mercoledì 8 maggio 2013

Anche gli antichi romani inquinavano l'atmosfera con gas serra!


Non sarà una grande consolazione, ma almeno possiamo dire che non siamo stati noi a cominciare. Secondo una ricerca pubblicata su Nature, infatti, già duemila anni fa gli antichi romani e cinesi immettevano nell'atmosfera grandi quantità di metano, uno dei principali responsabili, insieme all'anidride carbonica, dei cambiamenti climatici. Altro che Rivoluzione Industriale, insomma: almeno il 20-30 % di metano è stato prodotto molto prima. 

Per scoprirlo, Celia Sapart, dell'Università di Utrecht, e gli altri autori dello studio hanno viaggiato fino in Groenlandia, dove hanno misurato la quantità di metano rimasto intrappolato per millenni all'interno di grandi blocchi di ghiaccio. 

La sorpresa degli scienziati è stata grande quando hanno scoperto una forte eccedenza del gas intorno al primo e secondo secolo dopo Cristo, un periodo in cui sia la Roma imperiale che la dinastia Han, in Cina, erano all'apice del successo. Ma come veniva prodotto, esattamente, questo gas? E perché proprio in certi periodi storici? 

L'emissione, spiegano i ricercatori, può avvenire per cause naturali (come l'attività di batteri nelle paludi) o per l' azione dell'uomo (per esempio bruciando una foresta o coltivando il riso). E come sottolinea Thomas Blunier, uno degli autori della ricerca, “ogni fonte ha una composizione differente. Il metano prodotto bruciando legno contiene più isotopi pesanti (carbonio-13) di quelli leggeri (carbonio-12)”. Studiando queste differenze, è stato possibile stabilire che l'abbondanza di gas era dovuta alla mano dell'uomo, e non a fattori naturali. 

Gli scienziati hanno anche ipotizzato il motivo: i bisogni di grandi civiltà in espansione hanno portato a grandi deforestazioni, a un uso più intensivo delle risaie e – più tardi – del carbone. Tutte attività che aumentano in modo significativo l'emissione di metano. 

A rafforzare questa teoria sono gli stessi campioni di ghiaccio: con il declino dell'Impero Romano (oppure in seguito a grandi epidemie, per esempio) la quantità di metano trovata è risultata essere molto più bassa. Una correlazione troppo forte, per essere una semplice coincidenza.

Stencil di mani nella preistoria

I segni fatti a mano e gli stencil si diffusero in tutti i continenti circa 30000 anni fa. L’archeologo Dean Snow sottolinea: “Le mani sono una delle cose che ci definiscono come umani.
 Le usiamo per tutto, non sono solo utili, ma anche importanti simbolicamente”.

Stencil di 2500 anni fa nella Cueva de las Manos, Argentina
 (Peter Essick/Aurora/Getty Images)

Stencil usati fino al secolo scorso in Papua Nuova Guinea (fotografia di Nancy Sullivan)

Stencil di 10000 anni fa nella grotta Gua Ham, in Indonesia (Carsten Peter, NGS Image Collection)

Stencil Maya in una grotta nel Belize 
(fotografia di Dean Snow)

Stencil di 6000 anni fa nella grotta di Elands Bay, Sudafrica (Geoffrey Blundell, South African Rock Art Digital Archive) 

Dean Snow spiega che era spesso si usava la mano sinistra come stencil; la destra serviva infatti per spargere il pigmento. Con la National Geographic ha inoltre condotto una ricerca nelle grotte in Francia e Spagna: ha scoperto che molti dei disegni nelle caverne erano fatti da donne.

Uno studio conferma l'origine artificiale della Piramide del Sole in Bosnia

Secondo quanto riporta Deborah West sul New Era Times, uno studio comparato condotto da cinque istituti separati confermerebbe in maniera pressoché definitiva l'origine artificiale della controverse Piramidi Bosniache, mettendo a tacere i dubbi e le voci scettiche che in questi anni si sono rincorse incessantemente.
Secondo le analisi condotte dai team indipendenti, il materiale di costruzione della Piramide del Sole contiene calcestruzzo di alta qualità. Tra gli istituti coinvolti nelle analisi risulta anche il Politecnico di Torino con il suo laboratorio di analisi chimica e di diffrattometria, il quale ha eseguito una serie di test su alcune pietre arenarie e dei blocchi di conglomerato prelevati direttamente dalla piramide bosniaca, dimostrando che i campioni risultano composti da un materiale inerte molto simile a quello che si trovava nell'antico calcestruzzo utilizzato dai romani.
I risultati del politecnico sono stati confermati in maniera indipendente dalle analisi compiute sugli stessi campioni presso l'Università di Zenica, in Bosnia-Erzegovina.
L'ulteriore conferma all'entusiasmante scoperta arriva dal professor Joseph Davidovits, un celebre scienziato francese, membro dell'Associazione Internazionale degli egittologi, il quale ha eseguito personalmente alcuni test sui campioni prelevati nel sito della piramide. “Ho eseguito le analisi al microscopio elettronico e posso affermare che la struttura chimica del conglomerato utilizzato è molto antico”, scrive Davidovits. Secondo le sue analisi, il conglomerato risulta essere un cemento composto da calcio e potassio e che, nonostante sia difficile stabilirne con precisione una datazione, non c'è dubbio che si tratti di materiale molto antico Ulteriori prove sull'uso del calcestruzzo per la costruzione delle piramidi arriva dal lavoro del professor Micheal Barsoum, professore presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali della Drexel University, e del professor Gilles Hug, dell'Aerospace Research Agency francese, i quali hanno ottenuto la prova scientifica che i materiali che compongono le enigmatiche colline bosniache sono di origine artificiale.
In particolare, questo studio sfata la convinzione che le antiche piramidi del mondo siano state costruite tutte con la tecnica a blocchi di calcare intagliati. A quanto pare la tecnica del calcestruzzo era già conosciuta dall'umanità in epoca remotissima. L'enigma delle Piramidi Bosniache Le cosiddette "Piramidi Bosniache" sono situate vicino alla città di Visoko, che, a sua volta, non dista molto da Sarajevo. Si tratta di un complesso di strutture che, secondo ilDr. Sam Semir Osmanagich (Foreign Member della Russian Academy of Natural Sciences e Anthropology Professor presso l’American University in Bosnia-Herzegovina), il principale artefice del successo mediatico dell'intera questione relativa alla loro esistenza, ma anche secondo diversi altri studiosi, è costituito da ben quattro "piramidi" (utilizzo le virgolette perché, in realtà, non sono esattamente delle piramidi nel senso tradizionale del termine), un tempio, diversi tunnel sotterranei ed un'area di tumulazione. Nello specifico, lo stesso Osmanagich si riferisce alle quattro strutture principali del complesso con i termini di "Piramide Bosniaca del Sole", "Piramide Bosniaca della Luna", "Piramide del Drago Bosniaco" e "Piramide Bosniaca dell'Amore"; oltre ad esse, troviamo sempre in zona il cosiddetto “Tempio di Madre Terra”, i “Tunnel di Ravne”, il “Tunnel KTK” ed anche i “Tumuli di Vratnica”. Prima di tutto è opportuno chiarire la questione “piramidi-non piramidi”. Il motivo per cui il termine “piramidi” va preso con le molle dipende dal fatto che, in realtà, non ci troviamo di fronte a costruzioni monumentali paragonabili a quelle dell’antico Egitto o a quelle Maya, quanto piuttosto a strutture naturali, nella fattispecie alcune colline, rimodellate da un’azione artificiale. Tra i fautori di questa di teoria “manipolativa” (o delle “strutture naturali rimodellate”)il complesso bosniaco delle piramidi è stato oggetto di interesse scientifico da parte di numerosi ricercatori che si sono avvicendati nel corso degli anni.
Tutti i resoconti pubblicati rendono impossibile negare l'autenticità di questa scoperta che potrebbe costringere a riscrivere la storia dell'umanità. Tra le cause di maggiore interesse da parte degli studiosi ci sono alcuni enigmatici fenomeni energetici che ancora non si riescono a comprendere e che secondo Osmanagich, prima o poi, verranno analizzati scientificamente.
“Il team di scienziati che da anni conduce una serie di studi interdisciplinari è particolarmente interessato allo studio dell'enigmatica energia cosmica che sembra emergere dal sito archeologico in Bosnia. Scopo dello studio è capire la grande conoscenza in possesso della cultura antica che ha lasciato alle sue spalle queste incredibili opere”.
Ecco alcune caratteristiche rilevate grazie alle misurazioni eseguite dei ricercatori: - la Piramide del Sole misura 220 metri di altezza, un terzo più alta della Grande Piramide di Giza; - la datazione al radio carbonio mostra che ci troviamo di fronte ad una struttura antica di almeno 25 mila anni; - l'esplorazione del labirinto sotterraneo ha rivelato un blocco di ceramiche di 8 tonnellate; - gli strumenti hanno rivelato un raggio energetico, di natura elettromagnetico, con un raggio di 4,5 metri e una frequenza di 28 kHz che parte dalla cima della Piramide del Sole; - sempre dalla cima della Piramide, sembra esserci un fascio di ultrasuoni con un raggio di 10 metri e una frequenza di 28-33 kHz.
Le quattro piramidi bosniache risultano allineate ai quattro punti cardinali e orientate tutte verso la stella polare. “Anche se nel corso degli anni sono state scoperte migliaia di piramidi su tutto il pianeta, nessuna di esse ha la qualità costruttiva e l'antichità di quelle Bosniache”, spiega Osmanagich. “Gli studi condotti dall'equipe interdisciplinare mostrano che le piramidi bosniache sono molto più antiche e molto più grandi di quelle conosciute.
Se come qualcuno ipotizza, le piramidi sono delle grosse centrali capaci di produrre energia, la comprensione della tecnologia che è alla base del loro funzionamento potrebbe liberare l'umanità della dipendenza dai combustibili fossili e inaugurare una nuova era di prosperità e armonia con la natura”.
Inoltre, pare che i test confermino alcuni effetti benefici dal punto di vista medico sulla salute umana, prospettando che la decifrazione della tecnologia delle piramidi bosniache potrebbe avere ricadute benefiche anche sulla cura delle malattie dell'uomo.
Ancora una volta, le piramidi ci lasciano a bocca 
Ultime scoperte
Forse trovate due tombe all'interno di una delle piramidi

Larry Ellison vuole trasformare l'isola hawaiana di Lanai in un eco-laboratorio



 Larry Ellison, fondatore e amministratore delegato della Oracle, una delle società più importanti del mondo nel settore informatico, pochi mesi fa ha acquistato il 98% del territorio dell’isola hawaiana di Lanai, al costo di 500 milioni di dollari.
 Lanai, disabitata fino al 1500, è conosciuta come “l’isola degli ananas”, essendone stata prima esportatrice nel mondo. Nonostante i resti delle sue piantagioni permangano nella zona centrale dell’isola, l’impatto dell’uomo sul territorio è stato minimo. 
Non a caso, l’idea di “Malama Aina”, ovvero preoccuparsi per la terra, fa parte della cultura locale hawaiana. Attualmente Ellison, il cui patrimonio è stimato intorno ai 41 miliardi di dollari, si è occupato di ristrutturare la piscina pubblica e il centro ricreativo locale ed ha migliorato l’alloggio dei lavoratori dell’isola, ma i suoi progetti per Lanai sono più eclatanti, poiché Ellison ha in mente di trasformare l’intera isola in un laboratorio ecologico alimentato ad energia solare, aggiungendo quindi Lanai al club delle isole ecologiche del nostro pianeta.

Ha intenzione, infatti, di creare un vero paradiso sostenibile con l’uso di auto elettriche, fattorie bio e l’impiego esclusivo di energia solare. L’agricoltura biologica utilizza tecniche e materiali naturali ed è particolarmente attenta al benessere del terreno per ottenere prodotti sicuri dal punto di vista della contaminazione avendo cura di ridurre al minimo l’uso dei combustibili fossili. La notizia ha generato un notevole interesse nei 3.000 residenti di Lanai, soprattutto considerando che Ellison non si è premurato di rivolgersi alla comunità per informarla dei cambiamenti ( ma questo è tipico dello stile del miliardiario americano) che sta pianificando per ascoltare le loro preoccupazioni o indirizzare i loro timori.
 Mentre alcuni sono consapevoli che il turismo da solo non può sostenere l’economia dell’isola, altri lamentano la mancanza di comunicazione con la collettività locale. 
 In una recente intervista alla CNBC, Larry Ellison ha fornito una spiegazione dei suoi progetti per trasformare l’isola hawaiana in un esempio d’industria sostenibile. Il magnate vuole “sostenere la gente locale e trasformare l’isola in un eco-laboratorio„ alla ricerca di un modo di vivere sano e rispettoso dell’ambiente. Ellison progetta di convertire alcune delle case in musei di arte mentre l’elettricità di tutta l’isola deriverà da energia solare fotovoltaica e termica per alimentare il sistema di conversione dell’acqua marina in acqua dolce. Grazie alle fattorie organiche Ellison conta di arrivare a produrre ed esportare nel mondo prodotti organici di qualità. 

Un sigillo egizio in una necropoli etrusca



Una straordinaria scoperta degli archeologi del Parco di Vulci potrebbe contribuire a riscrivere, almeno in parte, la storia degli Etruschi.
Un reperto di grande interesse storico è stato infatti rinvenuto in questi giorni durante gli scavi di Mastarna, la società che gestisce il sito archeologico di Montalto di Castro.
Si tratta di un sigillo egizio a scarabeo risalente alla XXV-XXVI dinastia (746-525 avanti Cristo), rinvenuto nella necropoli dell'Osteria, lo stesso sito dove recentemente era stata già scoperta la tomba della Sfinge.
"Una scoperta che potrebbe contribuire a riscrivere la storia degli Etruschi e dei loro rapporti con il Mediterraneo orientale, aprendo nuovi orizzonti di ricerca" spiega la soprintendente ai Beni archeologici dell'Etruria meridionale, Alfonsina Russo.
Le indagini, hanno portato alla luce un settore ricco di sepolture, dal quale provengono vasi ed altri oggetti che furono deposti accanto ai defunti per accompagnarli nella vita ultraterrena.

Il sigillo, databile fra il primo e il secondo quarto del VII secolo a. C., è stato riportato alla luce nei giorni scorsi dagli scavi diretti dalla soprintendenza e coordinati da Patrizia Petitti, direttore del Museo di Vulci, e da Carlo Casi, direttore di Mastarna, la società che gestisce il sito archeologico di Montalto di Castro. 
Nella necropoli, in tempi recenti, era stata già scoperta la tomba della Sfinge e ora si stanno indagando proprio le grandi tombe a camera, realizzate fra il VII e il III secolo a. C.
Da lì proviene lo straordinario scarabeo-sigillo, attualmente in fase di studio, che  riporta un cartiglio e il segno "HR", del dio falco Horus, insieme alle iniziali "NB", che secondo gli studiosi rimanderebbero al faraone Nekao I (672-664 a. C.).
L'oggetto ritrovato serviva a imprimere i decori sui bolli di argilla destinati a sigillare grandi vasi, cofanetti, casse o rotoli di papiro.

"Si tratta di una scoperta straordinaria, unica nel suo genere", spiega Russo. "Se a Tarquinia, infatti, era già stata rinvenuta una fitula egizia risalente alla fine dell'VIII secolo a. C., uno scarabeo-sigillo come questo qui non si era mai visto".
Il ritrovamento, da un lato, conferma l'importanza della necropoli dell'Osteria e, dall'altro, la ricchezza della vita e degli scambi commerciali dell'aristocrazia di Vulci tra l'VIII e il VI secolo a. C., periodo di massimo splendore degli etruschi nella zona.