttando le loro proprietà birifrangenti (ossia la capacità di scomporre un raggio di luce in due raggi) era possibile risalire alla direzione di polarizzazione della luce e quindi alla posizione del Sole nel cielo, necessaria a stabilire la rotta. 
Ma questa tecnica poteva realmente funzionare?


Alcuni scienziati della Eötvös Loránd University di Budapest, Ungheria, hanno realizzato simulazioni computerizzate dei viaggi dei vichinghi tra la città di Bergen, Norvegia, e l'insediamento di Hvarf, sulla costa sudorientale della Groenlandia. 
Questo viaggio verso ovest avrebbe richiesto tre settimane di navigazione su una tipica imbarcazione vichinga, a 11 km orari.

 I ricercatori hanno simulato 3600 viaggi nella bella stagione, tra l'equinozio di primavera e il solstizio d'estate, variando parametri come l'intensità della copertura nuvolosa, il tipo di cristallo utilizzato e il numero di volte in cui i marinai lo avrebbero adoperato.
 A ogni utilizzo delle pietre, la rotta virtuale veniva aggiustata di conseguenza. 
Quando i navigatori della simulazione hanno osservato i cristalli 4 volte al giorno, hanno raggiunto la Groenlandia tra il 32% e il 59% delle volte.
 Ma quando le hanno consultate ogni tre ore, sono arrivati alla meta tra il 92% e il 100% delle volte.

 La chiave del successo, oltre alla frequenza delle osservazioni, era la loro equa distribuzione nell'arco della giornata, con un ugual numero di "letture" delle pietre al mattino e al pomeriggio: le prime infatti facevano virare più spesso verso nord, le seconde verso sud. Per raggiungere la Groenlandia, serviva un giusto equilibrio. 

 Fonte: focus.it