mercoledì 27 novembre 2013

Pechino: le pietre della Città Dimenticata trasportate da slitte su strade ghiacciate


Visitando la Città Dimenticata di Pechino si resta colpiti dalle colossali dimensioni di molte pietre utilizzate per le costruzioni; ancora più stupefacente è la notizia che alcune di queste pietre furono trasportate da lontane cave su slitte di legno che si muovevano su strade ghiacciate, secondo quanto hanno rivelato antichi documenti cinesi. 
 Il palazzo imperiale e gli edifici circostanti nella Città Dimenticata, un complesso che a lungo è servito come il centro figurativo della Capitale della Cina, furono realizzati nei primi anni del 1400, ma le costruzioni dentro ed attorno al complesso sono continuate fino al tardo 1500 ed oltre.
 Come fa notare Howard Stone della Princeton University nel New Jersey, molte delle più grandi pietre del complesso derivano da una cava situata a circa 70 km da Pechino. Viene dunque spontaneo chiedersi in che modo siano state trasportate fino al luogo in cui si trovano. 
 All'interrogativo hanno risposto alcuni storici, secondo i quali le enormi pietre presenti nella Città Dimenticata sono state spostate per mezzo di slitte trainate da gruppi di uomini nel bel mezzo dell'inverno. 
 Un ulteriore approfondimento sulla questione viene da un documento recentemente rinvenuto da Jiang Li, ingegnere meccanico alla Facoltà di Scienze e Tecnologia dell'Università di Pechino, che si riferisce in modo particolare ad una delle pietre del complesso. 
Secondo l'antico documento, il monolite, delle dimensioni di 49 metri cubi, e del peso di circa 112 tonnellate, fu trasportato a Pechino nel 1557 nel corso di quattro settimane – il che significa ad una velocità media di circa 8 centimetri al secondo. E non si trattava neppure del blocco più pesante: secondo quanto riferisce Stone ve ne erano alcuni che lo superavano. 
Esaminando i documenti cinesi che furono in seguito tradotti in inglese, sorgevano spontaneamente diversi interrogativi, sintetizzati da Stone in due principali: perché le pietre non furono trasportate su veicoli con ruote, che erano utilizzati in Cina già a partire dal IV secolo avanti Cristo?


E poi le slitte trainate su una strada ghiacciata rappresentavano davvero il metodo di trasporto più efficace? 
La prima domanda trova risposta piuttosto facilmente, ritiene Stone. Persino nel tardo 1500, i veicoli a ruote cinesi non potevano trasportare pesi che avessero superato le 86 tonnellate, necessitando di slitte di legno per carichi superiori. 
 Uno studio più approfondito si è reso necessario per rispondere alla seconda domanda. Da un lato, afferma Stone, utilizzare rulli di legno è difficile su strade ventose. La tecnica richiede inoltre una superficie liscia, dura, per prevenire l'impantanamento dei rulli. Trainare una slitta di 112 tonnellate sulla nuda terra avrebbe richiesto più di 1500 uomini, secondo una stima effettuata da Stone ed i suoi colleghi. 
Tirare la stessa slitta sul ghiaccio, o su binari bagnati e di legno avrebbe impegnato al massimo 330 uomini. Ma se lo slittino carico della pietra venne trasportato su una strada ghiacciata lubrificata da un film di acqua, affermano i ricercatori, furono necessari meno di 50 uomini per trainare il carico. 
 I risultati cui è giunto il gruppo di ricercatori, tuttavia, non trovano unanime consenso nel mondo scientifico. Si tratta di esiti eccellenti ed anche ben scritti, secondo Thomas Mathia, un esperto in tribologia – la scienza che studia l'attrito e la lubrificazione di superfici a contatto – alla Lyon Central School in Francia, ma probabilmente il loro difetto è quello di sottostimare il numero di uomini necessari a trainare una slitta di 112 tonnellate.
 Per esempio lo sforzo di far ripartire la slitta dopo una battuta d'arresto è molto più grande di quello necessario per far sì che la slitta inizi a muoversi. Così, due o tre volte, sarebbero stati necessari più uomini per trasportare la slitta con sopra la pietra rispetto a quelli che Stone ed i suoi colleghi hanno stimato – fa notare Mathia. Per di più è su una carreggiata piatta, evidenzia. Per tirare la slitta su una pendenza del 10°, occorrerebbero altri 270 uomini circa. 
 Alle obiezioni, però, non ha fatto riscontro la proposta di un'altra tesi sufficientemente argomentata per spiegare in che modo le pietre fossero state trasportate dalla lontana cava fino alla loro collocazione nella Città Dimenticata. 
Lo studio è stato pubblicato su Nature News. 

 Fonte : http://www.nextme.it/

Il "buon lavoro" dei nostri burocrati

A.1700 GIORNI DAL SISMA, GIACCIONO NELLE CASSE DELL’ENTE Inail, quei due miliardi per l’Aquila. Mai spesi L’ISTITUTO AVEVA DESTINATO UN COSPICUO «TESORETTO» PER IL DOPO- TERREMOTO. MA SI È PERSO IN UN LABIRINTO BUROCRATICO

La città è ancora ferma a quella notte che doveva essere di primavera: zona rossa, transenne, palazzi ingabbiati dai ponteggi, un silenzio da far paura.
Sono passati 1.700 giorni dal terremoto dell’Aquila, più di quanto è durata l’intera prima guerra mondiale.
Eppure non abbiamo speso nemmeno un euro di quel tesoretto da 2 miliardi messo a disposizione dall’Inail per ridare vita alla città. LABIRINTO BUROCRATICO- Possibile? «La cosa fa una certa rabbia ma, purtroppo, quei fondi non sono stati nemmeno toccati» conferma Giuseppe Lucibello, che dell’Istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro è direttore generale.
Due miliardi, non proprio spiccioli. Una bella fetta di quei 10 miliardi previsti per una ricostruzione che avanza a rilento proprio perché i soldi scarseggiano.
E un paradosso persino in un Paese paradossale di suo come l’Italia. Il tesoretto dell’Inail doveva essere utilizzato per cinque obiettivi: recuperare il centro storico, rimettere a posto le strutture sanitarie, creare un nuovo campus universitario, oltre che per interventi mirati sui beni culturali e sul tessuto urbano.
Ma quei soldi sono finiti in un labirinto burocratico, fatto di procedure complesse e di una riforma della protezione civile che si è “dimenticata” di regolare la questione.
E non ne sono usciti più. IL CONTRIBUTO DELL’INAIL - Per capire cosa è successo bisogna fare un passo indietro e tornare all’ottobre del 2011, quando l’Inail decide di dedicare all’Aquila una parte dei suoi “risparmi”. L’istituto è uno dei pochissimi pezzi della pubblica amministrazione che chiude i suoi conti in attivo: i contributi incassati superano le indennità erogate e il surplus viene girato per legge al Tesoro che lo usa per tenere in equilibrio i conti pubblici.
Dopo il terremoto dell’Aquila, però, si decide di fare un’eccezione e riservare una parte di quei soldi alla ricostruzione.
Il primo peccato è stato originale.
Si era previsto che gli interventi dell’Inail potessero avvenire solo nella cosiddetta forma indiretta.
E cioè con un lungo procedimento che comincia con il bando, prosegue con le manifestazioni di interesse, per poi passare alla valutazione dei progetti da parte di un advisor e chiudere con l’analisi di compatibilità fatta dai ministeri vigilanti.
«CHIESTO NEMMENO UN EURO» - Una strada con troppe curve che non ha portato a nulla e che per questo è stata abbandonata. Dagli investimenti indiretti si è passati a quelli diretti, con la presidenza del consiglio e la Protezione civile a seguire l’iter dei progetti che dovevano essere presentati sul territorio.
Ma nemmeno un anno fa la Protezione civile è stata completamente ridisegnata, con la riforma voluta dal governo Monti, e di quella funzione di fatto si sono perse le tracce.
«Il risultato – dice ancora il direttore generale dell’Inail – è che a noi non è stato chiesto nemmeno un euro». E così, mentre mancano i soldi per la ricostruzione, in cassaforte dormono due miliardi che nessuno vuole.
Anzi a fine anno 500 milioni andranno in «perenzione», scaduti come lo yogurt e non più utilizzabili per quello scopo.
UNO SCHIAFFO AI 20000 SFOLLATI-
E poco cambia se nei prossimi giorni verrà inaugurata la nuova prefettura dell’Aquila, in un palazzo comprato e ristrutturato proprio dall’Inail. Il taglio del nastro non ha nulla a che fare con fondi stanziati per il terremoto, ma è solo una delle tante operazione immobiliari che l’Istituto realizza in giro per il Paese.
Quei 2 miliardi sono ancora lì, in quel labirinto di regole complicate e riforme con il buco.
Forse non una sorpresa per un Paese che ancora adesso continua periodicamente a stanziare qualche euro per la ricostruzione del Belice, terremoto di quasi mezzo secolo fa.
Ma uno schiaffo in faccia alle 20 mila persone che, in Abruzzo, non sono tornate nella casa dove dormivano quella notte. E alle 308 che non ci torneranno mai più.

https://www.facebook.com/pages/Politici-che-non-hanno-MAI-lavorato-ELENCO-UFFICIALE-MANDIAMOLI-A-CASA/274354875910343
FONTE: http://www.corriere.it/cronache/13_novembre_25/inail-quei-due-miliardi-l-aquila-mai-spesi-2d7e58e2-5615-11e3-8836-65e64822c7fd.shtml

Vi invito a visitare questa pagina ne scoprirete delle (belle)

http://bastacasta.altervista.org/

Ritrovato in Egitto uno splendido collare


Un collare con i colori "quasi incontaminati" che sarebbero stati indossati da una mummia è stata scoperta in piccoli pezzi in una tomba egizia di Tebe e son stati recentemente rimessi insieme dopo un lungo lavoro di restauro.
Anticamente la gente in Egitto indossavano collari chiamati "wesekhs" di perline quando erano vivi. Questo collare verniciato è fatta di un diverso tipo di materiale chiamato cartonnage (un materiale intonacato) ed è stato pensato per essere indossato da una mummia dopo la morte. Un sigillo di argilla trovato vicino al collare suggerisce che è stato indossato dalla mummia di un impresario di pompe funebri molto ricco.

Risalente a circa 2.300 anni fa, il collare è dipinto in vividi colori, disegni e immagini che mostrano elementi dell'antica religione egizia. Il dio Horus è presente grazie a due falchi che indossano delle corone a forma di dischi solari negli angoli superiori, mentre in alto al centro c'è un uccello dalla testa umana (chiamato un uccello "Ba") che rappresenta, in sostanza, l'anima immortale della mummia defunto .

Fonte : archaeologydaily.com

Cenotes: i suggestivi pozzi naturali dello Yucatan


Penisola dello Yucatan, Messico. Qui sorgono i Cenotes, dei particolari pozzi naturali che creano degli scorci suggestivi. 
Alcuni oggi sono diventati delle 'piscine' pubbliche, ma altri possono essere ammirati solo da lontano per non alterarne il delicato equilibrio.
 Come nascono?


Milioni di anni. Questo il tempo necessario alla formazione dei Cenotes. Nello Yucatan ce ne sono circa 7mila. Si tratta quindi di un fenomeno molto diffuso.
 I Cenotes sono pozzi naturali derivanti dal crollo di roccia calcarea. Essi sono associati alla penisola dello Yucatan, perché il territorio è principalmente costituito da calcare poroso. 
Per milioni di anni, le precipitazioni hanno lentamente portato via il calcare creando un enorme sistema di grotte sotterranee e di caverne. Col tempo e la pioggia, alcune si sono riempite d'acqua, in alcuni casi portata da falde sotterranee. Ma quando il tetto di calcare veniva appesantito dall'acqua crollava, creando un cenote.


Il termine deriva dalla parola Maya "dzonot" o "ts'onot".
 Tali pozzi rivestivano un grande significato per l'antico popolo. In primo luogo, i cenotes rappresentavano la principale fonte d'acqua in una terra che non aveva e tutt'ora vanta pochi fiumi superficiali e che attraversa lunghi periodi di siccità. Di conseguenza, tutti i villaggi maya furono costruiti in prossimità di un cenote, per avere a disposizione un rifornimento idrico permanente. 
Da qui l'importanza e la sacralità di questi luoghi per il popolo Maya.


In secondo luogo, i cenotes erano importanti anche per motivi religiosi. 
Tali grotte infatti venivano considerate dei portali per il mondo sotterraneo e un modo per comunicare con gli dei.
 Le ricerche archeologiche hanno trovato resti di cerimonie religiose svolte al loro interno, compresi sacrifici umani.  

Francesca Mancuso

Toxoplasmosi: non si farà mai chiarezza se i medici continueranno a non aggiornarsi



Disinformazione scientifica e incoraggiamento all’abbandono animale sono le accuse che l’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani rivolge al programma “I Fatti Vostri” in onda su RAI 2, nel corso di una puntata in cui si è parlato di toxoplasmosi. L’Associazione chiede a RAI 2 una pubblica rettifica e che per il futuro a parlare di prevenzione veterinaria siano solo dei medici veterinari.

Venerdì mi ha telefonato la redazione de “I fatti vostri”. “Oh, meno male! – ho pensato – Vorranno parlare del mio attacco all’incresciosa panzana di Luciano Onder sulla toxoplasmosi!“. Invece no: volevano contattare il proprietario di Ares, l’amstaff protagonista della bella storia che abbiamo raccontato qualche giorno fa, per invitarlo in trasmissione
Allora l’argomento che più mi stava a cuore (con tutto il rispetto e la simpatia per Ares) l’ho sollevato io, chiedendo testualmente alla redattrice (col mio abituale fare molto soft, elegante e da vera signora): “Scusa, mi dici quand’è che rettificherete le puttanate che ha detto Onder sulla toxoplasmosi?”
Risposta vaghissima: “Ci stiamo lavorando”.
A questo punto mi è partito l’embolo e ho alzato pure la voce: “Ma state lavorando a COSA?!? Qui serve solo un bel “scusate, abbiamo toppato” rivolto a tutte le gestanti d’Italia: non mi pare che ci sia tanto da “lavorarci” sopra!”
La redattrice ha alzato le spalle (sì, lo so che non si vede per telefono: ma scommetto qualsiasi cifra sul fatto che le abbia alzate): “Ma dài, in fondo non ha detto niente di così sbagliato! Non è che abbia proprio invitato ad abbandonare gli animali!”
E io: “Ma non è questo il punto! Cioè, è anche questo… ma il vero problema è che ha detto una cosa assolutamente falsa!
Che poi sia stata anche allarmistica e che possa avere pessime conseguenze è tutto da stabilire: ma che sia FALSA è assolutamente certo!” La sua risposta è stata capace di paralizzarmi lingua e speranze… perché è stata la seguente: “Ma no che non è falsa… anche il mio ginecologo mi aveva detto le stesse cose!”. Pling, plong (questo è stato il rumore delle mie metaforiche palle cadute a terra).
Ho pur bofonchiato qualche spiegazione, ma mi sentivo esattamente come quando provo a parlare con gli animalisti talebani o con i cinofilosofi: ormai ero certa di parlare a un muro. Se una persona – e ancor più una donna, e ancor più una madre, vista la visione iperprotettiva che abbiamo della maternità in Italia – riceve un’informazione dal proprio medico, e se a questo medico ha concesso la sua piena fiducia, la sua parola diventa Verbo.
Le potrei portare mille, diecimila mila prove contrarie, le potrai sbattere l’evidenza sotto il naso, potrai citare chilometri di testi bibliografia che smentisce il suo dottore: lo scemo, ai suoi occhi, sarai comunque tu. Ed è anche comprensibile.
Capisco benissimo questo modo di sentire, anche perché ci sono appena passata: quando dai fiducia a qualcuno, quando di fidi di lui, ti si piazzano automaticamente due fettazze di prosciutto sugli occhi alte così. Sei disposto a credere a qualsiasi panzana ti racconti, anche quando le panzane sono realmente clamorose.
Se poi si tratta del tuo medico, credo che la cosa vada moltiplicata almeno per tre: un po’ perché a lui affidi la cosa più preziosa che hai, e cioè la tua salute (e figuriamoci quanto sarai disposta ad ammettere di averla messa nelle mani di un cretino!
Il tuo orgoglio prenderebbe una solenne legnata!); un po’ perché la medicina è ancora avvolta da un’aura di misticismo (sicuramente ed ampiamente voluta da chi la pratica) che fa apparire il “dottore” come un depositario di misteri inaccessibili ai comuni mortali. Insomma, tutti sono disposti a mettersi a criticare chiunque: tutti sarebbero prontissimi a diventare, domani mattina, architetti o economisti, politici e soprattutto allenatori della Nazionale.
Ma quando parla il medico, tutti zitti.
Per sollevare una velata critica bisogna proprio che ti abbia platealmente ammazzato la nonna: perché se te la ammazza un po’ meno platealmente, e si mette a fare supercazzole scientifiche per giustificare il suo operato, tu resti a bocca aperta, non ci capisci una mazza ma gli credi comunque.
Perché lui “è un Medico“. E infatti un sacco di medici (e anche di veterinari, ahimé) la fanno franca anche dopo aver commesso errori drammatici.
A tutto questo vogliamo aggiungere quella bella quintalata di credibilità indotta dall’”apparire in TV”? Perché, dài, non neghiamolo: per quanto possiamo sostenere che non ci fidiamo più, che stiamo stufi di essere presi in giro, che la TV è la più clamorosa contaballe della storia eccetera eccetera, la nostra prima reazione emotiva, quando sentiamo una notizia in TV, è quella di darle credito.
Quanta di questa spazzatura credete che sarebbe passata per buona, senza la TV?)
Se ci fate caso, i maggiori contestatori della TV (di Stato e non) proclamano tutti di “non guardarla”, e in alcuni casi addirittura di “non averla”. Il che significa, a mio avviso, che hanno talmente paura di cadere nella rete di mistificatori e affubulatori che non se la sentono di affrontarli, neppure per ridergli in faccia. Preferiscono l’evitamento totale.
Ma guardate che non è mica normale, eh. La TV trasmette anche cose assolutamente guardabili e pure interessanti (che so: film, telefilm, concerti, documentari…): chi se ne priva, evidentemente, si priva anche di un piacere, solo per evitare di sentir dire cosa come “mi hanno regalato una casa a mia insaputa”.
Il telespettatore fornito di intelligenza e spirito critico potrebbe anche prenderli come siparietti comici: invece no.
Ne ha paura. Ipnosi A me tutto questo ricorda l’obiezione che mi fece mia zia, quand’ero bambina e volevo assolutamente andare a vedere lo spettacolo di un ipnotizzatore, a quei tempi di gran voga: solo che i miei genitori erano fuori città e non avrebbero potuto portarmici.
Lei mi rispose con un perentorio “assolutamente NO! Non voglio mica che mi faccia fare la gallina sul palco” (come si diceva che fosse successo in uno precedente spettacolo, con una “cavia” presa dal pubblico).
Mia zia non aveva preso minimamente in considerazione il fatto che le “cavie” dovessero essere volontarie: l’aura di mistero che avvolgeva l’ipnotizzatore era stata sufficiente ad impaurirla e farle temere di poter “cadere in suo potere solo” per aver pagato il biglietto del suo spettacolo.
E questo credo sia anche il sentire di coloro che “ripudiano” la TV: proprio la paura di cadere in suo potere, anche se il dito che comanda il telecomando è il loro.
A questi punti, siamo arrivati… Ma torniamo al “caso Onder”, nel quale troviamo contemporaneamente:
a) un argomento medico, di cui nessuno sa nulla (tolti i pochi membri della “mistica setta segreta” che hanno una laurea in medicina umana o veterinaria);
b) un argomento sul quale non sempre i medici si sono tenuti aggiornati, tant’è che parecchi di loro – specie quelli più anziani – sono rimasti indietro di trent’anni;
c) un personaggio che la stragrande maggioranza degli italiani ritiene laureato in medicina (nel caso a qualcuno fosse ancora sfuggito: non lo è. Non è medico. E’ dottore, questo sì, ma in storia moderna) e come tale attendibile di default;
d) un personaggio reso noto da una lunghissima permanenza in TV – con tutti gli effetti collaterali visti sopra – che dà al Paese una nozione (pseudo) scientifica attraverso la TV, con tutte le aggravanti viste sopra.
E quella pirla di Valeria Rossi pretenderebbe forse di risultare più attendibile e più credibile di Sua Maestà Televisiva, il Dottor Luciano Onder? Forse a Puffolandia… ma in Italia proprio no.
Per fortuna non c’è solo Valeria Rossi, a sostenere che il dottor (in storia) Onder abbia detto cose assolutamente false.
Sono insorti praticamente tutti quelli a cui stanno a cuore gli animali, e in testa al gruppo ci sono i veterinari, che se non altro la preparazione scientifica ce l’hanno.
E’ insorta un’associazione nazionale, mica baubaumiciomicio (ops… ho usato un modo di dire televisivo, sorry!
Ma io non ho paura della TV, perché ho ancora sufficiente rispetto per il mio cervello pensante. Quindi, visto che tormentoni come “baubaumiciomicio” o “nipote di Mubarak” li trovo davvero divertenti, ne faccio uso senza alcun timore).
Mi fa specie che non siano insorti i ginecologi, gli unici forse che avrebbero potuto intaccare davvero la credibilità dell’onderesca panzana: forse a loro è sfuggita la trasmissione, o forse hanno preferito farsi (occhio alla battutona!) “i fatti loro”.
Sta di fatto che, al di là delle possibili conseguenze negative sui rapporti tra cani, gatti e umane gravide (non c’è solo l’abbandono in autostrada o in canile: per un animale domestico è un trauma anche “andare dalla sorella” evocata da Onder, e nonostante ciò che comunemente si crede i gatti sono ancor più sensibili dei cani alla separazione dalla propria famiglia, oltre che al cambiamento di ambiente), resta accertatissimo che Onder abbia sparato non una, ma DUE puttanate:
a) quella che coinvolge i cani, assolutamente NON portatori e NON in grado di contagiare proprio nessuno;
b) quella che i gatti vadano allontanati da casa.
Che quella sui cani sia una puttanata è cosa incontrovertibile, indiscutibile, incontestabile… e se volete vi cerco ancora qualche sinonimo, ma speso bastino questi: i cani NON – POS-SO-NO CON-TA-GIA-RE nessuno, perché anche nel caso in cui si ammalassero di toxoplasmosi (caso peraltro non molto comune) non rilasciano le oocisti nell’ambiente, né con le feci né in alcun altro modo.
Insomma, il cane è totalmente innocente.
Per quanto riguarda il gatto, invece, è vero che è un portatore, anzi l’unico possibile portatore per quanto riguarda la nostra civiltà, perché è l’unico animale domestico che libera le oocisti nell’ambiente.
In realtà possono farlo anche altri felini, ma difficilmente qualcuno si tiene in casa linci o puma, quindi diciamo che il gatto è l’unico che può venire a contatto con una donna gravida… e a questa evidenza scientifica, poveraccio, gli tocca proprio arrendersi.
Però ricordiamo (per l’ennesima volta) che:
a) per infettare qualcuno, il gatto deve essere ammalato;
b) per ammalarsi deve ingerire carne di piccoli mammiferi o di uccellini infetti.
Se ne deduce che i gatti che vivono in casa, che mangiano scatolette e che non vanno a caccia, non si ammalano praticamente MAI di toxoplasmosi e conseguentemente non possono infettare nessuno;
c) IMPORTANTE: il Toxoplasma gondii, il protozoo responsabile della malattia, è stato individuato nel 1908 (da un italiano, guarda caso): ci sono voluti poi alcuni anni per capire come si potesse trovare nell’ambiente, quali fossero le modalità di trasmissione eccetera eccetera.
Una volta accertato che veniva liberato con le feci del gatto (e di nessun altro animale domestico: questo si scoprì fin dall’inizio), ovviamente ci si preoccupò delle possibilità di contagio di donne incinte da parte dei nostri piccoli felini… e nei libri di ginecologia degli anni ’30 presumo che si consigliasse davvero alle gestanti di stare lontanissime dai gatti, perché ancora gli studi in materia non erano stati approfonditi.
Col progredire della scienza, però, si sono scoperte alcune nuove cosette, come per esempio:
1 – che le oocisti non possono infettare nessuno se non sono arrivate a maturazione, e per arrivarci necessitano di minimo 36-48 ore.
In altre parole: la cacca di gatto fresca non è pericolosa. Lo è soltanto quella vecchia di almeno due giorni… il che significa che basta cambiare quotidianamente la lettiera per evitare ogni rischio. Una cacca di gatto fresca potrebbe anche essere mangiata a colazione da una donna incinta senza causarle alcun problema (a parte il fatto che, se facesse questo tipo di colazione, qualche problemino forse ce l’avrebbe già di suo);
2 – che oltre alle oocisti sono pericolosi i trofozoiti o tachizoiti, che sono le forme presenti nella carne (cruda o poco cotta, perché la cottura li inattiva). Se ne è correttamente dedotto che per venire infettati dal gatto abbiamo due possibilità: mangiare cacca di gatto oppure mangiare carne di gatto cruda o poco cotta.
3 – purtroppo i tachizoiti, a differenza delle oocisti, si possono trovare nella carne di qualsiasi mammifero soggetto alla malattia: cani, gatti, umani, ma anche bovini o ovini.
Quindi mangiare qualsiasi tipo di carne cruda o poco cotta è un rischio. Escludendo (almeno spero) che le gestanti amino cibarsi di cani, gatti e umani crudi, restano gli erbivori, che invece mangiamo eccome… e che sono quelli più a rischio in assoluto, perché si cibano di erba e perché l’erba può essere facilmente contaminata dalle feci dei gatti.
Ovviamente anche l’erba che mangiamo direttamente NOI può essere contaminata: quindi, se mangiamo insalata non lavata, possiamo infettarci.
(Toh, vi metto anche un pochino di bibliografia, anche se l’elenco reale sarebbe infinito:
Green C.E. Toxoplasmosisi. In: Toxoplasmosis and neosporosis. Infectious diseases on the dog and cat.
(2006), Third edition, Elsevier Saunders. 80, 754-768 Dubay J.P., Lappin M.R. Lindsay D.S. in: toxoplasmosis and other intestinal infections in cats and dogs.
Veterinary Clinics of North America .
Small animal Practice.
Small Animal Parasites: biology and control. 2009, Elsevier Saunders. 32 (6), 1009-1027).
Conclusioni: A – “QUALSIASI LIBRO DI GINECOLOGIA” che non sia preistorico come quelli che evidentemente legge Onder (o che sostiene di aver letto, o che hanno letto i suoi autori) spiega chiaramente che le maggiori possibilità di contagio si hanno mangiando verdura non lavata o carne cruda/poco cotta.
Qualsiasi libro moderno di ginecologia dirà anche che bisogna prendere qualche accorgimento per quanto riguarda i gatti: ma nessuno dirà (almeno da trent’anni a questa parte) che i gatti vanno sbattuti fuori di casa.
Consiglieranno invece di pulire ogni giorno la lettiera (il che basterebbe già), di indossare i guanti quando si effettua questa operazione e di lavarsi le mani subito dopo.
Punto, fine, basta, stop. NON-SERVE-ALTRO. Per il resto basta evitare la carne cruda, l’insalata non lavata e l’abitudine di ravanare in giardino senza guanti (perché potrebbe averci fatto la cacca qualche gatto randagio… il che però può succedere anche se il nostro l’abbiamo rifilato alla sorella), evitando magari anche di ravanare a mani nude il terreno e poi di succhiarsi le dita come se avessimo gustato dei Fonzies (ma mi spiegate CHI, nella civiltà occidentale del 2013, farebbe qualcosa di così stupido, senza neppure bisogno di essere incinta?).
Tant’è che esiste una variabilità veramente imponente (dal 3% al 70%) di adulti positivi alla toxo nel mondo, e che questa variabilità è direttamente proporzionale al grado di civilizzazione: in Italia, anche se a volte risulta difficili considerarci “civili”, è molto, ma molto bassa. Ho trovato, per esempio, il dato relativo al Veneto, che parla dello 0,13 per 100.000 abitanti. Ricordiamo, infine, che in un adulto sano (o meglio, in un umano “già nato”, anche se bambino) la toxo decorre quasi sempre in modo totalmente asintomatico.
Solo in caso di difese immunitarie già compromesse possono manifestarsi sintomi comunque quasi mai preoccupanti, come febbriciattole o moderate anemie.
L’unico essere realmente ad alto rischio è il feto, che può presentare patologie gravi ai danni degli occhi e del cervello (anche se non esiste proprio un bambino affetto da toxo “senza cervello”, come ha allarmisticamente ventilato il solito Onder: che se continua così mi costringerà a cambiare il termine di “cugginate” – rubato ad Elio e le Storie tese – in “onderate”, quando si tratta di credenze medioevali, leggende metropolitane e, in generale, di stronzate). B – Dire, nel 2013, che per evitare il rischio di toxoplasmosi una gestante deve mandare fuori di casa il gatto (il cane non lo nomino neppure, anche se Onder l’ha fatto) equivale a dire che la tubercolosi è una malattia incurabile: certo, se si leggono i testi di medicina antecedenti la metà degli anni ’30 (epoca in cui vennero scoperti gli antibiotici), si troverà proprio questa definizione. Fortunatamente i medici moderni NON studiano su testi antecedenti gli anni ’30. Gli approfondimenti sulla toxoplasmosi sono un po’ più recenti, ma anche in questo caso medici, ginecologi e veterinari avrebbero il preciso DOVERE (non è un optional!) di tenersi aggiornati. Chi non lo fa non ha scusanti (neppure l’età avanzata lo è: se sei troppo vecchio per aggiornarti, vai in pensione e non continui a praticare una medicina obsoleta) è un incompetente e un incapace a cui si dovrebbe ritirare immediatamente l’autorizzazione ad esercitare la professione.
Sappiamo tutti benissimo che questo non accade mai (almeno in questo Paese, nel quale c’è gente che esercita per trent’anni senza neppure aver mai preso la laurea…): ma almeno la TV di Stato potrebbe evitare di mettere dei ciarlatani a condurre programmi scientifici.
Visto che invece lo fa… l’unica speranza è che qualcuno sia ancora in grado di tenere acceso il cervello, e di verificare – anche soltanto su Internet, se proprio non vuol comprarsi due libri – qualsiasi cosa venga detta in TV. Perché è purtroppo assodato, ormai, che la TV racconta balle, perfino sulla nostra salute: e adesso stiamo assodando anche che non è disposta a ritrattare neppure quando l’evidenza contraria gli viene sbattuta in faccia.
Sappiamoci regolare.
Scritta da Valeria Rossi | 25 novembre 2013 A seguito della trasmissione "I fatti vostri" del 19/11/2013 che dava informazioni FALSE